Capitolo 7

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Passó tutta la notte con Michael, parlarono e risero così tanto che a Vivian sembró di conoscerlo da sempre. Doveva essere una sua dote naturale, quella di piacere alla gente, riusciva a capire i punti deboli delle persone e come insinuarsi nella loro mente.
O almeno, Vivian credeva fosse quello il segreto per andare a genio a tutti, manipolare il prossimo era sempre stata una dote di tutti gli Archibald, dote che lei non aveva mai imparato ma sperimentato tante volte.
Quella famiglia l'aveva sempre indirizzata in un modo o nell'altro a fare quello che volessero loro, a volte si chiedeva se non fosse stata nei loro piani anche l'Italia, che in quel momento si dovesse trovare in una piccola cucina che affacciava sulla pittoresca città di Firenze, insieme alla persona piú vera e strana che avesse mai conosciuto.

Non che fosse difficile, nell'ambiente che frequentava lei erano tutti fatti con lo stampino, sarebbe sembrato rivoluzionario anche solo uno con delle scarpe da ginnastica e senza giacca.

Scoprì che Michael si faceva chiamare Michele, perchè era più semplice e più facile. Anche se Vivian pensava semplicemente non avesse voglia di farsi fare troppe domande sulle sue origini, su sua madre.
Di lei non parló per niente, e non le fece neppure domande sulla sua famiglia, Vivian riveló solamente che i suoi genitori fossero separati ma poi non osó rivelare altro, oltre il proprio cognome.
Sarebbe stato stupido dargli un'identità diversa dalla propria, dubitava Michael conoscesse le famiglie più in vista di Manhattan, o che comunque potesse ricondurre a lei una delle varie.

Anche i suoi genitori erano separati, lui non si era confessato apertamente ma Vivian l'aveva capito perchè non parlava mai di loro insieme. Era un tipo sensibile, ovviamente a modo suo, come solo gli artisti sanno essere. Era cosí che si definiva, un artista, e ne andava molto fiero, anche se spesso le anime ribelli come la sua rischiavano di essere incomprese, sole.
Lo ascoltava e la sua voce le sembró una melodia dolce, l'italiano era una lingua decisamente musicale.

Lei gli disse che quella fosse la pasta più buona che avesse mai mangiato e lui rise, come a dirle che glie l'aveva detto. Avrebbe voluto tanto imparare a farla ma temeva fosse troppo difficile, era riuscita a scappare di casa ma non pensava di riuscire a replicare una delle ricette piú famose al mondo.

Risero fino all'alba, fu Vivian a vederla sorgere, a notare il cielo colorarsi di rosa da fuori la finestra.

Corse a guardare quello spettacolo meraviglioso in salotto come se non avesse mai fatto da spettatrice al trionfo del sole sulla luna. Lui le andó dietro, più che per l'alba volle carpire la reazione di Vivian, studiare l'espressione sul suo volto, le si mise accanto silenziosamente, e piano con lo sguardo scuro le accarezzó il naso, la fronte liscia e alta, poi la bocca leggermente schiusa. Gli occhi erano rilassati, ma comunque meravigliati, come se stesse cercando di trattenersi.
Cosa trattieni, Vivian?

Assottiglió le iridi senza accorgersene, come a volerla guardare più a fondo. Era tipico di lui, cercare di scovare i segreti nascosti nei dettagli della gente, nel modo in cui si approcciavano al mondo; lei era indecifrabile, ma ancora per poco, pensava.

« Cosa c'è? » Vivian si accorse di essere osservata, pensó di star facendo qualcosa di strano.
« Niente, è che sembra tu non abbia mai visto l'alba. »
« In effetti no, non così. »
Così felice. Ogni volta fuori dai locali era troppo ubriaca per ricordarsela, per emozionarsi e quasi sempre infelice, vuota. Gli sorrise come se non l'avesse conosciuto solamente quel giorno, con una spontaneità che non le apparteneva eppure le piaceva così tanto.

A lui parve così innocente che ebbe paura di rovinare quel momento solamente parlando. Era una tipa sicuramente strana, e a lui quelli noiosi non erano mai piaciuti.
Le rispose con un sorrisetto dei suoi, poi spostó l'attenzione sul panorama fuori dalla finestra.
Il cielo si colorava di rosa e lentamente diventava blu, la luna si faceva da parte per lasciare il suo spazio al sole, che maestoso si ergeva sulla città di Firenze.

« Se sapessi dipingere disegnerei esattamente questo momento. » Invidió la sua bravura, lei che non aveva alcun talento.
« Perchè? »
« Perchè riguardandolo mi sentirei come ora. »

« Cioè? »
« Molto serena. » Sarebbe potuta sembrare una cosa banale, ma per lei che aveva sempre vissuto nell'ansia e nella paura di deludere aspettative era fantastico.

Lui scosse il capo facendo muovere la chioma corvina, poi si portó una mano sulla bocca, aveva sonno. In effetti nessuno dei due aveva dormito abbastanza, lui soprattutto, almeno Vivian era riuscita a riposare quelle poche orette mentre lui lavorava.

Sospiró intenerita dallo sguardo stanco di Michale. « Dai, vai a dormire, pulisco io in cucina. »
« Sicura? »
« Sicurissima. » Lo vedeva da come parlava, da come si stropicciava gli occhi pesanti.

« Allora a dopo. »
Lo salutó con un cenno del capo, mentre lo vedeva camminare lentamente verso la sua camera, i piedi nudi calpestavano il pavimento stancamente, la camicia era più sgualcita che mai e i pantaloni erano quelli della solita tuta grigia.
Gli andava tutto così largo che sembrava roba non sua, eppure su di lui sembrava tutto giusto, la sua personalità decisamente eccentrica rendeva tutto armonioso.

Vivian pulì ogni cosa e quando finì decise di non svegliarlo, aspettó di vederlo uscire dalla sua stanza per salutarlo prima di andare a lavoro. Dormì anche lei qualche ora, almeno tutta la mattina, infatti quando si sveglió lui non c'era più.

Si mise sul letto e inizió a scorrere su instagram, passava lo sguardo su foto che la ritraevano in un'altra vita, così lontana e diversa, eppure troppo vicina. Bastavano tre foto in limousine per riportarla dove non voleva essere: in America. Passó diverse ore in quel modo, fin quando non si rese conto di non aver neppure pranzato, era già pomeriggio inoltrato e lei non aveva fatto niente se non dormire e scrollare instagram, la sua nuova vita non le sembró tanto male.
Le venne da ridere, mentre pensava che presto avrebbe dovuto iniziare a prepararsi per andare a lavoro.

Si rigiró sul materasso morbido, stava ancora sbirciando tra le ombre di quello che amava definire passato, sebbene fossero passati solamente due giorni, quando non funzionó più niente. Perchè?
Internet era morto, le rimanevano solo i messaggi e le chiamate. All'improvviso s'illuminó: probabilmente il fratello aveva smesso di pagarle anche quello.
Che stronzo, l'ha fatto di proposito.

Figuriamoci se per lui fosse rilevante la piccola somma che pagava per mantenere le utenze sul cellulare della sorella, l'aveva fatto di proposito per metterla in difficoltà.

Sbuffó scocciata e abbandonó l'oggetto sulla coperta disordinata, decise di prepararsi per andare a lavoro, anche se mancava qualche ora al suo turno.

Aveva pochissimi vestiti, così pochi che non ebbe nelpure bisogno di appenderli: li piegó tutti in un cassetto, mentre sistemó la biancheria in un altro subito sotto. L'armadio era antico e grande, non grande quanto la sua cabina armadio, ma ci sarebbero potuti entrare moltissimi abiti, se solo Vivian ne avesse posseduto qualcuno.

Per il momento le bastavano quelli sportivi, essendo che tanto usciva solo per andare a lavoro. Peró forse qualcosa di meno sciatto avrebbe potuto acquistarlo, in futuro.
Scosse il capo per liberarsi dai pensieri indesiderati e legó poi i capelli nella solita coda di cavallo, indossó la divisa del locale e i soliti pantaloni scuri, le sembrarono meno sportivi di quelli grigi e si abbinavano meglio alla maglietta.

Quando fu pronta decise di uscire nonostante fosse in anticipo, per prendersela con calma. Erano le nove di sera, il clima era decisamente fresco e fu contenta di essersi portata dietro una felpa delle sue solite.

« Vivian? »
Martina la salutó subito con un sorriso smagliante, avevano forse i turni alla stessa ora? Oppure lei era lì da tutto il giorno. Lei le sorrise e le rispose con un cenno della mano.
Al buio il posto emanava tutta un'altra atmosfera, sembrava quasi moderno il che contrastava decisamente con la struttura certamente antica e pittoresca, un insieme di caratteristiche che peró erano bilanciate alla perfezione, grazie anche alle luci che lo rendevano quasi elegante.

Il posto era già abbastanza pieno, molti tavoli occupati e Martina sfrecciava da uno all'altro per cercare di mantenere un ritmo certamente frenetico e insostenibile.
« Sono venuta in anticipo, serve una mano? »
« Puoi iniziare subito, il capo mi ha detto che i tavoli dispari sono tuoi, quindi praticamente tutti quelli sulla destra. » Una scarica di adrenalina le fece tremare i polso e sudare le mani. « Ah, l'altro giorno mi sono scordata di darti il grembiule, lo trovi nello sgabuzzino. »
Annuì convinta, poi camminó fino al solito ripostiglio per cercare una pila di grembiuli, immaginava dello stesso colore della maglietta, infatti li trovó presto. Ne prese uno e se lo legó in vita nel modo migliore che conoscesse, poi tornó in sala.

« Quindi tutti quelli sulla destra sono miei? »
« Si, poi torni dietro al bancone e lasci le ordinazioni, intanto che preparano le cose tu ne prendi delle altre, okay? » Le spiegó tutto di fretta, ma Vivian capì presto.
« Dove segno le cose? »
« Giusto! Sotto alla cassa ci sono dei block notes e delle penne. »

Una volta pronta, con il piccolo blocchetto di fogli di carta tra le mani, si diresse al primo tavolo, poi al secondo, poi portó gli ordini in cucina e al bar e così tutta la notte, finchè la gente non inizió ad ubriacarsi e notó che se faceva gli occhi dolci a qualche ragazzo questi erano più propensi a lasciarle la mancia. Quindi affinó lo sguardo cristallino tutte le volte che incontrava un viso un po' più ingenuo e ubriaco, non si sentiva in colpa, alla fine si stava guadagnando da vivere. Doveva stare solo attenta a non prestare troppa confidenza.

Uno le chiese di dove fosse, perchè dall'accento era palese non avesse origini italiane, rispose cordialmente e poi si dileguó il più presto possibile. Era un martedì qualunque eppure il posto era pieno di ragazzi universitari e gente di passaggio, incontró diversi turisti ma pochi rispetto ai giovani del posto. Dove avevano spedito lei a studiare di posti così non ce n'erano, tutta la sua vita si svolgeva in un campus di perfettini con la puzza sotto il naso ed era decisamente frustrante.

Si fece presto tardi, verso l'una andó a scaricare la spazzatura nei bidoni dall'altro lato della strada.

Si chiese se Lorenzo sapesse apprezzare la vita che stava conducendo ora, la persona che volesse diventare. Lui aveva fatto amicizia con la Vivian ricca e triste, adesso le sue priorità stavano cambiando.
« Vivian, posso chiederti un favore? » A liberarla dai pensieri in eccesso Martina, che aveva appena deciso di fumarsi una sigaretta fuori mentre lei buttava la spazzatura. « Si, certo, quello che vuoi. »
« Sta venendo il mio fidanzato a salutarmi, potresti coprirmi finchè non va via? » Strinse la bocca e si fece piccola nelle spalle, come se temesse una reazione negativa, invece l'americana fu quasi contenta di potersi dare ancora da fare.

Vivian alzó le spalle, era convinta di potercela fare, rimanevano ormai solo pochi tavoli e il grosso era fatto. Tra quelli suoi e di Marti erano forse sei in totale.
Tornarono dentro, Vivian prese a darsi da fare tra i tavoli, portando in equilibrio vassoi, stuzzichini e gli ultimi drink.

Non si accorse neppure dell'arrivo di Leonardo, il fidanzato della sua collega. Solo quando si fermó un attimo li vide seduti al bancone. Lui seduto su uno sgabello la teneva per i fianchi e lei si faceva coccolare, sussurandogli smancerie all'orecchio e lasciandogli qualche bacio ogni tanto.

Sorrise e scosse piano il capo, volgendo lo sguardo verso il basso. Doveva essere proprio tanto innamorata, o almeno così sembrava da come non riusciva a staccarsi da lui. Leonardo era mingherlino, alto con le braccia lunghe e gli occhi azzurri come il cielo dell'alba che Vivian aveva visto quella mattina: i capelli erano lisci e marroni, cercava di tenerli da un lato ma Martina li metteva in disordine ogni volta che gli passava una mano sul capo per accarezzarlo, presa dalla foga dei baci.

Mentre puliva un tavolo si sentì richiamare, era ancora la sua collega. « Vivian! Vieni, voglio presentarti Leonardo, sai che studia in America? Lei è americana. » Tutta entusiasta di quella presentaziome volgeva prima lo sguardo verso di lui poi saltellava verso Vivian che si era appena avvicinata alla coppia. « Si, sono nata in America. » Non amava divulgare troppe informazioni su di lei, preferiva stare zitta e non parlare del suo passato. Quindi si sforzó di fare una smorfia cordiale mentre confermava le parole di Martina, a cui aveva detto di essere americana qualche pausa lavoro prima.

« Io sto facendo un master in California, tu perchè sei qui? »
Si morse una guancia, e ora cosa poteva inventarsi? Non aveva voglia di mentire, quindi disse una mezza veritá.
« Avevo voglia di cambiare aria, e l'Italia è un posto fantastico. »
Questa volta fu Martina ad intervenire, sospiró rumorosamente e s'impose al centro della scena.
« Io invece darei qualsiasi cosa per trasferirmi lì. »
« Beh, puoi sempre farlo, sei giovane e in gamba. »
« Se tutto va bene e trovo lavoro lì ci trasferiamo insieme. » L'afferró per i fianchi con un braccio, sembravano davvero innamorati.
Allora era così che due persone fidanzate si comportavano nella realtà? Non aveva mai potuto osservare un rapporto sincero, da quando era piccola nella sua famiglia si sposavano solo per soldi e convenienza: si facevano andare bene le persone che servivano loro e lei proprio non era mai riuscita ad accettarlo.

Vivian stava per rispondere ma si aprì la porta all'improvviso, erano le due di notte, i tavoli erano completamente vuoti, lei con la testa era già a casa, sotto le coperte o a mangiare qualche avanzo dalla cucina.

Si voltó un po' scocciata, sgranó gli occhi quando vide chi avesse davanti. Era Michael con una ragazza, non la stessa che si era portato a casa il giorno prima.
Ma quante ne aveva?

« Miche! » A chiamarlo peró non fu lei, ma la voce di Leonardo, si conoscevano?

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