10 - The End

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La fine del mondo è un limite invalicabile persino per un supereroe.

E Arianna si scoprì travolta da una serie inarrestabile di pensieri, neanche si fosse frizzata per leggersi le vignette che le lampeggiavano intorno. Immaginò che il Dio cristiano li avrebbe accolti in massa, perdonati dei loro peccati terreni e offerto un caffè Lavazza; immaginò una realtà parallela che li avrebbe risucchiati per svelare loro che la vita è un susseguirsi di fotogrammi virtuali; infine – e per questo si ritrovò col culo per terra e le mani sugli occhi – immaginò il nulla. Zero colore, zero rumore. Niente e basta. Un po' come quando hai tre anni e chiedi alla mamma: cosa c'è dopo la morte? E lei, tenera e atea, risponde passandoti la nutella: niente.

Intorno a lei si consumava la festa.

Ormai era sbronzo anche Giancarlo. Non aveva mai parlato di sé, lui, ma solo di quello che voleva per sé: premi, onorificenze, pacche sulla spalla..., per cui Arianna non sapeva se il suo capo fosse credente, miscredente, scettico o filosofico nel suo prendere di petto la vita e la barca che affonda. Le bastò inquadrarlo tra i camici bianchi a inghiottire vino d'annata per attribuirgli quella fragilità che in fondo traspariva da sempre persino dalle pose che assumeva dietro la scrivania della redazione. Era uno che aggrediva chi lo spaventava. E ora aggrediva la dipartita arrivandole addosso ubriaco, come gli scienziati che nulla avrebbero potuto fare per un pianeta che l'universo ha deciso arbitrariamente di cancellare. Giancarlo, se lo figurò Arianna, avrebbe rotolato fino alla sponda di Caronte talmente gonfio d'alcol che il battello si sarebbe ribaltato nello Stige.

Sebastian invece, che conosceva ancora meno del caporedattore, a dispetto di due occhi trasparenti era ombroso, inintelligibile. Fissava il vuoto e non si muoveva, come uno a cui hanno staccato la spina. Aveva viaggiato tanto solo per scoprire che non c'è rimedio e per morire lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia. Diceva che il mondo non si salva col mantello ma con la verità e adesso sembrava maledire di averla scoperta perché gli ultimi cinque minuti sulla Terra li stava prendendo in faccia come pugni invece di farsi cogliere alla sprovvista magari durante un amplesso in un albergo in Provenza.

Arianna smise di ascoltare quelle chiacchiere febbricitanti. Aveva capito che a momenti una nuova estinzione di massa avrebbe colpito il pianeta intero. Aveva sentito discorsi sul meteorite con la potenza di mille megatoni... o avevano detto supernova? Sì, come quella che provocò l'era glaciale distruggendo qualunque forma di vita sulla Terra. Non importa. Leggere sul volto di quei luminari che non c'era niente da fare le bastava.

La verità salva il mondo, se c'è un mondo da salvare. E stavolta la verità era un'altra: non avrebbe più visto la luce della luna e le sue stelle, né ascoltato una canzone o baciato qualcuno.

Lei non sarebbe mai cresciuta, il suo destino non le apparteneva più.

Succede lo stesso quando ti colpisce un infarto o ti schianti con l'auto, pensò. In quel caso però nessuno ti avverte.

Decise di uscire per fare due passi, a rischio di finire incornata da un toro e morire un minuto prima del previsto, risalì il monte tra i prati Cimini, quelli intorno alla costruzione.

Erano le ventitré e non era ancora Giugno. Il crepuscolo scaldava la sua pelle e una luce a metà tra troppa e troppo poca suggeriva una grigliata all'aperto, sesso spinto tra gli alberi, una nuotata. Ma la sola idea che quello non fosse un tramonto estivo bensì un fenomeno che porta con sé il più inclemente degli aut aut , la devastava. Però, si disse, meglio morire osservando l'orizzonte che in una stanza intrisa di sudore alcolico.

Poteva trattarsi di un calcolo sbagliato, sperò. Tutti avrebbero riso dell'errore della NASA e dell'ESA e avrebbero trascorso tre decenni a ricostruire l'ecosistema. Oppure poteva essere un calcolo esatto ma non al millimetro: sarebbe successo qualcosa di terribile ma lei avrebbe fatto parte dell'unico gruppo di eroi rimasti illesi col privilegio di ricominciare.

O magari l'ingranaggio si era davvero bloccato e farlo ripartire poteva dipendere da entità superiori di cui però lei, in quanto stagista ventenne orfana e astemia, non aveva mai avuto prova. Non era abbastanza eroica o martire da pretendere l'apparizione della Maria Vergine e non le pareva che dischi volanti si fossero affacciati per scongiurare l'apocalisse.

E ora sapeva anche com'è un'apocalisse. Non è esplosiva, non è tossica, non fa male e non fa rumore. Arriva piano, quando meno te lo aspetti, sorniona e felpata come quando ti addormenti attaccato alla canna del gas, si consuma lentamente regalandoti un'ultima preziosa immagine di quello che viene a polverizzare: l'immagine che stai guardando. Un campo aperto. Un soffitto. Un cane che corre. Tuo figlio che ride. Le corde di una chitarra. Una fotografia.

Capì che qualunque cazzo di cosa avesse osservato sarebbe stata l'ultima.

E ora Arianna stava fissando un

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