Capitolo 3

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Le giornate a New York si svolgevano in modo diverso di quando ero nel Queens. Certo, non andavo più al Liceo, ma sembrava tutto cambiato. Avevo voglia di studiare, di uscire anche a prendere un caffè da sola; avevo ripreso persino a leggere e disegnare.
Tutto grazie al percorso di sostegno con la dottoressa Bryan.

Il primo anno che arrivai qui, non fu facile adattarmi, specialmente dopo quanto accaduto. Mia zia mi consigliò questa sua amica che faceva la psicologa ed era molto brava. Tutto durò circa due anni; mi fece capire che la vita era una sola e non serviva avere tutti quei pesi sulle spalle. Anche l'allontanamento dal mio passato mi aiutò molto.

Ma non pensarci era difficile. Alcune volte mi addormentavo con gli occhi di Ryan impressi nella mente: erano così reali, tutto era così reale. I nostri baci, le sensazioni provate; non potevo dimenticare, non riuscivo.

Lo sognavo, faceva parte dei miei pensieri anche se non volevo. Come poteva mancarmi una persona che non avevo mai visto? Che non avevo mai vissuto? Non sapevo neanche se fosse reale, se camminasse su questo mondo.
Ormai, scacciare quelle immagini, faceva parte della routine quotidiana.

Era un pomeriggio come gli altri, forse un po' troppo natalizio. Ero in negozio, scorrevo veloci le immagini delle collane davanti a me, quando alzai lo sguardo verso la vetrina. Fuori nevicava e anche forte!
Lasciai il mouse sulla superficie di legno, per poi scattare in piedi.

«Zia, guarda!» Indicai fuori, mentre milioni di piccoli fiocchi bianchi si posavano sulla strada.

«Uffa!» commentò lei, raggiungendomi. «Odio la neve. Chi la spalerà poi da qui davanti?» Si alzò sulle punte, per guardare meglio.

Sbuffai, riusciva a rovinare qualsiasi cosa bella che accadeva intorno a noi. Toccatele tutto tranne quel maledetto negozio.

Tornai a sedere; quel giorno c'era calma piatta nel locale, pochi erano i clienti che ci avevano fatto visita. Anche se eravamo agli inizi di dicembre, ancora non riuscivamo a vendere la nostra merce. Da lì a poco, mia zia avrebbe chiuso i battenti e ancora avevamo mille cose nello sgabuzzino.

Provai, quindi, a cercare qualche annuncio di lavoro su internet anche se, in quel periodo, c'era ben poco da trovare. Era sempre la stessa situazione: lavoro troppo lontano, non avevo esperienza, non avevo i requisiti, era soltanto uno stage, paga bassa quasi inesistente.
Io, invece, avevo bisogno di qualcosa che mi permettesse di pagare le tasse del corso che non erano poi così poco generose. Un semplice stage non mi bastava per essere indipendente, anche per poco tempo. Gli esami finali erano ancora da fissare e non ero neanche a un quarto dalla fine.

Nulla, non c'era nulla che potesse fare a caso mio. Sembrava come se fossi destinata a non poter raggiungere e realizzare i miei sogni.

Ad un tratto, la mia mente fu riportata sulla terra da un rumore assordante. Mi agitai sulla sedia, capendo che mia zia avesse acceso la radio del negozio.

«Quest'aggeggio!» esclamò alle mie spalle. Quando mi voltai, era alle prese con il telecomando che gestiva l'apparecchio. «Credo che le pile siano scariche...» Diede qualche colpetto sulla plastica, per poi puntare gli infrarossi sopra la mia testa.

Il rumore di sottofondo era un ronzio, come se ci fosse un nido di vespe lì vicino. Improvvisamente, una voce femminile riempì il silenzio della stanza, facendoci sussultare.

«Passiamo alle notizie di oggi: incidente sulla Lexington Avenue, un'auto è andat-» Fu interrotta dalla voce di mia zia.

«Non voglio sentire queste cose!» esclamò, colpendo ancora l'aggeggio. «Ho già abbastanza angoscia da parte mia.» aggiunse, facendomi sorridere.

Di nuovo, provò a cambiare stazione finendo su una che trasmetteva canzoni natalizie. In quel momento, era in riproduzione "Let it snow", che cadeva a pennello sulla situazione metereologica.

«Beh, sempre meglio di niente...» commentò, facendo spallucce.

La guardai e mi chiesi come poteva essere così fredda e distaccata sul periodo così bello e colorato. Persino io riuscivo a vedere tutto più acceso. Sembrava insensibile a tutto ciò che la circondava, tranne per il negozio ovviamente. Aveva vissuto in quel locale fin da giovane: era tutta la sua vita. Peccato che avesse deciso, a malincuore, di chiudere. Ma lei diceva sempre che doveva godersi la pensione fra viaggi e uomini muscolosi alle Canarie.

Tornai con il naso sul pc, scorrendo come una matta la home dei vari siti di lavoro. Ma qualcosa attirò la mia attenzione fuori. Mi parve di aver visto qualcosa correre velocemente sul marciapiede.

Quando mi alzai dalla sedia, vidi un ragazzo che cercava di rimanere in piedi sul ghiaccio e sulla neve. Lo guardai sorridendo, anzi, provai a non ridergli in faccia, visto che poteva vedermi benissimo attraverso il vetro.

Cadde a terra e non potei reggere più. Sembrava una scena comica. Mi nascosi dietro il computer, comprendo la faccia con le mani. Non ridevo così tanto da mesi.

«Che succede?» esordì mia zia, sentendomi.

Scossi la testa, cercando di tornare in me, ma con scarsi risultati. Non riuscivo a togliere il riso dalla mia bocca.

Mi scorsi un po' per vedere se stesse bene. Si alzò in piedi, zoppicando. Massaggiò velocemente il sedere; era girato di spalle e sembrava così grande.

«Poverino...» sussurrai, continuando a guardare. Da dietro, sembrava abbastanza affascinante, ma quando notai che stava camminando in direzione della porta, tornai al mio posto non staccando gli occhi dallo schermo.

Sentii le campanelline suonare su di essa, e vedendo l'uomo con la coda dell'occhio, feci finta di nulla per evitare di ridergli in faccia. Trattenni le risate, guardando fissa davanti a me. Però, non riuscivo a non pensare a ciò che avevo appena visto.

Pensavo ci fosse mia zia ad accoglierlo, ma quando non udii la sua voce, divenni costretta a voltarmi. Ero talmente presa a osservare fuori che non mi accorsi della sua assenza.

Mi sentii osservata, come se fossi sott'occhio da una miriade di persone.

«Salve, benv-» Alla sua vista, mi si gelò il sangue. Rimasi paralizzata su i miei piedi. Sembrava che la temperatura fosse precipitata a picco nel locale.
«J-James?»

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