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Marley aveva già visto una volta i poteri di un Mercury da vicino. Non poté fare a meno di maledirsi per essere salita su quella nave.

Il ragazzo magro e biondo aveva allargato le braccia, con un gesto vagamente teatrale. Una nebbia nerastra si diffondeva ora nell'ambiente, oscurando la scarsa illuminazione dell'hangar. Proveniva direttamente dal corpo del ragazzo.

La nebbia appariva come una sorta di fumo, ma si muoveva nell'ambiente come fosse viva. Era più simile a uno sciame di microscopici calabroni. Se fossero stati insetti, Marley non ne avrebbe avuto così paura. Ma la dottoressa sapeva fin troppo bene cosa fossero quei puntini neri sospesi nell'aria. Nanomacchine.

I lunghi capelli biondi del ragazzo si agitavano come mossi da un vento furioso. Il micro sciame continuava uscire dalla sua pelle, producendo un rumore costante di sabbia che cadeva. Marley sapeva che i Mercury avevano un nome per quel potere. Lo chiamavano: liberare le nano.

No, non doveva andare così. Marley non aveva potuto fare nulla per la ragazza: era stata consumata da Mercury sotto i suoi occhi. Ma avrebbe tentato di salvare almeno lui, che lo volesse o no.

"Sono tua amica. Sono venuta per darti una possibilità di vivere", urlò Marley, senza riuscire a controllare la propria voce. Doveva essere il discorso di una scienziata, sembrava piuttosto una supplica.

"Puntandomi addosso quella?", chiese il ragazzo. Marley si rese conto di stare rivolgendo ancora la pistola contro di lui.

Fu raggiunta dalla nebbia. Pregò che la tuta spaziale bastasse a tenerla fuori, lontano dalla sua pelle. Sentiva la pressione delle nanomacchine attorno al suo corpo. Una forza irresistibile le strappò di mano la Glock. Il ragazzo prese al volo l'arma con un sorriso.

"Non capite", disse lui tranquillo. "Pensate che Mercury sia un nemico dell'umanità. Ma tutto quello che fa, lo fa per noi scimmie. Se poteste vedere come ci ama".

Marley sentiva il panico crescere. Il suo corpo era completamente bloccato da quello sciame vivente. Udiva un rumore di sabbia graffiante sulla superficie esterna del suo casco. Si ricordò dell'altro potere dei Mercury. Ti prego, non quella cosa che fanno al cervello, si sorprese a pregare. Ricordò le parole del ragazzo: non è una malattia. È un dio.

Il ragazzo guardò perplesso la pistola che teneva fra le mani. Poi la buttò a terra con noncuranza.

"Mi dispiace che abbia fatto questo viaggio per niente" disse.

"A me dispiace di avere visto morire la tua amica. Senza potere fare nulla per salvarla". Brava Marley. Recupera il controllo.

Era apparsa un'ombra di tristezza sul viso del ragazzo? Ma era già sparita, come cancellata da una decisione interiore.

"È stato un incidente. Le ultime battaglie l'avevano spinta oltre i suoi limiti. Ora lei si è riunita a Mercury."

"Un altro sacrifico umano a un dio maledetto", gridò Marley. Trattenne le lacrime. Non doveva mostrarsi debole davanti a un Mercury.

Il ragazzo alzò le braccia, in un gesto che sembrava una sorta di preghiera. Il flusso di nanomacchine dal suo corpo divenne ancora più intenso. Si alzò un vento che agitò ancora di più i suoi capelli biondi. Sembrava un angelo impazzito.

"Mercury è puro spirito che guarda la terra sotto di lui" disse. "Vede i simulacri di libertà che tormentano gli esseri umani. I giochi di dolore che si infliggono le scimmie. E ne è impietosito. Per questo Mercury non può abbandonare la terra."

Rumori di oscuri ingranaggi in movimento si aggiunsero al frastuono della sabbia. Marley capì, e non riuscì a impedirsi di provare terrore. Il portellone esterno dell'hangar si stava spalancando. Una striscia di stelle si allargava fra le paratie che, lentamente, si aprivano sul vuoto dello spazio esterno.

Alle spalle del ragazzo, apparve la sfera grigia e gigantesca del pianeta Sieben. Le stelle brillavano crudeli con un'intensità stupefacente.

Il vento era diventato una furia. L'aria veniva risucchiata violentemente fuori dall'hangar. Ma la dottoressa Marley era ancora trattenuta dallo sciame. Guardò il display in basso a destra all'interno del suo casco. La riserva di ossigeno della tuta era arrivata al 35%.

Poi vide qualcosa avvicinarsi. Per quanto assurdo, sembrava un lungo serpente d'acqua che fluttuava nell'aria. E stava puntando verso di lei. Marley si sforzò di mantenere la propria razionalità. Per quanto fossero estesi i poteri di Mercury, non prevedevano la capacità di evocare demoni.

Guardò meglio. Non era un serpente. Era una manichetta anti-incendio, trasportata dallo sciame. La manichetta la raggiunse, e in una parvenza di vita cominciò ad avvolgere il suo corpo, compiendo vari giri attorno al suo torace. Infine strinse forte le sue spire, abbracciandola fino a quasi farle mancare il fiato. Marley guardò interrogativa il ragazzo.

"Addio, dottoressa. Sono invitato a una festa", disse lui.

Lo sciame di colpo smise di trattenerla al suo posto. Marley fu sollevata di peso dal vento, attraversò l'hangar, e fu proiettata all'esterno, nello spazio. Fu come essere travolta da un treno.

Il suo campo visivo fu riempito dall'assurda sfera grigia di Sieben, che giganteggiava sotto di lei. I sistemi automatici della tuta cercavano di compensare lo sbalzo di pressione, ma agivano troppo lentamente. Marley sentì un dolore acuto alle orecchie, mentre un fischio assordante le riempiva la testa. Qualcosa le bagnava le labbra, probabilmente sangue dal naso. Poi una stretta terribile le fece scricchiolare le costole. Era la manichetta. Di colpo aveva fermato la sua corsa. La legava alla Vanguardia come un cordone ombelicale.

Tutto cominciò a girare. Marley capì che la manichetta si stava srotolando. Se fosse arrivata alla fine, niente l'avrebbe trattenuta dal perdersi nello spazio. Cercò di non svenire. Di non farsi prendere dal panico. Raccolse tutte le forze che le rimanevano, e allungò il braccio per afferrare la manichetta. Ci volle ancora qualche giro su se stessa, ma alla fine la sua mano riuscì a stringere qualcosa. Salutò con felicità la fitta alla spalla, quando il suo corpo smise di volteggiare con uno strattone violento.

Continuò a stringere la manichetta fino a provare dolore. Si rese conto allora di avere chiuso gli occhi. Li riaprì. Erano rimasti meno di cinquanta centimetri alla fine della manichetta.

L'enorme corpo della Vanguardia ora si trovava a metri di distanza da lei. Marley scorse la figura sottile del ragazzo biondo fermo sull'ingresso dell'hangar. Era rimasto a osservare tutta la scena. Il ragazzo la salutò con la mano. Poi si girò e scomparve nel buio. Ora la nave era sua. E Marley non poteva fare nulla.


Rose ormai sospettava che non ci fosse solo succo di prugna in quel bicchiere. Avvertiva un leggero capogiro. Le note melliflue del dreamgoth rimbombavano nella sua testa, lavoravano dentro di lei, cercavano posti sconosciuti della sua anima, la seducevano con un torpore avvolgente. Rose sentiva l'impulso di alzarsi e ballare nella gravità gentile e accogliente della Vanguardia. Ma si tratteneva. Ballare da sola un lento sarebbe stato ridicolo. A Rose non sembrava di avere altra scelta che rimanere ai margini, cullata dalla musica e dalla miriade di stelle oltre la volta di cristallo.

Aveva perso di vista Clash e Bea. Da molti minuti, erano scomparsi nella selva di braccia e corpi in movimento ritmico. A Rose sembrava di essere sulla riva di un mare, in attesa che due naufraghi emergessero dai flutti. E alla fine li avvistò. Le correnti li avevano di nuovo avvicinati a lei.

Il loro era diventato un ballo molto intimo. I loro corpi si muovevano vicini, toccandosi delicatamente. Bea teneva le mani appoggiate attorno al collo di Clash, trattenendolo, nel caso lui avesse l'idea malaugurata di separarsi da lei. I loro sguardi erano persi uno nell'altro. Certo, pensò Rose. Bea era una ragazza attraente, e Clash doveva sentirsi obbligato ad assecondare le avances di lei. Era così che si comportavano gli uomini. Bea lo sapeva. Bea sapeva come condurre il gioco.

Le correnti portarono i due ancora più vicino a Rose. Per un istante, lo sguardo di Rose incrociò quello di Bea. Rose distolse gli occhi, rendendosi conto dopo un attimo che quel gesto era un'ammissione di colpevolezza. Sarebbe passata pure per guardona. L'umiliazione finale.

Sentiva il flusso del sangue ronzarle nelle orecchie. Senza dubbio, effetto della gravità leggera. Cercò di concentrarsi ancora sulle stelle. Ma dopo alcuni secondi, non resistette. Rivolse lo sguardo ancora verso Clash e Bea. Si stavano baciando.

Rose poteva vedere Bea con le labbra appoggiate su quelle di lui. Aveva gli occhi chiusi, come se stesse assaporando un frutto molto gustoso. Le loro labbra fecero più volte la mossa di staccarsi, per poi riprendersi, come se ci fosse ancora un sapore delizioso da esplorare fino in fondo.

Infine i loro volti si separarono. E per un attimo, lo sguardo di Bea tornò a incrociare quello di Rose. Bea le sorrise. Sapeva che aveva visto tutto. Non era un sorriso malevolo, era quasi amichevole. Significava: Rose, non prendertela. Sono troppo avanti per te. C'è chi è brava in queste cose, e chi no.

Qualcosa scattò in Rose. Fu come una nave che rompe gli ormeggi per il mare in tempesta. Si alzò e cercò con lo sguardo fra tutte le persone presenti.

Proprio in quel momento, uscì da un corridoio un ragazzo alto, con lunghi capelli biondi scompigliati. Indossava una maglietta nera sgualcita, bucata in alcuni punti. Era molto carino, anche se aveva una strana aria stanca, quasi triste. A dirla tutta, non aveva un aspetto troppo pulito. Ma andava benissimo.

Rose si diresse verso di lui. Nella gravità leggera le sembrò che le sue gambe si muovessero nel vuoto, come se invece di camminare stesse precipitando da una grande altezza. Non aveva mai fatto niente di così audace in tutta la sua vita.

Il ragazzo si accorse solo all'ultimo momento che lei stava arrivando. Troppo tardi. Rose gli mise le braccia attorno al collo e si strinse a lui.

"Stai al gioco. Ti prego", gli mormorò all'orecchio. "Voglio fare ingelosire un mio amico".

Cominciarono a ballare lentamente. Lui, senza dire nulla, aveva appoggiato le mani sui fianchi di lei. Rose cercava di condurlo vicino a Clash e Bea, passo dopo passo. Lui non oppose resistenza, e questo per qualche motivo la fece impazzire di gioia.

Rose sentiva la sua barba graffiarle la guancia. Da vicino il ragazzo aveva un odore indefinibile, ma non sgradevole. Come qualcosa di elettrico nell'aria.

Lei? Questa ragazza gracile sarà la tua nuova ospite? E sia.

Ballavano sulle note di Vortex dei Dark Clouds, un classico del dreamgoth. I loro corpi si cullavano al suono di quelle note, come naufraghi chiamati dal canto di sirene punk.

Ora erano vicini a Clash e Bea. Rose teneva gli occhi puntati su di loro. Non si erano accorti ancora di nulla.

"Fermati qui. Aspettiamo." Rose mormorava ordini all'orecchio dello sconosciuto, che obbediva docilmente. Era esaltante sentire fra le braccia il suo corpo magro e muscoloso e disporne come voleva, senza che il ragazzo protestasse. Era una sensazione di potere che Rose non aveva mai provato.

Finalmente Clash li vide. Rose assaporò la sua sorpresa. Era il momento. "Ora", disse. Guardò negli occhi lo sconosciuto. Seppe che poteva farlo. Il suo cuore perse un battito. E lo baciò.

Le loro bocche si incontrarono, e continuarono a cercarsi per un tempo indefinibile. Se accennavano a separarsi, tornavano subito d'accordo a riprendersi. Rose sentiva il proprio corpo stupirsi per quell'intimità, ottenuta così facilmente con un ragazzo visto solo pochi istanti prima.

Senza ragione apparente quel bacio finì. Rose e lo sconosciuto tornarono a guardarsi. Lei cercava sul suo volto una risposta, e la domanda era: cos'è successo? Cos'è passato fra di noi? Avevano condiviso qualcosa che lei non sapeva spiegare. Lo sconosciuto le restituiva lo sguardo con una consapevolezza triste. Aveva una tenerezza stanca negli occhi, come se fosse abituato a trattenere un milione di lacrime. E quegli occhi fissavano lei, Rose, come se avessero in serbo una verità che ancora non poteva essere rivelata.

Una luce abbagliò gli occhi di Rose. Una voce cupa rimbombò per tutto il ponte panoramico, coprendo la musica. Rose riuscì a cogliere solo qualche parola. "SEQUESTRO... AUTORITÀ DI SIEBEN... EVACUAZIONE IMMEDIATA".

La luce si spostò sui ragazzi vicino a lei. Rose poté vedere che proveniva da una navetta oltre il cristallo sopra di loro. Dallo spazio esplorava con un potente faro l'area del ponte panoramico.

Rose scorse sul lato opposto della pista da ballo un movimento strano, che non poteva essere confuso con nessuna danza. Riuscì a distinguere delle figure vestite di nero che alzavano una specie di bastone, per poi farlo ricadere violentemente.

Un'ondata di voci si diffuse per tutto il ponte. Questa volta il messaggio era semplice. "La polizia!", gridavano tutti. "LA POLIZIA!"

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