Sogno o Son Desto

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Ero lì... O forse non era così, so solo che di fronte a me c'era un lontano 1950, circa, dal modo tutto abbottonato di vestire e dalle automobili di vecchia data, ed ero nella vecchia Montgomery; lo diceva anche il cartello della fermata dell'autobus di fronte a me.

Tornai indietro con la mente alle vecchie lezioni di storia ed hai miei ricordi di quel periodo, e mi resi conto della sconcertante verità. Ero nella vecchia Montgomery della segregazione razziale: Sammy, in quel periodo aveva studiato legge e aveva avuto la sua vita più brutta ma anche più intensa.

Indossavo un vecchio abito a righe con sopra un gilet di cotone spesso, avevo delle calze che pizzicavano in tutta loro lunghezza, delle scarpe scomode di cuoio marrone e una borsa patchwork dai colori caldi quasi del tutto sfilacciata e ormai pronta a prendere la via verso il cassonetto.

Nell'aria c'era musica jazz e odore di naftalina per gli armadi, come anche dopobarba costosi e qualche whisky scadente che aveva corretto dei caffè lunghissimi.
Intorno a me, tutti erano così ordinati ed eleganti, con i loro mocassini di pelle italiana e le giacche sartoriali che li facevano sembrare ancora più panciuti e imponenti. Non ricordavo il mondo in quel modo, mi sembrava più finto che un episodio de "la signora in giallo".

Faceva freddo, gli alberi si erano già tinti di scuro o, erano già spogli; il fumo delle auto era fastidioso e intossicante, e aspettavo in attesa con un'altra decina di persone, un autobus che del centro andava verso i sobborghi e i quartieri popolari.

E infondo al gruppo, intravidi Sammy e una ragazza che parlavano incessantemente e molto velocemente. Non riuscivo a capire di cosa discutevano così animatamente. Lui gesticolava inquieto e lei sembrava ascoltarlo poco, ma parlargli sopra in tono litigioso. Non urlavano, non davano fastidio a nessuno e sotto quel traffico e la pioggerella quasi non si sentivano.

Il mio adorato Samael, indossava un completo grigio gessato e un cappello Fedora dello stesso colore, stringendo la giacca su un braccio, la cravatta porpora era allentata e abbandonata sulla camicia color avorio. E i suoi occhi azzurri brillavano anche a quella distanza. I suoi capelli erano quasi del tutto nascosti sotto quel cappello, ma gli stava talmente bene che sembrava fatto apposta per lui. E non importava se sembrava pelato.

Provai a chiamarlo, più e più volte, sbracciandomi e sgolandomi ma Sammy, non sembrava sentirmi.

Cigolante e con uno sbuffo ci si fermò davanti un mezzo dalla vernice rovinata e dal colore indistinto: sembrava un marrone caldo, con un sottotono verde e arancio. Un paio di finestrini erano sbeccati e sulla fiancata dove le porte si aprivano, il cartello esaustivo, fin troppo, mi fece capire che avevo azzeccato le ipotesi su dove e quando mi trovassi:

"Montgomery Bus s.p.a, dall'aeroporto alla discarica. As. 1952. I neri sono invitati a salire dietro e di dare la precedenza ai bianchi. Si prega di non portare cibo o bevande a bordo. I cani non sono ammessi"

E appena le porte cigolanti, che decisamente hanno bisogno di olio, si aprono, saliamo tutti insieme. L'ambiente puzza di sudore e umidità, di muffa e di pelle.

Sammy e la ragazza continuavano a parlare e anche se mi avvicinavo, c'era come qualcosa che mi tratteneva. La ragazza che era con Sammy, che indossava un abito purpureo a scacchi anche neri e un cappotto col colletto in pelliccia, aveva dei lucidi capelli neri e una bella pelle nocciolata.

La ragazza fu sul punto di cadere al primo scossone dell'autobus e per non cedere alla gravità di appoggiò al sedile di un passeggero dall'espressione schifata, che scagliò con forza il suo bastone da passeggio sulla mano della ragazza.

Percepì la forza e la cattiveria del gesto e allo stesso tempo, il dolore di lei, Sarah Muller: la mano bruciava, l'umiliazione era ancora peggio, ma strinse i denti e si scusó con quell'uomo cattivo, che si sentiva tanto superiore a lei. Sarah, abbassò il capo, chiedendo perdono, con la voce strozzata, poi tornò vicino a Sammy, con la mano gonfia e gli occhi cerchiati di lacrime. Sapeva di non poter fare nulla e che bisognava solo evitare di inemicarsi ancora di più quei "bianchi" e che un giorno magari le cose sarebbero andate meglio.

Ma Sammy, non la vide allo stesso modo, anzi non era più disposto a subire quei soprusi, era stanco e sentiva i suoi poteri ribollirgli nelle vene dalla rabbia. I suoi occhi divennero rossi di rabbia e si avvicinò all'uomo che aveva fatto male a Sarah, gonfio in petto.

-Chiedile scusa!- esordì Sammy prendendo il bastone dell'uomo e rompendo, quasi fosse un ramoscello fragile.

Ormai sull'autobus tutti guardavano la scena. L'uomo, forse caricato da questa cosa e certo che la polizia avrebbe preso a manganellate quel "brutto nero" si alzò.

-Altrimenti?- chiese stizzito e rissoso.

-Sam, dai smettila, sto bene, non fare così...- lo imploró Sarah, con delle parole che sarebbero potute benissimo uscire anche dalla mia bocca. La mia ansia e quella di Sarah erano all'unisono.

Sam si voltò verso Sarah, le sorrise, e con un colpo secco scaraventó quel borghese "bianco" fuori dal finestrino dell'autobus.

Esso frenó all'improvviso e Sammy si affrettò a scendere, intimando a Sarah di non muoversi. La folla scese dietro a Sammy e si creò una specie di arena. Molta gente guardò se l'uomo, Gerald, stava bene, anche se ferito nel suo orgoglio di maschio alfa.

Un'altra buona parte si mise dalla parte di Sammy. E io come negli ultimi dieci minuti, cercai con tutte le mie forze di richiamarlo, avvicinarlo, come anche cercare di calmarlo.

Quando Gerald fu di nuovo in piedi, con qualche taglio e una bella escoriazione sulla guancia in risposta alla caduta, puntò una pistola verso Sammy che per quanto cercò di scansarsi, venne preso in piena schiena.

La scena fu orribile, il caos era predominante; c'era gente che urlava, gente che scappava, la polizia era stata chiamata e così l'ambulanza. E c'era Sammy, disteso per terra, in un lago di sangue. Tremava e gli presi la testa tra le mani.

-Lucy... Ehi- disse sorridendo.

-No-no, Sam, perché l'hai fatto?- sentivo le mie lacrime calde scivolarmi sulle guance. Il cuore era esploso in mille pezzi e sapevo che il cerchio sarebbe ricominciato.

-Ehi, va tutto bene... Dovevo fare qualcosa. Magari da qui a un paio d'anni una persona più forte di me, riuscirà a rendere questo mondo un posto migliore... Non piangere Lu, non sarà orribile ricominciare, non dopo tutto questo tempo- fece con un sorriso.

-Ma non pensi ai progressi che avevi fatto? Non pensi che questa volta sarebbe potuta andare meglio?-

Lui scosse il capo. -No Lu, ho fatto delle cose orribili e poi... Poi sono certo che l'unica persona che può rendermi migliore... L'unica, sei tu, Lu- e pronunciando il mio nome esaló l'ultimo respiro...

Saltai in piedi, madida di sudore, ancora tremante e con lacrime calde che mi rigavano la faccia, ormai appiccicosa.
Era stato... Non era stato un sogno, forse una visione fin troppo nitida di quello che era successo a Sammy nel 1952, della sua penultima morte. Delle parole che mi avevano cambiato la vita.

Ma ero di nuovo lì, di nuovo nello shikumen numero 4, il cielo fuori era rosa e sentivo l'aria frizzante del mattino tirare sin da dove mi trovavo.

Schizzai in camera di Sammy e lo trovai ancora sereno e addormentato, con Buck ai piedi del letto che nel vedermi, alzò la testa incuriosito e si alzò venendo da me.
Accarezzai il folto pelo color crema, sedendomi sul pavimento e cercando una ragione per calmarmi.

Quella visione era stata vera in parte: sì, quando avevo sentito lo sparo, dall'alto della città d'argento ero scesa di volata, ma io non ero stata lì il resto del tempo e non avevo mai saputo com'era successo quella volta.

Stringevo Buck a me, sperando di calmarmi, ma era più forte di me continuare a piangere. E avevo pianto le morti di Sammy così tante volte che ormai avevo smesso di contarle.

Quella volta, doveva andare meglio e non solo per lui, anche per me: non ero certa di riuscire a riprendermi se fosse morto di nuovo, sopratutto dopo aver passato tutta la vita con lui. Sammy ormai era il mio bambino, quello che non avevo mai avuto e veder morire un cugino era un conto, veder morire il proprio bambino era in altro.

Asciugai il viso e misi il collare ed il guinzaglio e Buck, poi uscì con lui, fuori dall'appartamento. L'aria era fresca e spiovigginava appena, ma tanto bastò a darmi un giro di contegno. Erano forse le 3 ed era luglio, le lezioni erano finite e a settembre Sammy avrebbe iniziato le elementari.

Shangai era stupenda sotto ogni punto di vista ma forse era il momento di cambiare. Sammy parlava la lingua alla perfezione e la capiva anche molto bene, ma qualcuno cominciava a farsi domande.

Osservai lo shikumen, che era stato il mio rifugio e il mio punto di riferimento, con i suoi mattoni a vista e la sua struttura essenziale e mi resi conto che ero lì da così tanto tempo che quasi la consideravo una casa.

Ed era proprio quello il motivo per cui dovevo ripartire, per non rendere le cose ancora più difficili.

Tornai di sopra con Buck e lo osservai mettersi nella sua cuccia, accavallando le zampe anteriori. Aprì il portatile e visionai l'economia globale, le migliori istituzioni e le migliori scuole. C'erano molte opzioni ma solo un posto mi attirava più di alti: Svizzera.

Studiai la sua vasta cultura e le sue molteplici lingue, il suo famoso "romancio" e il suo essere indipendente, e casa di molti studiosi ed ecologisti:

"Zurigo è, con 434 436 abitanti, la maggiore città della Svizzera, nonché il capoluogo del cantone omonimo. È divisa in 12 quartieri. L'agglomerato urbano raggiunge 1,3 milioni di abitanti e la sua regione metropolitana 1,83 milioni. Zurigo è stata classificata, insieme a Ginevra e Basilea, tra le dieci città più vivibili del mondo."

Zurigo, prometteva bene e non sarebbe stato difficile trovare un appartamento grande abbastanza per me, Sammy, Buck, i nostri pesci e i pochi averi. In effetti ne trovai uno a 20 minuti dal centro, 3,5 locali, piano terra e una terrazza; osservai le immagini e i giudizi, era arredato e non era del tutto nuovo. Lo presi, non ci pensai due volte.

Mandai un email all'università e mandai avanti la parte burocratica, iscrivendo poi Sammy a scuola già quel settembre. Finito lì, guardai il cane:

-Tienilo d'occhio, io torno subito- ammonì a Buck e pensai che da "slime-skin" a New York, avrei trovato sicuramente degli scatoloni per il trasloco. Recuperai dal fondo dei miei pensieri la collocazione geografica del negozio e mi ci concentrai per arrivare proprio lì. La sensazione di muovermi nell'atmosfera, era inebriante ed eccitante, l'aria era forte e mi trasportava, ed io ero energia pura.

Mi trasportai a poche vie dal grande magazzino e ancora rimbambita dal "sogno" e dall'uso dei miei dormienti poteri, mi dovetti reggere alla parete umida e rovinata dell'edificio a fianco a me. A grandi passi, solcai la poca distanza tra me e "slime-skin" ed entrai nel negozio.

Come sempre c'era una vasta scelta di ogni genere di chincaglieria esistente e l'aria profumava di legno. Camminai tra i corridoi, ben decisa a fare una spesa di grosse dimensioni: una ventina di scatole da trasloco, scotch da carta per chiuderli, un paio di giacche e giacconi pesanti per me e per Sammy, dei mammuth di pelo e delle galoch anti pioggia. E passando dall'utile al dilettevole, acquistai una trentina di quaderni a poco più di 2 dollari e una partita di cancelleria, tra cui penne, colori e colla che sarebbe bastato a Sammy per oltre un paio di anni.

Pagai tutto con grande fretta, con la strana sensazione che ci fosse qualcosa in agguato nell'aria. Uscendo dal negozio, tornai nel vicolo e, ponendo tutto per bene, mi sedetti per terra e meditai, cercando di capire che cosa turbasse la mia psiche; se erano ansie da madre ansiosa o se c'era un pericolo reale.

Non riuscendo a capire e non trovando alcun cervello "superiore" tra la marea di esseri umani, pensai che fosse solo una mia paura cronica, infondo non era la prima volta.

Così, tornai a canalizzarmi sul pensiero di Sammy e dello shikumen e mi ci proiettai dentro. Atterrai cadendo sulle ginocchia, era troppo tempo che non lo facevo e ci stavo perdendo la mano. Buck alzò semplicemente il muso e mi squadró come per dire, "dove diamine eri?" poi guardò la marea di sacchetti, pensando, "sempre la solita" ed aveva ragione.

Tornai al computer e notai che il proprietario della casa di Zurigo, mi aveva risposto, accettando la mia proposta e promettendomi di potervi già entrare da lì a una settimana.

"fantastico... La fase 2 ha inizio e per la fase 3 ci penseremo più avanti" pensai tra me, riflettendo sulle fasi in cui dividere la vita di Sammy:

Fase 1: infante
Fase 2: bambino
Fase 3: adolescente
Fase 4: università
Fase 5:...

La fase 5 sarebbe stata una sua scelta. A ogni fase sarebbe seguito uno scopo ben preciso. La fase due ad esempio serviva per dare a Sammy una buona base di vita e una seconda lingua. Zurigo era perfetta per lo scopo, avrebbe avuto un ottima cultura e una nuova visione del mondo.

Aprì una delle prime scatole per il trasloco, mettendoci subito i nuovi acquisti e le cose poco utilizzate da noi.

Ci dedicai tempo e dedizione, forse fin troppo di tutto, perché percepì uno strisciare i piedi sul pavimento di legno. Voltandomi, Sammy, che si stropicciava gli occhi assonnato mi sgambettava in contro.

-Mammina, che cosa fai?- mi chiede sbiascicando le parole, ancora non del tutto sveglio.

-Niente Sammy... Lucy sta solo riordinando le idee- dissi stringendolo a me. Lui si siede sulle mie gambe e posa la testa sul mio petto.

-Andiamo da qualche parte, mammina?- mi chiede sbagliando.

-Penso... Credo proprio di sì, tesoro. Lucy ha avuto un lavoro, un buon lavoro in un altro posto e ha iscritto te a scuola proprio lì- dissi cercando di essere credibile, anche se al lavoro non ci avevo minimamente pensato.

-E io starò bene?- mi chiede.

Annuì e gli baciai il capo. -Sì, dolcezza. Ti farai tanti amici e ti insegnerò a sciare. Buck verrà con noi e così i pesci... Ti piacerà Sammy, te lo prometto-

Lui si volta verso di me, per guardarmi. I suoi grandi occhi azzurri sono così belli... Non sarebbero più stati rossi, mai più...

-Ti credo mammina... Dov'è che andiamo?-

-A Zurigo, in Svizzera... È un po' lontano ma Lucy sta già organizzando tutto il necessario- gli promisi. -Vuoi fare colazione?-

Lui annuì prontamente e mi alzai, tenendolo tra le braccia. Ordinai il tavolo, sistemai le tovagliette rosse e accesi sul computer qualche cartone per Sammy, mentre io mi mettevo ai fornelli.

Misi l'avena già idratata in un pentolino e lo cossi con un goccio di latte e di polvere di cacao. Versai lo yogurt ai frutti di bosco in una ciotola e vi versai sopra l'avena calda e qualche bacca e chicco d'uva. Gli porsi il tutto poi versai il succo d'ananas in un bicchiere e glielo piazzo di fianco, mentre attonito guarda Nick "testa rossa" risolvere un mistero di fisica.

Lui mangia tranquillo e io sgranocchio una barretta ai semi di lino, di zucca e miele. Poi mando avanti la nostra routine.

Apro le finestre e do' aria alla camera di Sammy e così al suo letto. Il mattino è frizzante e io sono pronta ad una nuova giornata, sperando di non pensare più alla visione di quella notte.

Mi vesto rapidamente, indossando un semplice maglioncino azzurro cenere leggero e un jeans blu vecchio e frusto.

Appena finisce il cartone, lo sollevo dalla sedia e lo porto in bagno.

-Forza puzzola che oggi ti porto al laboratorio degli orsetti di peluche in centro, così te lo puoi fare da solo, mentre Lucy si dà alla ceramica con le altre mamme-

Lui saltella felice e si lascia levare il pigiama a righe blu e bianche, e mentre si lava i dentini, gli pettino i lunghi capelli ricci, che grazie ad un po' di pazienza e un po' d'olio sono riuscita a ammollare.

Poi gli faccio infilare un pantalone rosso della tuta e un maglioncino bianco con sottilissime righe blu. Poi, come sempre mi scappa e comincia a correre e a giocare con l'enorme e rovinatissima corda colorata di Buck.

Ma non riesco a frenarlo, è così felice, così sereno, mentre gioca con il grande cane che si diverte quasi quanto lui. Mi appoggio alla parete con le braccia incrociate ad osservarli.

-Sam...- canzono, senza aspettarmi veramente che mi dia retta. -Sammy, tesoro, faremo tardi e Chang e Lynn saranno già lì...- continuo a tentare, senza però smettere di sorridere.

Siedo a terra, incredula ma anche beata nel mio piccolo angolo felice in cui il mio piccolo Sammy è veramente gioioso e pieno di allegria. Non dovrà più pensare al 1952 né alla vita successiva, ero con lui, niente sarebbe andato male se per una volta mi avesse dato retta.

-Sammy, dai amore dolce, giochi con Buck più tardi, è maleducazione arrivare tardi...-

Lui non sembra convinto ma poi, annuisce e mi viene in contro, lasciando che gli infili le calde e le piccole Sneakers, il cui bianco è ormai giallo dall'uso.

Gli infilo il giubbottino senza maniche e io infilo i fantasmini e le ballerine, prima di afferrare la borsa e, afferrare la mano di Sammy.

Insieme salutiamo Buck che già si infila nella sua cuccia e lasciamo l'appartamento chiudendolo a chiave. Salutiamo i vicini, scendiamo dalle scale e usciamo dallo shikumen, chiudendoci il cancello alle spalle, per poi buttarci nella davvero attiva Shangai.

Sarebbero state le ultime settimane che avremmo passato lì, ma ero certa che Sammy ne avrebbe sempre avuto un bellissimo ricordo. Infondo anche per me era così e non lo avrei dimenticato mai. 

Bene bene, anche questo capitolo è finito...

Come stare in merito a questo periodo? Io sono un po' fuori di me, vuole dire tante cose come anche nulla, se somigliate ad una mia amica 😂

Passiamo alle cose belle.

Vi ricordo che Sammy adulto è lui, Jesse Williams

Questo invece è il giovane Sammy di 6 anni... Sooooo Cute ❤️

Questo è l'outfit di Lucy oggi...

E per specificare la prima parte è ispirata alle vicende di Rosa Parks del 1955, esattamente 3 anni dopo gli eventi sopracitati.

Spero comunque che vi sia piaciuto 😊

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