7 - Non è colpa di nessuno

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I convogli militari circondarono le vie del centro storico per contenere le carovane dei residenti evacuati. La gente era spaesata, si lasciava guidare ma la sensazione che marciassero incontro al patibolo piuttosto che alla salvezza era incalzante.

Arianna era stremata, aveva le gote annerite dal fumo delle fiammate, il binocolo le penzolava intorno al collo e teneva ancora il Taser stretto in un pugno a testimonianza che non si sarebbe arresa. Ma davanti a quella piazza d'armi il timore che stesse per succedere qualcosa di peggiore di un'ondata di ratti le attanagliava i nervi.

Giancarlo balzò al posto di guida e prima che Arianna e Sebastian potessero montare inserì il blocco delle sicure. Abbassò il vetro quel tanto per essere ascoltato e si rivolse direttamente a lei: «Le nostre strade si dividono, stagista. Buona fortuna».

«Sei impazzito?»

Giancarlo accese il motore: «Fosse dipeso da te mi avresti lasciato a morire sul tetto dell'auto!».

«Non ti ho dato la precedenza, è vero», sbottò lei, «Ma dovevo scegliere tra te e altre sei persone! Tu che avresti fatto?».

«Io avrei scelto me!»

Serrò il finestrino.

«Sei ingiusto!» Sebastian colpì il vetro, «Lei ci ha salvato tutti!».

Arianna non gradì che la difendesse; si era confidata con lui, si era messa a nudo davanti a un estraneo, e ora non aveva più il coraggio di sostenere quel suo sguardo cristallino.

Lo aggredì: «Tu non t'immischiare! È colpa tua se siamo bloccati qui!».

«Ascoltami» le strinse l'avambraccio. «Dobbiamo andarcene subito, se restiamo ci porteranno via».

Giancarlo diede gas e azzardò una brusca retromarcia costringendo i due a spostarsi al volo.

Arianna urlò: «Capo! Capo, ti prego, non lasciarmi qui! Non puoi farlo!».

Ormai era consapevole che se non avesse scoperto la verità e salvato il mondo sarebbe tornata a essere la ragazzina orfana che nessuno vuole leggere. Non poteva lasciarlo andare. Lo avrebbe inseguito a piedi per chilometri, se necessario. Lui era il suo segnale ultrasonico, l'uomo che l'aveva spronata a seguire una direzione, l'unico modo per voltare pagina.

«Arianna!»

Si sentì afferrare per la cinta. Sebastian la tenne ferma: «Vieni con me, lascialo stare! Non c'è più tempo!».

Lei si divincolò: «Ma insomma si può sapere che cosa vuoi da me? Lasciami!»

«Devi fidarti di me! Quello che sta succedendo qui non è che una conseguenza di ciò che è capitato ai tuoi genitori.»

Lei smise di scalciare: «Non ci provare! Ma chi diavolo sei, tu?»

Una frenata improvvisa echeggiò lungo la strada.

Poi si udì un grido: Alt!

Un drappello di militari accorse a fucili spiegati e circondò l'auto di Giancarlo.

«Spenga il motore e scenda dalla macchina!» ordinarono.

«Sono un reporter. Ho un'inchiesta da fare, non potete trattenermi!» rispose senza timore.

Il soldato armò il mitra: «Qui nessuno va da nessuna parte!».

Arianna e Sebastian furono bloccati e spogliati di tutto quello che avevano addosso: il computer portatile che Sebastian portava a tracolla, il binocolo e il Taser che lei stringeva. Lottare era inutile, quelli erano armati e inumani.

Giancarlo smontò fuori di sé : «Questo è un paese democratico con libertà di stampa! Non potete metterci in quarantena!»

Il militare spinse Giancarlo contro il cofano: «Siamo in regime di emergenza nazionale, signore. La stampa non ha più alcun diritto costituzionale, in questo paese. È in vigore la legge marziale.»

Arianna avvertì un tremore che per un soffio non le piegò le ginocchia: legge marziale?

Decine di residenti si radunò ad assistere alla scena. Nessuno intervenne. Sembravano zombie.

Alla vista del militare che spalancava la sua auto e la perquisiva, Giancarlo gridò: «Fermi! È una proprietà privata!».

Il soldato lo colpì in testa col calcio del fucile ed estrasse la telecamera dall'abitacolo.

«No!» gridò Arianna. «Non avete nessun diritto di farlo!»

L'uomo in divisa schiantò a terra la telecamera e iniziò a colpirla col fucile fino a spaccarla, «Niente riprese!».

«Bastardi!» Giancarlo, la testa sanguinante, si scagliò sul soldato e venne spinto indietro.

«Voi tre siete in arresto! Seguiteci senza fare resistenza!»

Li scortarono a mitra puntati dietro alla schiena fino a una jeep e li costrinsero a montare.

«Non muovetevi!» Ordinò un militare.

Stretti uno accanto all'altro non fiatarono per una manciata di minuti.

Fu Sebastian a rompere il silenzio: «Dobbiamo scappare, subito!»

«Quelli non esiteranno a spararci» disse Arianna.

«Me ne frego», intervenne Giancarlo. «Io ho scalato montagne a mani nude, non mi faccio rinchiudere da un gruppo di merde esaltate!»

«Ma dobbiamo restare uniti», replicò lei.

«Stagista, adesso mi hai stancato veramente! Hai salvato questa zavorra prima di me!» indicò Sebastian.

«Diglielo!» Arianna fulminò il francese come volesse incenerirlo. «Digli quello che sai!» Voleva dimostrare che salvarlo non era stato inutile. O forse voleva salvarlo di nuovo, non ne era certa.

Sebastian dichiarò: «Io seguo le migrazioni anomale da tre anni. Inizio col dire che non è colpa del clima. E stavolta nemmeno dell'uomo...».

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