Madama Puddifoot

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Mi ricordo di una domenica di primavera, credo saranno stati gli anni cinquanta, cinquantadue forse? La mia memoria ogni tanto vacilla. Forse dovrei iniziare a stipare fiale di ricordi nello studio come faceva Albus, ma, sinceramente, certi ricordi preferisco tenerli solo per me: il solo pensiero che qualcuno li trovi mi farebbe arrossire. C'era una brezza leggera che solcava il lago e pettinava le cime degli alberi della forresta proibita. Rabbrividi nella tonaca leggera. Avevo accompagnato un gruppo  di studenti ad Hogsmade, un piccolo villaggio distante solo pochi chilometri da Hogwarts. Erano sempre così felici di mettere piede in quel paesino. Alla fine, il villaggio era cresciuto attorno alle visite degli studenti: era pur sempre un'attività sicura. Lungo una strada secondaria avevano da poco aperto una piccola sala da the dalle finestre rosa pastello , le tendine di pizzo e le pile di tazze accatastate in vetrina.

In Scozia abbiamo diverse tradizioni differenti rispetto agli Inglesi (babbani o maghi): il kilt, le cornamuse, i castelli pieni di fantasmi, il mostro di Lochness, la buona cucina e ovviamente l'amore per le feste in generale e per i matrimoni in particolare. Credo che l'idea che mi feci dell'amore in gioventù sia molto legata all'Handfasting, la cerimonia per cui gli sposi vanno verso l'altare con le mani legate l'una all'altro con graziose catenelle. La tradizione in questione è ovviamente babbana e credo derivi in parte dalla cultura celtica, ma ben sintetizza ciò che io pensavo dell'amore: uun nodo indissolubile che guida due persone. In fondo mio padre e mia madre erano ancora insieme dopo tutti quegli anni. Mio padre certo cominciava ad avere una certa età per essere un babbano, ma il suo stile di vita e qualche calice di birra finora l'avevano fatto tirare avanti senza doversi troppo rivolgere alla medicina babbana o a quella magica.

Il the come potete notare non è tra queste tradizioni. Quindi diciamo che non ero un'assidua frequentatrice della casa da the. Prima di cena nelle brutte serate, a volte mi concedevo un bicchierino di liquore con Albus, bevuto di nascosto nel suo nuovo ufficio da preside. Per fortuna nel cambio di mansione si era disfatto di quello scomodissimo divanetto rosso e aveva riposto nel baule gran parte dei suoi abiti babbani. Chi invece adorava le sale da the era Elphinstone con cui ero rimasta negli anni in ottimi rapporti di amicizia.

Aveva preso l'abitudine, con la bella stagione e la diminuzione delle sue mansioni al ministero di prendere il treno la domenica mattina e presentarsi ad Hogwarts dopo pranzo. Veniva sempre a fare i suoi ossequiosi saluti ad Albus, non mancando mai di ringraziarlo per il coraggio dimostrato nell'assicurare, infine, Gellert Grindenwald alla giustizia. Cercava sempre di scucirgli la verità su come avesse fatto a distruggere quel patto di sangue, ma Albus svicolava con furbizia. Personalmente penso ancora avesse scoperto che il sangue di drago poteva infrangere la fiala, magari dopo qualche opportuno incantesimo o miscelato con qualche pozione. In ogni caso, finiti gli ossequi mi accompagnava fino ad Hogsmade e prendevamo sempre un the caldo al Tea Shop di Madama Puddifoot.

La maggior parte degli studenti si ammassava ai "Tre manici di scopa" , per cui lì eravamo tranquilli: a parte qualche coppietta di studenti in cerca di intimità, non c'era una gran ressa e potevamo chiacchierare un po' e fraci quattro risate. Elphinstone mi aggiornava sempre sui cambiamenti che avvenivano al ministero: finalmente dopo anni qualcosa si stava muovendo. In più mi chiedeva di Hogwarts, dei miei nuovi studenti "famosi". Personalmente non mi era mai importato se uno studente provenisse o meno da una grande famiglia magica, ma il mondo delle famiglie storiche dei maghi alla fine è come un grande cortile di un pollaio: sono tutti imparentati. Dal mio punto di vista capirci qualcosa senza un albero genealogico era un'illusione. Poi c'erano i maghi divenuto famosi dal nulla come Newt o Hagrid, finito sul giornale magico, come vi dicevo, per tristi faccende.

Quel giorno invece Urquart era stranamente silenzioso e agitato: non l'avevo mai visto sudare e non c'era affatto caldo. Eravamo nella parte anteriore del negozio e qui vetri erano pieni di spifferi. Cercai più volte di spingerlo a dirmi cosa non andava, ma lui continuava a ripetermi: -ne parliamo dopo il the -. Non l'avevo mai visto tanto impaziente di bere e tanto silenzioso.

Più che il the pensai gli servisse una burro-birra o di Brandy. Alla fine, capii il motivo. Aspettò che la maggior parte degli studenti uscisse e poi si inginocchiò di fianco al tavolino, con la gamba che gli tremava e la mano ancora di più e mi disse : - Minerva, vuoi fare di me il mago più felice del mondo magico?-porgendomi un anello apprtenuto a sua madre.

A suo modo fu molto tenero. Sapevo che aveva un'infatuazione per me da anni, me l'aveva confessato ormai senza girarci troppo attorno: eravamo maghi e streghe ben più che adulti. Il problema era che per me lui era e rimaneva sempre e solo un amico. Non riuscivo a vedermi vivere con lui, nella stessa casa, alzarci la mattina nello stesso letto, baciarci. Se avesse voluto mettermi un filtro d'amore nel the, forse avrei detto sì, ma così sobria mi avvicinai a lui, lo feci alzare e gli restituii l'anello in silenzio. L'elfo domestico si era bloccato nel vedere Elphinstone in quella strana posizione per un mago e aveva trattenuto il fiato, ma quando aveva notato la mia faccia, aveva fatto dietro front ed era tornato in cucina di corsa rovesciando quasi tutte le tazzine che aveva sul vassoio. Intravedevo i suoi occhi curiosi spuntare dalla vetrata della porta, probabilmente era in bilico su una sedia per arrivare a vederci.

Il problema era che non sentivo alcun legame così stretto con Elphinstone, quanto l'avevo sentito con Dougal. Sapevo che ormai lui era al di fuori della mia portata, ci avevo fatto il callo, ma non potevo fingere di amare qualcuno che non mi facesse sentire allo stesso modo. Elphinstone era stato onesto e molto premuroso e anche quel giorno come suo solito non fece scenate, ma la voce gli era morta in gola. Si alzò mi fece un inchino profondo e andò a lasciare qualche spicciolo per la nostra consumazione a Madama Puddifoot. Uscì senza nemmeno salutarmi. Quella sera mi mancò molto la nostra consueta partita di scacchi, ma se volevo riconquistare la sua amicizia e la sua fiducia, dovevo schiarirmi le idee su cosa provavo per lui.

Così il fine settimana successivo presi un treno e tornai nel mio piccolo paese Babbano e osai fare ciò che mai avevo fatto negli ultimi anni: una passeggiata, con ombrello e libro verso la fattoria McGregor. Dougal era molto cambiato, ormai era anche lui cinquantenne, ma in qualche modo in quel contadino che gridava portando le pecore al pascolo riuscii a vedere gli occhi brillanti del ragazzo che avevo amato. Una volta che le pecore erano tutte al sicuro mi fece un cenno col braccio e mi raggiunse sotto una delle grandi betulle dietro la fattoria.

- Letture interessanti?- chiese come suo solito.

- Devo preparare la lezione per domani - ammisi nascondendo il titolo imbarazzata. La verità era che non possedevo più quasi alcun libro babbano, perciò, a parte trasfigurare la copertina potei fare poco altro.

- Tuo padre mi ha detto che ora insegni nel college dove avevi studiato, quanti anni sono ormai?- fece colpito.

- Troppi - ammisi imbarazzata.

- Sembri ancora una ragazzina.- rispose lui galante. Sapevo che mentiva: i miei capelli stavano tendendo ormai pesantemente al grigio e  lui era quasi del tutto pelato. Mi mostrò orgoglioso una foto dei suoi figli e di sua moglie, quando avevano inaugurato la fattoria ristrutturata: in effetti era molto cambiata ora Dougal aveva macchinari moderni e trattori.

- In fondo ho sempre saputo che eri troppo per me, come per questo villaggio, ma sono felice, ho una bella famiglia e sto invecchiando sperando presto arrivino dei nipoti - sospirò lui sorridendo. Arrossii imbarazzata a quella precisazione.

- Tu hai figli?- chiese poi curioso. Io scossi la testa amareggiata: ci sono navi che salpano solo a certe età, sia per i maghi che per i babbani, ma in un certo senso io avevo avuto tanti figli, tutti i miei alunni.

- Ti assicuro che non mi sono mai annoiata, ci sono delle pesti in quella scuola! - ricordai sorridendo.

- Che insegnante sei? Anzi non me lo dire, voglio indovinare. Decisa, severa e anche ... con una lingua biforcuta. Non sei una che si lascia intimorire. Ci ho preso?- disse ansioso. Mi conosceva abbastanza bene da lasciarmi ancora senza fiato. Così lo lasciai al suo lavoro e tornai a casa dai miei genitori. Mia madre mi aspettava sulla porta con le mani giunte sul grembiule e la faccia perplessa.

-Perché sei andata da Dougal?- chiese stupita. Era davvero una lunga storia, avrei anche potuto raccontargliela, ma ormai che senso aveva? Il passato è passato, ma quello che dovevo capire l'avevo capito. Elphinstone era un caro amico e un caro mago , ma non mi faceva battere il cuore. Forse, nonostante tutti quegli anni passati, non ero ancora pronta. Scrissi una lettera in treno ad Elphinstone aprendogli il mio cuore e affidandola ad un gufo appena giunta ad Hogwarts. Qualche settimana dopo rispose, puntuale come sempre. "La pazienza è la virtù dei forti" come diceva sempre.

Quella fu l'ultima volta che vidi Dougal vivo, ma vorrei lasciare questa pagina col sorriso sulla faccia e non con un mare di lacrime che faranno colare l'inchiostro. I filtri d'amore non durano in eterno, ma l'amore, quello vero, può davvero mai finire? La mia catenina l'ho donata a Dougal molti anni fa e sarà sua per sempre.



   


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