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Nessuno a Siebengrade poteva mancare alla Festa. Neppure Rose Almeida.

Rose, davanti allo specchio del bagno, cercava di fare il meglio che poteva con il proprio viso. Con i lunghi capelli neri aveva smesso da tempo di lottare: che cadessero pure come spaghetti fino alle spalle. Ma doveva almeno tentare qualcosa con il trucco. Innanzitutto, una buona dose di fondotinta chiaro, per esaltare il suo colorito pallido naturale. E per nascondere il più possibile il livido sotto l'angolo destro della bocca. Poi mascara a volontà per avere uno sguardo più interessante. Adesso veniva la parte più difficile: le labbra.

La piccola lampadina continuava a perdersi e a lampeggiare nervosamente. Rose prese il rossetto nero, e osservò la propria bocca dietro le chiazze sulla superficie dello specchio. La spaccatura sul labbro inferiore era ancora fresca. Sentiva una piccola crosta dolorante quando stringeva la bocca. Sospirò, e passò il rossetto sul labbro sano. Poi, delicatamente, cercando di non appoggiare più del necessario, colorò di un nero violaceo anche il labbro inferiore. Se la crosta si fosse rotta e avesse ricominciato a sanguinare, sarebbe stata una tragedia. Per fortuna non accadde. Rose contemplò il risultato finale. Maglietta nera dei Gazoline Zed, rossetto nero, mascara a gogo. Vai, Rose! ...ma chi voleva prendere in giro? Sarebbe stata la ragazza meno interessante della Festa. Ma non poteva mancare. La Festa sulla Vanguardia era l'evento più importante dell'intera storia di Sieben, passata e futura.

Perché, senza dubbio, una festa a bordo di una nave fantasma era la cosa più eccitante a cui si potesse pensare.

Il fantasma era la Vanguardia, una nave passeggeri classe A dell'Unione. Era uscita senza preavviso da un salto oltre-luce, posizionandosi in orbita attorno al pianeta Sieben. La provenienza della nave era del tutto sconosciuta, ma la cosa più singolare era l'assenza totale di anima viva a bordo. Niente equipaggio, niente passeggeri. Tutti avevano pensato alla tecnopeste.

Molti abitanti di Siebengrade giuravano di avere avvistato la Vanguardia sopra l'orizzonte, verso l'alba o il tramonto. Questo nonostante l'atmosfera polverosa del pianeta Sieben permettesse di avvistare a mala pena il sole. Chiaramente il sole non era il Sole: si trattava della stella YU899. Ma a Siebengrade la chiamavano tutti confidenzialmente "il sole", un po' per abitudine, un po' in onore della vecchia Madre Terra.

L'apparizione della Vanguardia aveva fatto colpo sulla fantasia dei ragazzi di Sieben. Fu come se avesse scompigliato i loro progetti, centrati sull'idea di trovare lavoro nella locale compagnia mineraria. Poco importava che una nave vuota e abbandonata intrattenesse evidenti rapporti con la morte. Improvvisamente, come un incendio, si era diffusa un'idea straordinaria: la Vanguardia era il posto perfetto per organizzare una festa.

Rose sgattaiolò fuori del bagno. Muovendosi piano, esaminò la situazione. Avanzò fino alla porta del soggiorno, e si affacciò prudentemente. Bene, suo padre dormiva sulla poltrona. Il suo grosso ventre si alzava e abbassava in sincrono con un sonoro russare, gonfiando la canottiera bianca. Lo sguardo esperto di Rose esaminò la bottiglia di whisky appoggiata sul pavimento. Erano rimaste solo tre o quattro dita di liquido ambrato. Voleva dire che suo padre non si sarebbe svegliato tanto presto. Niente discussioni prima di uscire di casa ("Dove credi di andare?", Rose poteva quasi sentire la voce di papà nella testa). Le conseguenze ci sarebbero state al ritorno. Ma questo Rose l'aveva già messo in conto.

Avanzò, cercando di sfiorare appena il pavimento con le suole delle sue sneakers nere. Passò davanti alla porta della cucina. Scorse la testa biondo cenere di Miki. Sua sorella si stava divertendo a bruciacchiare le pagine di un quaderno con la fiamma dell'accendigas. Non era il momento per uno dei loro litigi. Rose si limitò a guardarla con severità e a scuotere le testa, in silenzio. Miki le restituì lo sguardo con freddezza.

"Non sei mia madre", disse. Già, pensò Rose. Mamma se n'era andata via più o meno dieci anni prima, dicendo che questo pianeta non faceva per lei. Anche se Rose non ricordava le sue esatte parole. Anzi, Rose faceva fatica a ricordare il suo volto.

Rose osò cominciare a correre solo una volta uscita in strada. L'ultima corsa del magnetotreno le passò accanto, sibilando veloce. In lontananza, si scorgevano le luci dei giganteschi grattacieli direzionali del centro. Erano le uniche stelle che riuscivano a brillare attraverso il perenne pulviscolo grigio dell'atmosfera di Sieben. Per una sera, Rose si sarebbe lasciata alle spalle tutto questo. Questa era la sera della Vanguardia.

L'appuntamento era nel vecchio campo sportivo abbandonato, poco oltre i magazzini al limite della città. Rose ebbe quasi paura, quando arrivò davanti alla sagoma oscura della vecchia arena, persa nel buio. Ma sentì delle voci all'interno, e questo le diede abbastanza coraggio per avanzare. Il cancello semi sfondato offriva una sottile apertura. Rose ci si infilò, attenta a non sporcarsi la maglietta dei Gazoline Zed. Percorse il corridoio di accesso e... eccola lì davanti. Era al centro del campo di calcio, e ne occupava una buona parte. Era una navetta per il trasbordo orbitale. La vernice grigia scrostata rivelava che era reduce da molti viaggi. Unica nota di colore, un nome dipinto sulla fiancata con una vernice rosso acceso: STYX.

"Rose! Roooose! Siamo qui!"

Era Clash a chiamarla. Insieme a Bea, si trovava all'interno della lunga fila di ragazzi che aspettavano di entrare nella navetta. Rose li raggiunse.

"Manca solo Max", notò Rose. Dovevano essere in quattro quella sera. Rose aveva sperato che Max avrebbe tenuto occupata Bea. Fra loro due forse c'era già qualcosa, no? E invece eccoli lì, Clash e Bea insieme, a loro agio, da soli, uno accanto all'altra.

"Quel bestione di Max si è slogato la caviglia giocando a basket" disse Bea. Come se la cosa non avesse una grande importanza.

"Stai bene col rossetto nero." Clash si era rivolto a Rose. Sembrò accennare anche a un sorriso. Rose farfugliò un grazie. Che cosa significava quella frase? Clash l'aveva pronunciata in maniera così noncurante, così naturale. Come se quel complimento non contasse nulla.

"Ha ragione Rose. Dovresti truccarti più spesso" commentò Bea. "Voglio dire, non solo per le occasioni speciali."

Bea era così sicura di sé. Quella sera indossava anche una giacchetta lucida rosa molto cool. Rose con la sua maglietta appariva trasandata?

"Preparate i soldi", le avvertì Clash. Erano quasi arrivati alla fine della fila. Un uomo basso e panciuto, con uno spolverino grigio lurido e la barba incolta, raccoglieva le banconote e apponeva un piccolo timbro rosso sulla mano dei ragazzi che entravano nella STYX. Rose controllò stupidamente che i suoi soldi fossero ancora nella tasca stretta dei jeans. I risparmi di un'intera estate a servire birra e tacos da Gertrud's. Ma quella era la Festa. Non ci si poteva tirare indietro.

Almeno, all'interno della navetta, si sedette accanto a Clash.

Clash era sempre piaciuto a Rose. Si erano conosciuti l'ultimo anno di scuola, quando Clash era finito in classe insieme a lei e a Bea. Rose l'aveva già notato in precedenza allo spaccio Hamilton, dove Clash aiutava i genitori dopo la scuola. In quel contesto, Clash risaltava per contrasto. Impossibile non notare quanto fossero carini i suoi occhi grigio-verdi, mentre sistemava scatolette di sinto-tonno sugli scaffali. C'era qualcosa di sprecato nel suo fascino, nel suo corpo asciutto e muscoloso, lì in quel negozio popolare. Al punto che a Rose veniva voglia di togliergli il grembiule macchiato, e anche quel ridicolo cappellino con scritto "spaccio Hamilton", e mettergli le mani nei capelli e sul petto, per poi dire: ecco, così vai bene.

"Ti farà ridere. Ma io non ho mai volato" disse Clash a Rose.

"Neppure io" rispose lei. "E dove avremmo dovuto andare?"

Già, i voli interplanetari costavano un occhio della testa. E non c'era nessun motivo per lasciare Sieben. Come non c'era nessun motivo per rimanerci.

Iniziò una vibrazione cupa, che a Rose fece il venire il solletico al naso. I motori si erano accesi. Rose divenne improvvisamente consapevole di tutto: delle corsie di sedili pieni di ragazzi che ridevano, dei rivestimenti strappati che lasciavano intravedere l'imbottitura di spugna, persino dei disegnini osceni sullo schienale davanti a lei. Nel giro di qualche istante quel brutto autobus si sarebbe alzato da terra.

Poi si sentì spingere lo stomaco verso il basso. Girò la testa e scorse dall'oblò le luci della città scendere e farsi sempre più piccole. Rose assaporò la paura: la faceva sentire viva. Avevano lasciato Sieben. Quella notte avrebbero volato. 


***


"Stanno ballando, vero Duke? Stanno ballando per me."

Duke sorrise ad Annika. "Sì. Hanno organizzato una festa in tuo onore."

Era lì che sarebbe finita per loro due. Nell'hangar delle navette di emergenza della Vanguardia. Si erano nascosti appena avevano visto salire i ragazzi dal pianeta. Temevano che qualcuno avrebbe dato loro la caccia. Invece quei tizi si erano messi a ballare. Ora dal ponte panoramico proveniva l'eco della musica. Le note cupe del powerpunk rimbombavano lungo i corridoi vuoti e oscuri della nave.

Era lì che sarebbe finita per Annika. Erano nascosti come topi fra una navetta e l'altra, al buio. Ma non era buio vero, perché Annika brillava. Una luminescenza gentile proveniva dalla sua pelle chiara, e filtrava attraverso i suoi capelli biondi. Presto si sarebbe riunita a Mercury. Duke non poteva fare altro che stare con lei fino all'ultimo momento. Non c'era una cura. Nessun medico nella galassia poteva impedire il congiungimento.

Annika sorrideva. La paura degli ultimi giorni aveva lasciato spazio a qualcos'altro. Non era rassegnazione: aveva semplicemente deciso di essere tranquilla. Il controllo totale sui propri stati interiori era il privilegio di chi era molto vicino a Mercury. E potendo scegliere, perché non scegliere la tranquillità?

Duke provò rabbia. Poi vide la sua rabbia davanti a sé. Capì di avere il potere di cancellarla. Anche lui era molto avanti sulla strada di Mercury. Da tempo si era accorto di avere un controllo innaturale sulle proprie emozioni e sui propri pensieri. Decise di non provare nient'altro che tranquillità. E bastò decidere di essere tranquillo per esserlo davvero.

Annika si accorse del cambiamento. Annuì sorridendo.

"Vedi, Duke? Se rimani attaccato a te stesso, rimarrai attaccato al dolore."

Era così logico e giusto. Come sempre con Annika.

"Ma quando sarò solo, il dolore mi aiuterà a ricordarti. E non voglio rinunciare a questo dolore."

Rimasero in silenzio per alcuni minuti. Poi Annika disse: "Presto dovrai fare da guida per qualcuno."

Certo, pensò Duke. Mercury ha bisogno di nuove forze.

Annika annunciò: "Stasera Mercury sceglierà un nuovo ospite."


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