1 - L'uomo che non capiva cos'ero

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Francis scese l'ennesima rampa di scale e cercò di calcolare a mente di quanti metri erano sottoterra. Visto dall'esterno, l'edificio in cui lo avevano portato era un piatto rettangolo di cemento accovacciato in mezzo al deserto, al termine di una strada senza uscita, racchiuso assurdamente in un recinto di filo spinato. Sotto, però, quello stesso edificio continuava e continuava, quasi volesse trascinarsi fino al centro del pianeta, per trafiggerlo. Avrebbe dovuto avere la sensazione di essere sepolto, invece gli pareva di essere su un mondo lontano. Le persone intorno a lui, con le loro bizzarre divise militari e la loro gestualità marziale, non venivano dallo stesso posto da cui veniva lui, persino le parole erano diverse, anche i suoni che sentiva attorno a sé non li aveva mai sentiti prima.

Arrivò in una stanza non molto grande. Non esistevano stanze grandi in quel luogo, probabilmente il fatto di essere così in profondità non permetteva esistessero. Nella stanza c'erano altre due persone vestite da militari, le loro uniformi così sgargianti che si capiva che erano alti ufficiali, come l'uomo che l'aveva portato lì. Lo salutarono avendo premura di stringergli la mano e sorridergli. Sembravano imbarazzati, come se capissero che non avrebbero mai dovuto portarlo in quel posto, come se sapessero come li vedeva lui.

«Questo posto» disse il suo accompagnatore, colonnello Whitaker aveva detto di chiamarsi «è un centro di ricerca militare per esplosivi. Questo è il motivo per cui potrebbe trovarlo un po' claustrofobico.»

Avevano le stesse sedie di tanti uffici statali, Francis si sedette e ci si trovò stranamente a suo agio. Pensò agli Stati Uniti che ordinavano un centinaio di sedie così, ne destinavano ottanta a squallidi uffici governativi e poi ne assegnavano una ventina a un centro di ricerca militare per esplosivi. Anche quello suonava ridicolo. «E' la prima informazione che mi date da quando mi avete chiamato» rispose, un po' stizzito.

Gli altri uomini si sedettero. Da come si disposero Francis capì che ci sarebbe stato qualcosa di interessante su una certa parete, perché erano tutti rivolti verso di essa. In effetti, a un cenno di uno di loro, cominciò a sollevarsi, tipo saracinesca, mostrando un ambiente dall'altra parte un po' più largo di quello in cui si trovavano, completamente spoglio, nessuna uscita o sbocco visibile tranne la finestra di vetro blindato attraverso cui la stavano guardando. In mezzo stava in piedi una ragazzina di quattordici anni, capelli castani corti, viso a cuore, minuta. Guardava nella loro direzione e non sembrava per niente spaventata della situazione, anzi, nei suoi occhi c'era una risolutezza che intimidiva. Francis aveva già visto quella risolutezza negli occhi di ragazzini, in un certo senso era parte del suo lavoro.

Si accorse che tutti tacevano, per cogliere la sua prima reazione. «Questo quantomeno sembra più coerente con la mia qualifica» ammise «ma è anche la cosa più grottesca e assurda che possa immaginare. Togliete quella ragazzina da lì.»

«Ci ha chiesto lei di essere messa lì.» rispose un altro degli uomini, Rosenfield era il suo nome, forse generale Rosenfield, probabilmente il responsabile di tutta quella struttura.

«E voi l'avete assecondata?» chiese subito di rimando lui. Stava cercando di capire quando gli avrebbero detto che era tutto uno scherzo.

Rosenfield non sembrava una persona accomodante e Whitaker sembrava saperlo, per questo riprese la parola con un gesto della mano. «Ha presente il disastro di Nokata?»

«Naturalmente sì.» rispose Francis «Quando tre anni fa la città di Nokata, in Giappone, è stata quasi completamente rasa al suolo da un'esplosione. Ne hanno parlato i giornali per settimane.»

«Si ricorda quale fu la causa? Cosa dissero?»

«Un meteorite, credo. Un corpo celeste che aveva cambiato traiettoria e che non eravamo riusciti a intercettare. Qualcosa del genere.»

«Esatto. Quella fu la storia che suggerimmo ai giapponesi di dare in pasto all'opinione pubblica.»

«Naturalmente non era vera.» rispose il terzo uomo, un altro colonnello, colonnello Graziani. Rimasero di nuovo tutti in silenzio. Sembrava quasi cercassero da lui un qualche incoraggiamento. Lui prese tutte le bizzarrie che erano successe fino a quel momento e le mise insieme, perché non aveva niente da perdere. «State per dirmi che è stata questa ragazzina?»

«No.» sorrise il colonnello Graziani. «Non questa.»

Francis era sul punto di imprecare quando Rosenfield si chinò sulla scrivania che aveva davanti e premette un tasto. Uno stridere di statica disse che aveva aperto un canale di comunicazione con l'altra stanza. «Mostraglielo.» disse solo.

«Va bene.» rispose la ragazzina dall'altra parte. Aveva una voce da ragazzina, ma anche nel tono si sentiva quella risolutezza feroce.

Francis si accomodò meglio sulla sedia. Era completamente anestetizzato dall'assurdità del contesto, dalle persone che aveva intorno e da quello che gli avevano detto. L'unica cosa che prendeva sul serio era la ragazzina dall'altra parte del vetro perché quello era il suo lavoro. Come assistente sociale aveva già avuto a che fare con delle persone che avevano subito un trauma in giovane età ed erano improvvisamente diventate adulte, adulte cattive, impegnate costantemente a rovinarsi la vita con la loro stessa rabbia. Quello era ciò che vedeva dall'altra parte del vetro. Quello era ciò su cui sapeva di dover lavorare. Ma non in un bunker sotterraneo con accanto tre alti ufficiali dell'esercito.

La ragazzina non sembrava aver bisogno di niente di quello che lui poteva dargli. Annuì un ultima volta verso il suo pubblico e poi aprì la sua mano sinistra. Subito sopra il suo palmo si materializzò una specie di solido traslucido, di colore azzurro, che pareva fluttuare nell'aria senza peso. 

Francis fece un balzo indietro sulla sedia. «Siamo ai trucchi di magia?»

«La prego, lasci finire.» disse Whitaker.

Il solido aveva una tinta pastello che lo faceva sembrare innocuo, ma la sua luce era troppo aliena per credere lo fosse. Nonostante ciò la ragazzina lo toccò con un dito e d'improvviso, la luce la avvolse completamente, scaturita dal piccolo oggetto. La radiazione divenne così intensa che per un momento i suoi lineamenti si fecero confusi. Durò tutto lo spazio di pochi secondi, poi la luce parve ritirarsi come per tornare dentro l'oggetto. Dietro di sé però aveva lasciato una persona diversa.

La felpa verde e i jeans che la ragazzina aveva addosso erano scomparsi. Al loro posto adesso c'era un vestito azzurro di qualcosa di simile a ciniglia che le partiva da sotto le ascelle e poi si apriva come un fiore all'altezza delle ginocchia, alcuni centimetro sopra una sottogonna in pizzo. Sul capo indossava una specie di baschetto alla francese di un blu più scuro, a cui era appuntata una veletta che le copriva il volto mediante una spilla simile a una farfalla fatta di zaffiri. Il solido era scomparso, al suo posto c'era una specie di asta bianca, intrecciata di intarsi azzurri, con in cima un bulbo all'apparenza sempre di zaffiro chiuso in una gabbia d'acciaio e la giovane lo teneva in pugno quasi fosse un'arma. 

Non erano cambiati però solo i vestiti, c'era anche qualcosa di più sottile e indefinibile che diceva che la persona al di là del vetro non era più quella di prima. La sua pelle aveva una brillantezza ultraterrena e i suoi occhi una profondità inumana. C'era ancora la sua risolutezza, ma appariva infinitamente più terribile, infinitamente più pericolosa.

Le viscere di Francis sapevano che quello che aveva davanti era vero, il suo cervello, però, trovava più prudente negare tutto. «Quando potremo passare dalle pagliacciate al motivo per cui sono qui?»

Il microfono con l'altra stanza era ancora aperto, la ragazza ascoltava tutto. A quelle parole rispose agitando lo scettro in direzione del vetro. Ne scaturì qualcosa che era una specie di alone di energia che si schiantò contro la blindatura trasparente con il fragore di un enorme schiaffo, facendola vibrare come un diapason per una quarantina di secondi. A sentire come quello schianto riverberava nelle sue ossa, Francis non poteva negare che era qualcosa di reale.

«Il mio nome è Azure Foxtrot.» disse la quattordicenne. Poi si girò verso Whitaker «La dimostrazione è sufficiente?»

Whitaker si affrettò a strisciare fino al microfono. «Si, puoi anche... tornare indietro adesso, credo, se non vuoi rimanere così.»

Lo scettro bianco e azzurro roteò un altro paio di volte, ma stavolta non ne scaturì nessun attacco. «Rimanere così non è un problema.»

I tre alti ufficiali si girarono verso Francis, ma lui non aveva più niente a cui appigliarsi, niente da dire. Si sfregò forte le mani sulla faccia. «Ok, ricominciamo da capo.»

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro