QUATTORDICI

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

CAPITOLO 14 | CAFFE', GELOSIA E NUOVI VICINI

2017

"There's a room in everyone where a cold answer can be found."

(Matthew Perryman Jones - Cold answer)

MI corico sul divano, la testa sul cuscino e le gambe allungate sul grembo di Kevin, che sta svogliatamente cercando qualcosa di interessante in televisione.

Guardo il mio soffitto, senza realmente vederlo, ripensando alla risata di Moira Thomson e alla mano del professor Morgan sulla sua schiena. Non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che dovrei trovare un modo delicato per farlo sapere a Vicky.

Morgan le ha consigliato Lolita - dio mio, Lolita - e lei aveva in quei suoi occhi scuri la stessa luce che so per certo accendeva i miei al tempo delle lezioni di filologia romanza.

Mi passo le mani sul viso, sospirando.

Kevin mi stringe un ginocchio, "Ci stai ancora pensando?" mi chiede, inclinando appena la testa nella mia direzione.

"Lui sta con Moira, me lo hai detto tu-"

"Per quello che so, ," mi conferma, annuendo brevemente.

Rifletto per un istante, alla ricerca delle parole migliori per esprimere il groviglio di sensazioni che mi sento addosso. L'unico sottofondo che mi offre la mia casa è quello delle voci a volume minimo degli ospiti di un talk-show.

"E le ha consigliato Lolita, Lolita!" Kevin mi accarezza gentilmente la gamba, dal ginocchio fino alla caviglia, mentre io mi sollevo dal cuscino e mi metto a sedere, quasi a voler dare una forza aggiuntiva alla mia voce. "... deve voler dire qualcosa."

Lui sorride con indulgenza.

"Qualche volta un consiglio è disinteressato, e un libro è soltanto un libro."

"Un libro non è mai soltanto un libro," dico decisa. "E tu lo dovresti sapere più di chiunque altro."

Volto lo sguardo, e Kevin segue i miei occhi. Ci ritroviamo a guardare, appoggiata sul tavolino basso che sta tra televisione e divano, l'edizione amata e rovinata dalla copertina blu notte, che è stata l'inizio di ogni cosa.

Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. (1)

Un libro non è mai soltanto un libro, e mi chiedo se Vicky non lo abbia già imparato a sue spese.

*

Nel buio della camera da letto, le sue dita disegnano figure astratte sulla tela spruzzata di lentiggini che è la mia schiena.

"Non dovresti tornare a casa?"

"Non vedi l'ora di mandarmi via?"

"No, è solo che-"

Mi interrompo. Sappiamo entrambi cosa voglio dire, ma fortunatamente Kevin decide di risparmiarmi l'umiliazione di chiedere se sua moglie e i suoi figli non lo stiano aspettando.

"... Jane è da sua madre con i bambini, e io ho detto che sarei tornato solo domani." Al mio silenzio, lo sento irrigidirsi tra le coperte. La sua mano sulla mia schiena si ferma, e quando parla di nuovo, la sua voce è incerta, "Mi dispiace, avrei dovuto-"

"No," dico soltanto, risistemandomi su di lui nell'oscurità. Non dovresti tornare dalla tua famiglia? Perché di certo la tua famiglia non sono io. "Va bene. Resta."

Ho avuto un assaggio di vita normale, in questi giorni a Glasgow. Tenersi per mano, baciarsi nei pub, dormire e svegliarsi nello stesso letto. Ora è arrivato il momento di restituire tutto e tornare a nascondermi nell'ombra, ad aspettare.

Mas so qu'ieu vuelh m'es atahis. (2)

*

Io e Grace abbiamo preso un caffè al bar dell'università: nel tempo trascorso insieme, lei mi ha pazientemente osservato mettermi le mani nei capelli e lanciare improperi creativi contro i miei studenti che, da quanto sono riuscita a concludere dai fogli sparsi davanti a me, hanno trovato metodi ancora più creativi - e completamente sbagliati - per risolvere gli esercizi di Linguistica Generale.

"Posso già immaginare la faccia della Lee," ride Gracie. Si alza in piedi, infilandosi il cappotto.

Alzo gli occhi al cielo, "Non farmici pensare," borbotto. Scaccio dalla mia mente la professoressa di Linguistica Generale, sorridendo alla mia amica, ormai completamente vestita e pronta per affrontare il freddo invernale che la attende, fuori dalla caffetteria. "Hai un appuntamento con Luke?"

Annuisce, "Dobbiamo riguardare degli appunti di Computazionale," mi spiega con una smorfia, facendo segno al raccoglitore decisamente ingombrante che sbuca dalla sua borsa, "... molto romantico."

"Sono sicura che riuscirai a inventarti qualcosa," le dico, ammiccando in maniera volutamente esagerata.

"Già, probabilmente sì," - Gracie mi sorride, una luce maliziosa negli occhi. Si sporge sul tavolo per darmi un bacio sulla guancia. - "Non essere troppo cattiva, ma nemmeno troppo clemente," mi istruisce divertita, accennando con il mento al campo di battaglia di fogli sparsi sul tavolino.

Quando se ne è andata, recupero dal mio astuccio una penna rossa. Osservo il primo foglio di esercizi davanti a me e l'unica cosa che vorrei fare è sbattere la testa contro il tavolino, perché ho già individuato due errori nella prima consegna e dio mio sarà una lunga giornata.

*

"Hai davvero bisogno di un caffè."

Ho una penna tra le dita e una infilata dietro l'orecchio, i capelli raccolti sulla nuca in uno chignon che minaccia di crollare da un secondo all'altro, e ho sporcato almeno tre fogli con la marmellata di arance dell'ultimo muffin che ho mangiato.

Sì, voce della misericordia, ho davvero bisogno di un caffè.

Alzo la testa, trovando davanti a me il sorriso malandrino di un uomo in jeans scuri e camicia azzurra, i palmi delle mani sul mio tavolino e una luce indulgente negli occhi.

"Ciao, Joe," saluto, ricambiando la sua espressione. "È così evidente?"

"Abbastanza," replica, inclinando appena la testa per osservare con una smorfia i fogli sparsi davanti a me. "Tutorato? Dio, non so davvero chi te l'abbia fatto fare."

"La paga misera, i crediti bonus, la lettera di raccomandazione," rispondo in tono piatto, stropicciandomi gli occhi.

Joe ride, spostando i palmi dal tavolino e rimettendosi dritto in piedi. "Allora, mi fai compagnia?"

Annuisco, spingendo indietro la sedia ed alzandomi in piedi. Il mondo non finirà di certo se abbandono per cinque minuti quei terribili esercizi.

"Tu che ci fai qui?" chiedo, mentre ci dirigiamo verso la cassa. "L'ultima volta che ho incrociato Blake, ti stavi ancora godendo la tua borsa di studio a Portland."

"Sono a casa per le feste, e oggi dovevo consegnare un paio di documenti in segreteria" mi spiega. Mi blocca con una mano quando prendo il portafoglio, "Non pensarci neanche," mi ammonisce con un sorriso. Alza la testa verso il cassiere, porgendogli una banconota. "... un espresso per me, un americano e un bagel di sesamo per la signorina."

Odio la sicurezza di chi si prende la libertà di parlare per altri, in qualsiasi situazione. Questa volta però mi ritrovo a guardare Joe con le labbra dischiuse, tutta la sorpresa evidente nei miei occhi. Perché forse non è un dettaglio così difficile da ricordare - chi mi conosce anche solo superficialmente impara presto che la mia dieta universitaria è costituita da bagel e caffè americano - ma è un gesto così intimamente affettuoso che per un istante vorrei solo abbracciarlo.

"Joe, non dovevi," dico soltanto, mentre ci spostiamo al bancone per ritirare la nostra ordinazione.

Ricordo di avergli detto qualcosa di simile, quel giorno, tanto tempo fa.

L'immagine di quest'uomo ormai fatto e finito si sovrappone a quella di un ragazzo con i capelli spettinati e il sorriso sulle labbra, che si gratta la nuca imbarazzato e mi porge il caffè e il bagel per ristorarmi dopo l'esame di filologia romanza.

È come essere tornati indietro - e anche Joe deve sentirlo. La sua risposta lo tradisce.

"Non ti ci abituare," mi dice - è nostalgia, nella sua voce? Per quello che avremmo potuto essere, per quello che non saremo mai - sporgendosi per arruffarmi i capelli.

Il mio già precario chignon crolla definitivamente, e dopo un lungo secondo scoppiamo entrambi a ridere, il dolceamaro del ricordo che scivola lontano.

(1) Incipit Lolita

(2) Jaufrè Rudel

2015

"There is no sweeter innocence than our gentle sin."

(Hozier - Take me to church)

I giorni scorrono troppo velocemente da quando sono tornata a Oxford, dopo le vacanze di Natale.

Sto accumulando più ore possibili a La Libellula, per essere sicura di potermi prendere le mezze giornate libere che mi serviranno in questa sessione d'esami, e il resto del mio tempo vola tra i libri di filologia romanza.

Sto studiando senza sosta, e non perché mi riesca difficile - voglio soltanto rivedere quel lampo di orgoglio negli occhi di Kevin, il giorno dell'esame, ed essere sicura di essermi meritata il voto che prenderò.

Da quella notte del primo dell'anno, abbiamo preso l'abitudine di sentirci per telefono. Niente di morboso o troppo frequente - qualche messaggio, ogni tanto una telefonata - e sempre da parte sua - non potrei mai essere io a chiamarlo per prima, ovviamente.

Sua moglie e i suoi bambini non hanno un volto per me, e questo egoisticamente - solo qualche volta, e solo per qualche secondo - mi permette di fingere che il mio problema più grande, al momento, sia avere una cotta per un mio professore, e non per un uomo sposato.

Sospiro, alzandomi dal tavolo della cucina dove ho sparso tutti i miei appunti e trascinandomi verso i fornelli.

Tanto per cambiare, ho bisogno di un caffè.

2017

"Don't tell me that I've changed because that's not the truth, and now I'm losing you."

(Mumford and Sons - Ditmas)

Mentre attraverso il corridoio del dipartimento, diretta verso l'ufficio di Kevin, ho ancora il sorriso sulle labbra.

Io e Joe abbiamo pranzato insieme, seduti al tavolino della caffetteria: gli ho raccontato di come procede la mia tesi, del convegno a Glasgow - quasi tutto, non proprio tutto -, del periodo trascorso in Irlanda per il matrimonio di mia sorella, e lui in cambio mi ha parlato di tutte le bellezze di Portland e dell'Oregon, dell'accento veramente strano degli americani e del gruppo di amici che è riuscito a costruirsi all'interno dell'università.

Busso due volte alla porta dell'ufficio, ripensando a come io e Joe siamo rimasti d'accordo per organizzare una allegra serata di bevute insieme al resto del gruppo, prima dell'arrivo del Natale. Dopo tutto questo tempo, è davvero bello poter dire con sincerità che siamo davvero vecchi amici.

"Un momento," dice la voce dall'altra parte del legno spesso, con quel tono burbero e un po' ruvido che ho imparato a conoscere così bene.

Sento il rumore di una sedia che viene spostata, e poi rapidi passi.

"Ehi." Sorrido alla vista di Kevin quando apre la porta, inclinando appena la testa di lato alla sua espressione scura. "... qualcosa non va?"

"Entra," mi dice soltanto, spostandosi quando basta dall'uscio per farmi passare.

"Cosa-"

Non ho il tempo di proseguire, perché le sue mani si chiudono sulle mie spalle, muovendomi contro la porta, che si chiude con un colpo secco sotto la spinta della mia schiena. Kevin mi bacia senza darmi spiegazioni, la sua bocca che cerca, lecca e morde con una disperazione che mi riporta alla mente una sera lontana, sulla porta del mio appartamento.

Lascio scivolare a terra il giaccone, che avevo tolto lungo il corridoio, e la borsa, ancorandomi con le dita al colletto della sua camicia. Sento appena il rumore della chiave che gira nella toppa.

"Kevin, cosa..." riprovo, sospirando tra un bacio e l'altro. Chiudo gli occhi, perdendo la concentrazione quando le sue labbra indugiano sul mio collo, allargando senza troppi complimenti lo scollo del mio maglione alla ricerca di pelle nuda.

Cerco di spingerlo indietro quando mi morde, stringendo la carne quanto basta da lasciarmi un segno.

"... cosa diavolo ti prende?"

"Ti ho vista con lui, al bar," sussurra nell'incavo del mio collo, baciando il segno che mi ha appena lasciato.

Joe. Oh.

"E quindi?" chiedo, sentendo un'ondata di rabbia salire dal mio stomaco.

"Non riesci davvero a vedere come ti guarda, non è vero?" sbotta, la voce avvelenata.

"Stai zitto," dico, e per tutta risposta lui mi bacia di nuovo, chiudendomi la bocca con la sua. Le mie mani lottano per strappare i bottoni della sua camicia. "È solo un amico!"

"Amico," ripete, come un insulto. C'è una smorfia arrabbiata sulla sua bocca che ha uno specchio perfetto nel buio del suo sguardo.

"Sì, amico," ribatto, lo stesso fuoco negli occhi. "Non ho niente da nascondere," affondo, il respiro affannoso.

Quello che non sto dicendo riecheggia chiaro e potente nel silenzio della stanza.

Tu puoi dire lo stesso?

Kevin non risponde, non a parole: mi solleva in un unico movimento, afferrandomi le cosce e guidandomi ad allacciare le gambe alla sua vita. Si sbilancia appena in avanti, schiacciandomi contro il legno freddo, e anche attraverso strati e strati di vestiti decisamente ingombranti, posso sentire la sua eccitazione tra le mie gambe. Si muove contro di me - poco, quanto basta per riaggiustare la stretta che ha sul mio corpo - e io devo sforzarmi con ogni mezzo per trattenere un gemito.

Gli circondo il collo con le braccia. Le sue mani sono ancora strette sulle mie cosce, mentre continua a muoversi contro di me - lentamente, troppo lentamente. Provo a spingermi contro di lui a mia volta, alla ricerca disperata di tutto il contatto che mi serve, ma il modo in cui mi stringe mi rende davvero difficile avere voce in questo capitolo.

"Dio, Kevin..."

Si stacca dalla porta, reggendomi come se non pesassi nulla. La sua lingua torna a cercare la mia bocca mentre si muove verso il divano, totalmente concentrato nel divorarmi, in un percorso che in anni di pratica abbiamo imparato a memoria.

*

Quando abbiamo finito, siamo coricati una sopra l'altro su un divano che sicuramente non è stato pensato per ospitare questo genere di attività.

La sua mano mi accarezza i capelli sciolti. Vorrei ridere, perché lui ha la camicia aperta e i pantaloni slacciati ancora addosso, e io ho soltanto i calzini ai piedi e il reggiseno - siamo un quadro sicuramente comico, ma la risata si spegne nella mia gola quando sollevo appena la testa per cercare i suoi occhi.

Sta guardando verso l'alto, lo sguardo spento e distante, e per la prima volta non riesco a capire dove stiano andando i suoi pensieri.

*

Quella sera, dopo tanto tempo, sento il bisogno di fumare una sigaretta.

Il balcone della mia camera da letto si affaccia sul cortiletto interno del mio palazzo. Stretta nel mio giaccone, i pantaloni di flanella e le pantofole, inspiro una lunga boccata dalla mia Lucky Strike, godendomi la quiete della sera.

Il morso che Kevin mi ha lasciato sulla spalla brucia ancora un po' contro la stoffa della maglietta, un marchio dell'incontro di oggi pomeriggio. Doloroso quanto basta.

Se ci ripenso, sento di nuovo quell'arrabbiato fastidio crescere dentro di me. Ripenso all'astio nella sua voce, alla primordiale territorialità del gesto che si è consumato sul suo divano.

Hai paura di perdermi?

La mia mente scivola al suo sguardo distante, dopo, e la mia stizza muore, cedendo il passo alla tristezza.

La portafinestra del lungo balcone che fa angolo con il mio si apre con uno scatto secco, strappandomi ad ulteriori pensieri cupi.

Ormai quasi alla fine della mia sigaretta, osservo con crescente stupore l'uomo che appare dall'interno dell'appartamento: a questa distanza, nella poca luce che ho a disposizione, scorgo la rapida fiammella di un accendino e poi il minuscolo puntino rosso di una sigaretta. Non riesco a staccargli gli occhi di dosso, mentre - sempre, sempre più stupita - prendo nota dei suoi corti capelli castani, di una barba abbastanza lunga ma perfettamente curata e di un fisico decisamente scolpito.

Un fisico di cui posso bere ogni dettaglio, perché l'uomo che fuma sul balcone è completamente nudo.

Il mozzicone di Lucky Strike mi sfugge dalle mani quando lo sconosciuto alza il mento nella mia direzione, rivolgendomi uno smagliante sorriso.

"Bella serata, mh?"

Ho la bocca spalancata e il cervello in cortocircuito dinanzi all'assurdità della situazione e al sorriso ammaliante dell'uomo nudo sul balcone. Fortunatamente, non ho la possibilità di pensare ulteriormente a una risposta che renda questa situazione meno assurda di quanto già non sia: la portafinestra dell'appartamento si spalanca nuovamente, e ho solo il tempo di vedere una snella figura femminile allungare un braccio di fuori, in una girandola di lunghi capelli rosso scuro, e arraffare l'avambraccio dell'uomo nudo, trascinandolo all'interno senza troppi complimenti.

Osservo per qualche istante la portafinestra ormai chiusa, il freddo che ormai, a sigaretta finita, inizia a farmi battere i denti.

A quanto pare, ho dei nuovi vicini.


Ciao a tutti!

Rieccoci dopo una lunga pausa, iniziando questo 2018 con il botto! Oggi vi propongo un capitolo piuttosto intenso per il 2017 (come vedete, nell'ormai 2015 succede praticamente nulla, se escludiamo le pare mentali di Holly), in cui la nostra protagonista si sofferma un po' a pensare al rapporto tra Vicky e il professor Morgan - o almeno, a quello che sa -, beve un caffè con una vecchia conoscenza del 2014 (Joe, tanti cuori per te!), subisce una scenata di gelosia da perte del suo uomo cavernicolo, e infine fa all'incirca la conoscenza di questi nuovi vicini.

Oh, non dimenticatevi di questi nuovi vicini, sono importanti: tra poco un'altra amica si aggiungerà a this_is_a_puzzle, che così si fa quadrilatero. Sentirete nuovamente parlare dei nuovi vicini di Holly (che credetemi, sono strani, ma strani forte) quando la nostra amica Sybil apparirà sulla scena.

Nel frattempo, godetevi anche la storia di Piper, Us against the world, e quella di Vicky, Victoria's State of mind: continuate a seguirci e a farci sapere cosa ne pensate!

Noi ci vediamo venerdì prossimo! ;)

Holly

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro