SCRITTURA: Lista 1

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Rita le lasciò le chiavi dell'appartamento in una mano: «Ecco a te. Mi spiace che rimarrai sola in questi giorni, ma se dovessi aver bisogno di qualcosa, ti prego, chiamami!»

Jasmine le sorrise amabilmente. Sapeva che trasferirsi sotto le feste di Natale implicava passarle da sola, ma, al contrario di Rita e del suo ragazzo Dixon, che viveva con lei, non aveva alcun interesse a tornare a casa dei suoi genitori. Anzi, più ne fosse rimasta lontana, meglio si sarebbe sentita.

Aveva trovato lavoro come cameriera in un bar nei paraggi, e quell'appartamento era stato una manna per lei.

«Sta' tranquilla. Mi hai spiegato tutto della casa, dalle luci ai contatori; non credo avrò bisogno di qualcosa».

Dopo un breve colloquio avvenuto un paio di giorni prima, entrambe le ragazze si erano trovate subito simpatiche: Rita le aveva spiegato che l'appartamento aveva tre camere, una doppia e due singole, e che uno dei ragazzi che occupava una singola si era dovuto trasferire per lavoro, per questo cercavano qualcuno che lo sostituisse quanto prima; la doppia era occupata da lei e Dixon, mentre nell'altra singola c'era Oliver, che lavorava come infermiere nell'ospedale del quartiere.

Oliver era riuscito a spostare i turni ed era già partito per le feste, mentre Rita e Dixon erano pronti, con le valigie al seguito, per tornare dalle loro famiglie.

Se c'era una cosa che Jasmine aveva capito dell'altra ragazza in quelle poche ore, era che fosse parecchio apprensiva: nonostante le avesse spiegato come aprire e chiudere il gas, i riscaldamenti e dove fossero tutti i detersivi possibili, come se non esistessero supermercati nelle vicinanze, si comportava come una chioccia che è costretta ad abbandonare il suo pulcino più piccolo alla vita.

La abbracciò ancora, mentre Jasmine si irrigidiva leggermente, di nuovo, a seguito di quel gesto: non era abituata a tutte quelle esternazioni di affetto, di contatto fisico, però la lasciò fare, perché aveva capito che quello era il suo modo di fare.

«D'accordo. Tu però chiama!» ripeté ormai sulla soglia.

Jasmine scoppiò a ridere e chiuse la porta.

Sospirò, stanca, ma calma: tutte sensazioni che non provava da tempo ormai.

Tornò in quella che era appena diventata camera sua e guardò i pacchi sparsi sul pavimento; si rimboccò le maniche, letteralmente, e posò i pugni sui fianchi per valutare la situazione.

Passò così la vigilia di Natale a mettere in ordine i suoi vestiti nell'armadio e nei cassetti, andò a fare la spesa per riempire la sua porzione di frigorifero e poi, in serata, attaccò il turno al bar.

Non aveva mai fatto la cameriera, quindi inizialmente si sentì spaesata, tra ordinazioni e codici del menu; ma, per fortuna, sia i clienti che i suoi colleghi furono molto pazienti. Forse era proprio vero che a Natale tutti sono più buoni.

Una smorfia amara le comparve sulla bocca: si sentiva così provata dalla vita che le era difficile persino pensare che qualcuno al mondo potesse provare sentimenti positivi verso un'altra persona.


Oliver tirò fuori dal piccolo ascensore la sua valigia con non poca difficoltà. Fermo davanti alla porta di casa, soffiò via l'aria, esausto: non avrebbe dovuto essere lì, non sarebbe dovuto toccare a lui lavorare, ma Mark si era preso l'influenza e l'avevano richiamato per coprire anche i suoi turni.

Stava per infilare la chiave nella toppa, quando si accorse che dall'interno dell'appartamento arrivava una musica attutita: sapeva che sarebbero ripartiti tutti, ma ritenne improbabile che un eventuale ladro si mettesse ad ascoltare musica.

Aprì la porta e si trascinò dietro il trolley seguendo le note di "Karma Police" dei Radiohead ― che aveva ben poco dello spirito natalizio che aleggiava ovunque in quei giorni ― fino al bagno, dove trovò una ragazza, con tanto di guantoni di plastica, china sulla vasca, intenta a pulirla.

«Ehi!» cercò di attirare la sua attenzione nel modo più discreto che gli venne in mente; ma quella, non avendolo sentito arrivare, fece un salto e cacciò un urlo appena lo vide.

«Senti, puoi prendere il cellulare» sollevò le mani inguantate sopra la testa «di là ho un pc e qualche spiccio delle mance. Puoi prendere tutto, ma, ti prego, non farmi del male».

Oliver rimase stupito dall'arrendevolezza della ragazza e le sorrise per cercare di tranquillizzarla: «Se davvero fossi un ladro, credi che ti avrei chiamato?»

Jasmine lo osservò attentamente: alto e con la barba curata, indossava un lungo cappotto elegante e un cappellino di lana abbinato a sciarpa e guanti. Effettivamente sembrava un tipo fin troppo curato nell'aspetto per essere un ladro.

Finalmente si rilassò e abbassò le mani, tirando un sospiro di sollievo: «Mi hai fatto prendere un colpo».

«Mi sa che tu sei quella nuova» non era proprio una domanda la sua.

«E mi sa che tu sei Oliver» constatò lei. «Io sono Jasmine» fece per tendergli la mano, ma si rese conto delle condizioni in cui versava e si scusò con un timido sorriso.

Oliver si guardò indietro e poi tornò a fissarla: bassina, secondo lui non aveva nemmeno venticinque anni, i capelli scuri raccolti in una lunga coda di cavallo e uno sguardo che giudicò stranamente inquieto, ma che probabilmente era dovuto ancora a quel piccolo malinteso che si era creato poco prima.

«Pensavo non ci sarebbe stato nessuno. Che ci fai qui?»

«Devo lavorare».

La sua risposta gli sembrò troppo frettolosa, quasi come se l'avesse imparata a memoria e le risultasse automatico ripetere quella battuta.

«Ah... Anche io». Riafferrò il manico della valigia: «Allora... Io vado in camera mia». Si girò per andarsene, ma poi pensò di aggiungere qualcosa per cancellare quella tensione: «E... grazie».

Jasmine lo guardò aggrottando la fronte: «Per cosa?»

Lui indicò la vasca con un dito: «Che hai pulito» le spiegò e svanì sotto il rollio delle ruote.

La ragazza sollevò le sopracciglia sorpresa: fino a quel momento aveva sentito quella parola solo a lavoro, e si rese conto che sentirla pronunciare al suo nuovo coinquilino le aveva fatto uno strano effetto.


Jasmine e Oliver si incrociavano in casa di rado, a causa dei turni di entrambi.

Rita continuava a chiamare lei per assicurarsi che stesse bene, mentre Dixon si ostinava a telefonare a lui per assicurarsi che non tirasse fuori il peggio di sé in sua assenza.

Dixon e Oliver erano ormai migliori amici: dopo due anni di convivenza avevano imparato i reciproci pregi e difetti e ognuno si vantava di essere indispensabile all'altro. Ed era vero.

Il primo era più introverso e pacato, mentre il secondo più scontroso e irascibile. A volte arrivava Rita a mettere fine ai loro bisticci, affermando che senza di lei non sarebbero andati da nessuna parte. E questo era ancora più vero.

Rita era esuberante e allegra e, quando lei e Dixon decisero di andare a vivere assieme, i ragazzi ebbero paura che il loro precario equilibrio si sarebbe frantumato; invece lei era proprio quello che serviva, perché con il suo fare protettivo riusciva a tenere sotto controllo, non solo loro due, ma anche tutta la casa.

Dopo un anno e mezzo decisero di affittare l'ultima stanza a Leroy, un medico che Oliver aveva conosciuto in ospedale; ma, a fine novembre, questo era stato trasferito e, per non dividere nuovamente le spese in tre, decisero di cercare un sostituto.

L'arrivo di Jasmine fu quindi ben accolto dai coinquilini, ma non avevano avuto modo di conoscerla molto.

Così, quando alla vigilia di Capodanno, la nuova arrivata varcò la soglia della cucina, Oliver non sapeva come intavolare una discussione.

La ragazza indossava un paio di jeans e un maglione in cui sarebbero potute entrare benissimo altre due persone; aprì il frigo e si versò del succo.

«È con quello che vuoi brindare al nuovo anno?» cercò di buttarla sullo scherzo, ma lei gli rilanciò uno sguardo gelido. «Stasera non lavori?» non si arrese: in fondo divideva il bagno con quella donna e avevano scambiato sì e no quattro parole in croce. Era assurdo!

«Il bar è chiuso. A quanto pare oggi è un giorno speciale». Jasmine andò a sedersi a gambe incrociate sul divano, afferrò il telecomando e cominciò a fare zapping.

Oliver tornò a rivolgere la sua attenzione alla padella in cui stava cuocendo un paio di fettine di carne, ma sentiva come un picchio che continuava a battergli sulla nuca. Scrollò le spalle e le chiese: «Vuoi cenare con me?» Si voltò a guardarla per assicurarsi che lo avesse sentito.

Lei aveva distolto lo sguardo dalla tv e lo fissava, di nuovo come se fosse una strana creatura che si aggirava nella sua cucina. Perché quel ragazzo era così gentile con lei? Possibile che fosse solo buona educazione?

«Senti, io stanotte dovrò lavorare, invece. E sì, questo è un giorno speciale. Quindi, se non potrò passarlo con la mia famiglia...» si voltò nuovamente verso i fornelli: «... Insomma, mi farebbe piacere non cenare da solo, oggi».

Jasmine pensò che forse avrebbe potuto fare qualcosa per lui che, al contrario di lei, avrebbe voluto stare con la sua famiglia. Si alzò e lo raggiunse; era così bassa che gli arrivava alla spalla: «Posso aiutarti?»

Oliver sorrise. Si sentiva soddisfatto, come uno che aveva appena scalato una montagna. «Puoi tagliare le patate. Le facciamo al forno, che dici?»

Lei annuì, semplicemente, senza aggiungere altro.

Lui prese una bottiglia di vino e gliela indicò: «Ti va? O preferisci il succo?» scherzò.

«Scoliamoci quella bottiglia».

Oliver rimase interdetto per un momento, poi scoppiò a ridere. Era una risata genuina, inaspettata, che gli scaldò l'anima, come fece con quella della sua coinquilina. «Questa non me l'aspettavo» ammise. Aprì il vino e riempì due bicchieri: «Io potrò bere poco... Come ti dicevo, devo lavorare».

Jasmine prese il suo calice e lo rassicurò: «Ok, allora mi sacrificherò io per te». Gli sorrise anche lei, sentendosi tranquilla, stranamente pacifica. Sollevò il bicchiere nella sua direzione: «A cosa vuoi brindare?» gli chiese.

«Alla fine di quest'anno?»

Jasmine si irrigidì, come se avesse appena indossato un'armatura: «E che ne sia la fine». La sua voce era gelida, distante. Spiazzò Oliver con quel commento, che comunque capì che il suo desiderio era dimenticare qualcosa.

Fecero tintinnare i bicchieri e bevvero un sorso, il primo di una media (per lui) e lunga (per lei) serie.

Durante la cena Jasmine gli chiese per che ora dovesse andar via e lui la informò che avrebbe dovuto attaccare all'una: «Aspetterai con me la mezzanotte?» La sua era quasi una preghiera, alla quale lei non seppe dire di no.

Tornarono entrambi sul divano, a saltare da un canale all'altro, tra vecchi film e spettacoli che mostravano gente in festa nelle piazze di tutto il mondo. Ma appena ne capitava uno, Jasmine, che deteneva lo scettro del potere, cambiava immediatamente.

Fu così che la ragazza si addormentò, col dito poggiato sul tasto del telecomando e la testa poggiata sulla spalla del suo coinquilino. A due minuti dalla mezzanotte Oliver la scosse leggermente: «Ehi, Jasmine, ci siamo quasi».

Lei si sollevò e si stropicciò gli occhi: «Ma tu sei un mostro!» si lamentò sbadigliando: «Mi hai svegliato apposta?»

Lui ridacchiò: «Me l'avevi promesso. Non lascerò che ti defili in questo modo».

La tv cominciò a scandire il conto alla rovescia per il nuovo anno; Jasmine si sistemò sul divano, mentre Oliver recuperò i calici e le ripassò il suo.

Allo scoccare della mezzanotte i cristalli tintinnarono nuovamente e Oliver si chinò verso di lei: «Buon anno, coinquilina» le sussurrò a un palmo dal naso.

Jasmine arrossì leggermente sotto quella vicinanza, e allo stesso tempo si agitò, ma rispose comunque al suo augurio.


Dopo l'imbarazzante Capodanno avvenuto tra Jasmine e Oliver, il loro disagio fu colmato dal ritorno di Rita e Dixon. La prima, in particolare, beccò la sua nuova coinquilina sfuggire nel corridoio al suo vecchio amico, e quest'ultimo lanciare a Jasmine un'occhiata rapida fingendo di non averlo fatto.

A quel punto tirò il suo ragazzo per un gomito fino a farlo entrare nella loro camera: «Ok, dobbiamo prendere in mano la situazione».

Dixon era ormai abituato alle trame intessute dalla sua fidanzata, ma, non avendo chiaro a quale in particolare si riferisse, decise di chiederglielo semplicemente con lo sguardo.

Rita sollevò gli occhi al cielo: «Jasmine. E Oliver. Li hai visti, no?»

«Ehm... Certo che li ho visti» si arrampicò sugli specchi.

Ma Rita sapeva che non aveva capito cosa stesse succedendo in realtà: «No, tu non li hai visti veramente. Ora tu vai di là a parlare con lui e io parlo con lei, e cerchiamo di capire che è successo tra quei due».

«Oh...» A quel punto anche Dixon aveva fatto due più due e decise di indagare con lei.


Rita bussò alla porta di Jasmine ed entrò, quando le diede il permesso, indossando il suo miglior sorriso sornione: «Ehi! Allora? Come va? Come ti trovi?»

L'altra ragazza, che stava ascoltando musica dal telefonino, la spense e lasciò cadere un auricolare vicino al collo: «Ehm... Bene, va tutto bene». Una piccola rughetta le segnò lo spazio sul naso, in mezzo agli occhi. Non si aspettava di doverle dare l'ennesima conferma del fatto che stesse bene con loro.

«Ah sì?» Rita continuò a incalzarla, sedendosi sul letto accanto a lei: «E come sono andate le feste? Come è andato il Natale? Il Capodanno?»

Jasmine era sempre più basita da quella raffica di domande: «Bene, Rita, sono stata bene. A Natale ho sistemato la camera» indicò la stanza attorno a loro, ormai sgombra dagli scatoloni: «A Capodanno non ho nemmeno lavorato, quindi sono rimasta a casa e ho cenato con Oliver».

Il sorriso della sua nuova amica si allargò ancora di più: «Sì?» le chiese con voce stridula.

Fu così strano per lei che riuscì solo ad annuire.

«E cosa avete mangiato?»

«Carne, patate, bevuto un po' di vino...»

«Oh... Vino...» La bocca di Rita assunse la forma delle vocali, mantenendola ben oltre la loro pronuncia.

Finalmente Jasmine capì dove stava andando a parare quel discorso: «Rita, no: non è come pensi».

«Certo» le posò una mano sulla sua: «Non lo è mai».

«No, sul serio: non è successo niente e mai succederà!»

«E perché mai?» Rita sembrò seccata da quell'affermazione, tanto che ritrasse anche la mano rapidamente. «Non ti piace?»

«Ma sì, mi piace...» la ragazza cercò di salvare il salvabile.

«Ah, ecco!» l'altra tornò a sorriderle. «E cosa ti piace di lui?»

«Oh...» l'aveva presa in contropiede e ora le toccava rispondere: «Beh, è un bel ragazzo».

«Sì? Sì!» convenne.

«È alto».

«Vero».

«Maturo e responsabile» ammise infine.

«Giusto!» Rita sembrava completamente soddisfatta: «E allora cosa non va?»

«Non c'è niente che non va!» Jasmine tornò a difendersi. Si chiuse le ginocchia al petto: «È che... non credo sia il caso di... complicare le cose... Non ora».

Rita aggrottò la fronte: «Perché?» non lo capiva davvero.

La ragazza si incupì ancora di più ed entrò in un duro mutismo.

Rita si impose di aspettare, lasciando passare alcuni minuti, ma l'altra non riprese; capì che avrebbe dovuto spronarla, che avrebbe dovuto indurla a raccontare quello che si portava dentro: «Jasmine, che cosa ti frena veramente?»

«Senti, Rita, non è il caso...» cercò di alzarsi, ma lei la trattenne. «Cosa? Cosa!? Perché mi fai tutte queste domande?» esplose esasperata.

Rita la portò a sedersi nuovamente, piano ma con fermezza: «Adesso preparati, perché sto per farti un'altra domanda» La guardò dritta negli occhi neri: «Che cosa ti hanno fatto?»

Jasmine trattenne il respiro, incredula di fronte a quelle parole. Come avrebbe potuto risponderle? Come avrebbe potuto aprirsi a una persona che conosceva da così pochi giorni? Come avrebbe potuto fidarsi di lei se non si fidava nemmeno di sua madre?

Semplicemente, non poteva.

Ma Rita aveva capito che era più simile a lei di quanto potesse immaginare. Decise di essere la prima a svelare qualcosa di sé, di mettersi a nudo, per cercare di conquistare la sua fiducia, per farle capire che non era sola, qualsiasi fosse stato il suo problema. «Prima di Dixon... stavo con un Larry. Sono stata con lui per più di un anno, ma ora so che ogni singolo giorno ho rischiato di impazzire».

Jasmine tornò a guardarla negli occhi e solo in quel momento si accorse che non c'era più traccia della sua allegria, della tipica spensieratezza: capì che erano quelle le sue armi e la sua armatura. La ascoltò in silenzio, senza interromperla, descrivere i momenti in cui Larry beveva troppo e si dimostrava stupidamente geloso, senza nessun reale motivo, o parlare di quei momenti in cui era possessivo e doveva farle capire che lei gli apparteneva, che era roba sua, e che se non le fosse stato chiaro, glielo avrebbe ficcato nella testa a suon di sberle.

«È stato grazie a Dixon che ho trovato il coraggio di denunciarlo» confessò alla fine, facendo sorgere un timido sorriso, il primo dopo tanto tempo.

Le raccontò della loro amicizia, di come lui le era rimasto sempre accanto e le aveva fatto capire che quella con Larry non fosse una relazione, che quello che provavano l'uno per l'altra non era amore, che l'amore era un'altra cosa.

«Dovettero passare mesi prima che Dixon mi prendesse la mano e io non tremassi all'idea che Larry potesse fargli del male, o farne a me».

Fu allora che Jasmine capì di non essere sola, che tutti su questa Terra hanno delle ferite nel cuore. «Era mio padre» disse in un soffio.

Fu un suono così inaspettato, che Rita pensò di averlo immaginato: «Cosa?»

«Mio padre. Mentre mia madre fingeva di non sapere».

La ragazza trattenne il respiro rumorosamente e si coprì la bocca con la mano: «No...»

«Come posso fidarmi di qualcuno, se non ho mai potuto farlo nemmeno con chi mi ha dato la vita... e poi me l'ha tolta?»

«Jasmine, è...»

«Terribile. Lo so» concluse per lei. La voce atona, gli occhi senza più lacrime.

«Ascoltami» le prese le mani nelle sue per darle la forza che una volta Dixon aveva donato a lei: «Non posso nemmeno immaginare quello che hai passato e che stai passando tutt'ora, ma... non puoi chiuderti in una scatola e vivere per sempre da sola. Prova ad aprirti, a conoscere noi, Oliver. Non precluderti qualcosa che può renderti felice solo per paura di soffrire ancora».

Jasmine lo capiva, sapeva che la sua amica aveva ragione, razionalmente; ma non sapeva come e cosa fare e lo ammise anche a lei, che le rispose sorridendo: «Perché non cominci un passo alla volta? Intanto parlaci e scopri se ti può interessare e se tu puoi interessare a lui».

E poiché titubava ancora, continuò: «Come Dixon non è Larry, Oliver non è tuo padre. Nessuno lo è».

Furono quelle parole a rassicurarla sul fatto che nessun altro sarebbe stato un essere così mostruoso come quell'uomo, e a farle sorgere nel cuore il desiderio di poter dare una possibilità a qualcuno, la speranza di lasciarsi avvicinare fino a mostrare la sua anima, anche se fragile e ferita. Anzi, proprio per quel motivo, adesso era disposta a lasciarsi curare.

La abbracciò forte, in un gesto che stava diventando sempre più naturale anche per lei adesso, e in quel momento Oliver bussò alla sua porta: «Scusate, disturbo?» chiese affacciandosi dall'uscio.

Dixon fece capolino dietro di lui, sollevando di nascosto i pollici in direzione della sua ragazza, che afferrò subito il messaggio e gli strizzò l'occhio.

«No, vieni pure» lo invitò ad entrare Jasmine.

Oliver si schiarì la voce, impacciato, mentre l'amico lo spingeva, pungolandogli la schiena: «Ecco... Stavo pensando... Ehm... Stavamo pensando, con Dixon, di prendere una pizza e guardare un film per questa sera. Ti va? Cioè... Vi va? Rita, anche tu, che ne pensi?»

L'amica rise di gusto alla visione di un Oliver così imbranato, trasmettendo la sua felicità a tutti gli altri. E quando posò lo sguardo su Jasmine, vide il suo volto raggiante, risplendere di un sorriso che aveva appena imparato a fare.

Grazie alla sensibilità di Rita, grazie all'amicizia di Dixon, grazie all'affetto di Oliver.


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Il prompt era questo:

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