Capitolo 14.

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- Io non lo so. Vorrei crederti, ma non posso. Non ti conosco, Kate. Appari dal nulla e mi dici che la mia intera vita è una menzogna, che i miei genitori non sono davvero i miei genitori e che la mia vera famiglia è probabilmente morta uccisa da uno stregone. Come faccio a crederti? - domando esasperata. 

- Ti sto dicendo la verità - affermò con sicurezza. 

- Mi stai parlando di stregoni, di Dannati, di persone che nemmeno conosco. E mi dici, per giunta, che non sono umana. Sarei pazza, se ti credessi. E in più non hai nessuna prova per dimostrarmi che stai dicendo la verità - risposi con altrettanta convinzione. 

Mi sentii, anche quella volta, divisa in due: il mio inconscio, per chissà quale motivo, credeva alla stramba storia di Kate e si fidava inspiegabilmente di lei, così come si fidava di Jared. D'altro canto, il mio cervello si rifiutava di credere alle assurdità che stava dicendo quella donna, anche se, allo stesso tempo, non riusciva a comprendere che senso avrebbe avuto raccontare una storia del genere se fosse falsa, a quale scopo. 

- In realtà una prova c'è - ammise incrociando le braccia al petto.

- Sarebbe? - chiesi titubante e poco fiduciosa.

- Io non dovrei rivelarti niente - annunciò prendendosi nervosamente le labbra tra i denti - ma tu hai tutto il diritto di saperlo - sentenziò battendo le mani e iniziando a sfregarle l'una contro l'altra.

- I tuoi genitori erano dei licantropi. E anche tu lo sei - dichiarò in fretta senza giri di parole, puntando i suoi occhi su di me, per studiare la mia reazione.

Licantropi.

Per quanto possa sembrare strano, quella notizia non mi sorprese più del resto. Non perché me lo aspettassi, ma perché ormai mi aspettavo di tutto, talmente ero sconvolta. 

- Questo dovrebbe aiutarmi a crederti? - chiesi in preda ad una risata isterica. 

- Non sembri sorpresa - disse Kate spalancando gli occhi sorpresa. 

- Tu, invece, mi sembri disperata. Non sai che altro inventarti, vero? - abbaio stizzita stringendo le labbra. 

- Non sei sorpresa perché tu sospetti di Jared - affermò con un sorrisetto compiaciuto. 

Quella donna era snervante. Era talmente astuta, intuitiva, diretta e sicura di sé, da farmi innervosire. Era come se riuscisse a vedere oltre, a cogliere ogni singolo particolare. Infatti era vero, sospettavo di Jared dal giorno in cui Chris aveva elaborato la sua assurda teoria, ma decisi ugualmente di negare. 

- Se avessi sospettato di lui, non l'avrei di certo seguito fin qui - mentii spudoratamente.

- Perché mi menti? Io sono sincera con te e vorrei lo fossi anche tu - mi sgridò risentita, facendomi sentire in colpa.

- Non ti sto mentendo - negai nuovamente.

Kate sbuffò sonoramente.

- Credi ai vampiri e non credi ai licantropi? - domandò incrociando le braccia.

- Io credo a ciò che vedo - sputai imitandola.

Kate si buttò su di me, afferrò le mie cosce con forza e avvicinò con prepotenza il suo volto al mio, obbligandomi a guardare i suoi chiari occhi glaciali che cercavano insistentemente i miei, senza battere ciglio. Deglutii e la fissai con altrettanta decisione, cercando di nascondere il timore e l'insicurezza che mi provocò quel contatto visivo così insistente. 

Improvvisamente, vidi delle nervature violacee ingrossarsi sulla sua fronte e invaderle il viso, per poi scendere lungo il collo e raggiungere le sue affusolate braccia. I suoi occhi sembravano perdere colore e prendere lucentezza. Distolsi lo sguardo da quegli occhi inquietanti e osservai le sue mani, anch'esse ricoperte da diverse venature esageratamente in rilievo. Sentii la sua presa farsi sempre più decisa, la mia pelle cominciava a bruciare e far male per l'eccessiva stretta. Poi, le sue mani cominciarono a ingrigirsi, sentii un rumore strano e le ossa delle sue mani sporsero in superficie, come se stessero crescendo all'improvviso e cercassero di fuoriuscire dall'ormai stretta pelle. Rabbrividii e cercai di divincolarmi.

- Kate basta, mi stai facendo paura - balbettai spaventata. 

La sua presa divenne insopportabilmente dolorosa.

- Mi stai facendo male! - urlai, mentre le sue dita sembravano allungarsi e affondare nella mia pelle.

- Basta! Ho capito! - ordinai furiosa e terrorizzata da ciò che avevo visto.

Kate mollò lentamente la presa, le sue mani si rimpolparono nuovamente, riprendendo il loro colore roseo e la loro forma naturale. Le enormi venature che invasero il suo corpo, sembrava si stessero ritirando, fino a scomparire definitivamente, lasciando la sua chiara pelle omogenea e luminosa, come lo era prima. Anche i suoi occhi persero quella strana lucentezza che li aveva resi così spaventosi e inquietanti. Guardai le mie cosce e vidi i segni rossi lasciati dalla sua ferrea stretta.

- Ora ci credi? - domandò soddisfatta.

Si, ci credevo, ma non volevo ammetterlo, né tanto meno dargliela vinta. Ero così sconvolta da quello che avevo visto, da volerlo inconsapevolmente nascondere. 

- Ammettiamo che io sia davvero un licantropo, perché non ululo alla luna?  — chiesi con sarcasmo, allargando le braccia e sollevando le sopracciglia.

- Herbert diede a Nick una specie di pozione che avrebbe dovuto somministrarti giornalmente, in modo tale da bloccare la tua vera natura e sembrare una ragazza normale, per nasconderti da Erasmus - disse guardandomi con attenzione.

- Ancora questo Herbert - borbottai sottovoce.

- Herbert Earwistink. È il nostro stregone - affermò con orgoglio.

"il saggio" pensai.

- Ti è mai successo qualcosa di strano prima che Nick morisse? - chiese tornando al nostro discorso, sporgendosi verso di me e guardandomi dal basso.

Scossi la testa.

- E dopo? - domandò annuendo fastidiosamente, come se sapesse già la risposta.

Sospirai.

- Immagino di si. Altrimenti Jared non ti avrebbe portata qui - rispose al posto mio.

Tutto sembrava assurdo, eppure tutto sembrava combaciare: il lupo nel sogno, la teoria di Chris sull'odio dei licantropi per i vampiri, la forza con cui avevo spinto Jared, la rabbia disumana che mi aveva fatto perdere il controllo, quella strana sensazione di bruciore alle ossa, il fischio nelle orecchie che mi aveva fatto perdere conoscenza e, infine, la caviglia che era magicamente guarita. Niente di tutto ciò era successo prima che papà morisse, anche gli incubi cominciarono dopo la sua morte. 

Scattai in piedi e mi presi il viso fra le mani, continuando a scuotere la testa bruscamente e tirando con le dita piccole ciocche di capelli. Continuavo a ripetermi che nulla di tutto ciò poteva essere vero, cercavo di convincermi che ci fosse una spiegazione logica a ciò che avevo visto e a ciò che mi stava accadendo, eppure mi sentivo come se stessi negando l'evidenza. Avevo visto con i miei stessi occhi il corpo di Kate cambiare aspetto, non l'avevo di certo vista trasformarsi in un enorme lupo, ma quanto avevo visto non era decisamente normale, non era umano, così come Luke. Qualsiasi cosa fosse e a prescindere da come l'avessi chiamata, non seguiva le leggi della natura, e l'idea che fossi un essere innaturale, mi stava divorando. La necessità di conoscere la verità mi avrebbe fatto esplodere la testa da lì a poco, se non avessi trovato anche una sola e misera prova che mi confermasse che anche io, come Kate, non ero umana. 

Mi guardai intorno, come in cerca di una risposta. Osservai i mobiletti bianchi e improvvisamente un'idea malsana invase la mia mente. Mi diressi a passi spediti verso uno dei tanti mobili, aprii l'anta e frugai dentro: lenzuoli, bende, fasce, cerotti e quello di cui avevo bisogno: un paio di forbici.

Le afferrai e le aprii, poi puntai la lama verso il mio polso.

Strizzai gli occhi e, senza troppo indugio, la infilzai nel mio braccio, lasciando che il sangue colasse sulla mia pelle e sporcasse il pavimento di piccole gocce rosse. In preda al dolore, lasciai cadere a terra le forbici insanguinate.

- Che diavolo.. - farfugliò Kate, raggiungendomi e posizionandosi al mio fianco.

Osservai la ferita che mi ero procurata: il sangue smise di sgorgare e il taglio si stava rimarginando lentamente.

A quel punto, non vi erano più dubbi: Kate diceva la verità.

- Intelligente e coraggiosa, come tua madre - sussurrò dolcemente, portandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

- Fingiamo per un solo istante che io creda a tutta la storia, che dovrei fare adesso? Tutta la mia vita è un'enorme bugia e - la voce mi si strozzò e scoppiai a piangere. 

Non riuscivo più a tenere dentro quel calderone di sentimenti che provavo, così mi lasciai andare ad un viscerale e straziante pianto.

Piansi perché non sapevo chi fosse la mia vera famiglia.

Piansi perché non sapevo chi fossi, né cosa fossi.

Piansi perché la mia vita era solamente una grossa e ingarbugliata menzogna.

Piansi perché molte persone erano morte per proteggermi.

Piansi per Nick, per Ann, per Luke, per Chris.

E Kate pianse con me, avvolgendomi in un caldo abbraccio materno. 

E' difficile quantificare per quanto tempo piansi, per quanto tempo Kate rimase lì con me ad abbracciarmi e rassicurarmi, ma di sicurò non fu poco. Continuava a ripetermi che tutto si sarebbe risolto, che mi avrebbero aiutata, che non mi sarebbe successo nulla, ma non era il fatto di essere in pericolo a sconvolgermi così tanto, ero terrorizzata dalla verità, da questo nuovo e ignoto mondo, da me stessa, dal fatto che per sedici anni avevo vissuto senza sapere chi fossero realmente i miei genitori. Non esistevano più certezze, solo migliaia e migliaia di domande. 

Smisi bruscamente di piangere solo quando sentii bussare alla porta.

- Tutto bene lì dentro? - urlò Jared.

Spalancammo entrambe gli occhi e sciogliemmo l'abbraccio. 

- Scusa. Non avrei dovuto piangere - mormorò Kate singhiozzando e asciugandosi le lacrime. 

- Tranquilla. Nemmeno io avrei dovuto - dissi imitandola. Lei mi guardò con un'espressione interrogativa sul viso.

- Certo che devi. Non puoi tenere tutto dentro - mi sgridò come una mamma protettiva fa con la propria figlia. 

- Già - affermai ricomponendomi. 

Jared bussò nuovamente alla porta.

- Ho quasi finito. Dammi qualche minuto per fasciarla! - rispose Kate lanciandosi sui mobili in cerca di una fascia e facendomi segno di sdraiarmi sul lettino.

Obbedii.

- Loro non sanno niente di tutto ciò e tu non devi dirglielo, a meno che non ti fidi e sai che puoi contare su di loro - mi raccomandò con tono serio, fasciandomi inutilmente la caviglia.

- Grazie Kate - le sorrisi con sincerità.

- Figurati. L'ho promesso a tua madre - disse pulendo il mio sangue dal pavimento.

- Che cosa? - chiesi a bassa voce.

- Che ti avrei protetta a costo della mia vita - confessò continuando a sistemare la stanza.

Si avvicino con uno straccio bagnato per pulire il sangue secco dal mio polso.

- Prometti che mi racconterai tutto sui miei genitori - dissi afferrandole una mano.

- Lo farò - annuì appoggiando la sua sopra alla mia.

Ci guardammo per qualche secondo, poi Kate andò ad aprire la porta, facendo entrare Jared.

Improvvisamente mi ricordai delle mie condizioni fisiche e sgattaiolai velocemente senza essere vista nella porta affianco, che si rivelò essere l'entrata del bagno.

Espirai sollevata e osservai il mio riflesso nello specchio.

Mi lavai la faccia con acqua gelida e l'asciugai con un panno appoggiato sul lavandino. Feci lo stesso con le braccia, il petto e poi l'interno della bocca. Avevo bisogno di una rinfrescata. Presi la spazzola e mi pettinai violentemente i capelli lunghi, per sciogliere tutti i nodi. Mi sporsi il più possibile verso lo specchio per darmi un ultimo controllo e notai che le mie iridi, solitamente nere, erano marroni, con delle piccole chiazze verdi e celesti. Chiusi gli occhi e li riaprii: le due iridi nere come il carbone non riapparvero. Pensai che l'esasperazione mi stesse giocando brutti scherzi, così sbuffai e uscii dal bagno zoppicando in modo ridicolo e poco credibile, rivolgendo ai due amici e Kate un sorriso debole e forzato. 

- Eccomi - annunciai con poco entusiasmo.

- Eccoti - ripeté Jared avvicinandosi e guardandomi.

Sorrisi e distolsi lo sguardo, puntandolo su Josh che sbuffava e su Kate che cercava di soffocare una risata.

- Stai bene, tonta? - chiese Josh ridendo nel pronunciare l'ultima parola e piantandosi di fronte a me.

Allungai un braccio e gli diedi un leggero colpetto.

- Idiota - borbottai scherzosa.

- Stai bene? - chiese nuovamente, però con tono serio.

Annuii e sorrisi. 

- Usciamo di qui, questi colori sono orrendi - disse Kate.

- Ha un'ossessione per i colori caldi, non farci caso - bisbigliò Jared mentre entravamo nel salotto.

- Ti ho sentito. E non è un ossessione, sono gusti - protestò Kate sedendosi sul divano beige in pelle.

Jared sbuffò e alzò gli occhi al cielo.

- Io sto a casa di Josh, tu preferisci rimanere qui? - chiese Jared.

Mi voltai verso Kate e lei mi sorrise e annuì, facendomi capire che per lei non c'erano problemi.

- Si - risposi con un filo di voce.

- Sai Jared, credo che dovresti rimanere anche tu. Julie avrà bisogno di qualcuno con cui parlare e distrarsi - propose la rossa sorridendomi e guardandoci maliziosamente.

- Oh, no - esclamai  -voglio dire, non sei obbligato - continuai.

 Diventai paonazza e iniziai a giocherellare con le dita.

- E' un piacere infastidirti - rispose sfoderando un sorriso sghembo.

- Ci vediamo domani allora - concluse Josh salutandoci e uscendo.

Dato che si fece subito sera, Kate e Jared prepararono dei panini, mentre io gironzolai per la zona giorno ad ammirare quella bizzarra casa. Vi era un enorme open-space che comprendeva cucina, sala da pranzo e salotto. La cucina era decisamente piccola, infatti, i banconi che la componevano e il frigorifero, occupavano una sola piccola parete. Al centro, vi era un tavolo rettangolare di vetro, così sottile che ebbi paura di romperlo solo guardandolo. Le sedie, invece, erano in pelle bianca. Contro la parete opposta alla cucina, vi era un piccolo divanetto beige pieno zeppo di cuscini dalle mille fantasie, davanti al quale era stato posizionato un delicato tavolino rotondo, anch'esso in vetro, come il tavolo da pranzo. Sopra di esso, vi erano delle candele e una pila di riviste. La cosa che catturò di più la mia attenzione fu l'affresco di un delicato albero sulla parete contro la quale si trovava il divano, era un albero dai rami lunghi e sottili, con qualche fiore rosa, appena sbocciato, qua e là. 

In generale, l'arredamento era molto minimalista e l'ambiente non era ricco di mobili, ma tendeva ad essere più vuoto, probabilmente per renderlo più luminoso. 

Quella casa sembrava volesse esprimere felicità ed emozioni positive da ogni poro, anche se, per i miei gusti, era decisamente troppo arancione. Persino il parquet era di un legno dal colore acceso, quasi tendente al rosso. Fortunatamente, i mobili della casa erano tutti bianchi, così come porte e finestre, in perfetto contrasto con le colorate pareti.  

Kate mi chiamò, interrompendo il mio tour della casa, così ci sedemmo a tavola e mangiammo in silenzio.

- Come fate a conoscervi? - chiese la donna finendo l'ultimo boccone e rompendo il ghiaccio.

Jared mi guardò, in attesa del mio consenso per dirle tutto.

Annuii e lui le raccontò ogni cosa, dal nostro primo incontro a  quando mi aveva trovata priva di coscienza nel bosco,  del fatto che avevo un qualcosa di diverso e che, di conseguenza, hanno pensato di portarmi dal Saggio. Io e Kate ci scambiammo qualche sguardo complice e, per la prima volta, sentii di trovarmi nel posto giusto, con le persone giuste.

E ora sapevo anche cosa sospettava Jared: lui pensava fossi un licantropo, come lui, come Josh, come Kate.

Come i miei genitori, quelli veri. Come tutti coloro che vivevano in questo posto.

Lui non mi aveva mentito: mi voleva aiutare, voleva proteggermi.

E in quel momento capii che potevo fidarmi di lui, perché lui non era Brad, lui era Jared Lee. 

Ed era diverso: era sincero.




















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