Capitolo 19

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Dopo aver fatto pace nell'unico modo che conoscevano, le cose tra loro erano molto cambiate. Fortunatamente in meglio. Lavdor chiedeva a Modesty consigli su tutto, persino sulla gestione del nuovo locale e sul nome da dargli. Passavano ore sul letto, con i fogli alla mano, a parlare della vita che avrebbero iniziato. Avrebbero avuto più intimità per loro durante il giorno, quando il locale era chiuso.

Modesty suggerì di organizzare spettacoli più moderni, far lavorare di più la fantasia nei vari spogliarelli e Lavdor concordò pienamente con lei. La ragazza sembrò aver dimenticato che tutto ciò che stavano organizzando, tutto ciò della quale stavano parlando, non si sarebbe mai avverato. Edith faceva continuamente capolino nella sua mente, con lo sguardo triste, mimando silenziosamente una parola con le labbra: "Mi dispiace."

Modesty –puntualmente- la rispediva lì dove era stata per tanti anni, invitandola a lasciarle vivere gli ultimi istanti felici della sua vita.

Stava prendendo un thè pomeridiano con Madame, Sébatien stava giocando sul pavimento con un cavallino di legno e Keler, da un angolo della piccola e bianca cucina, stava fumando il suo sigaro. Brigitte continuava a lanciargli occhiate fulminanti. Innumerevoli volte aveva detto che non voleva che fumasse in presenza del figlio ma il tenebroso barista faceva spallucce.

<< Tanto quando crescerà, fumerà sicuramente. >> Diceva, lasciando spegnere il sigaro e cambiando stanza per goderselo meglio.

Modesty aveva l'impressione che Madame fosse troppo dura con Keler, specialmente negli ultimi mesi. Ciò portò la ballerina a pensare che i due potevano avere una sorta di simpatia che sfociava nell'astio. Poteva succedere. Ma con Brigitte non aveva mai affrontato l'argomento e lei sembrava sviarlo quando raramente succedeva.

Lo zingaro era impegnato nel centro di Parigi con il geometra. Ormai i lavori erano quasi finiti e in una settimana si sarebbero trasferiti nel nuovo locale. Era già Maggio e i primi segni di caldo si erano già abbattuti su gran parte della popolazione francese. Il Meteo prometteva caldo afoso e siccità per le prossime settimane. Tutti avevano smesso gli abiti primaverili per vestire in modo più estivo e aperto.

<< Modesty? C'è qualcuno al telefono per te. >> La tata di Sébatien apparì sulla soglia della porta, stringendo tra le mani la sua borsetta.

<< Chi è? >> Chiese l'interessata, scambiandosi velocemente uno sguardo con Madame.

<< Un uomo. Non mi ha detto il suo nome. Ma dice che è urgente. >>

Lavdor. Fu il suo primo pensiero. Non conosceva altri che potessero contattarla a quell'ora. Si alzò con un sospiro, sperando vivamente che lo zingaro non le rifilasse un'altra scusa per non tornare verso l'orario d'apertura. Dopo aver scoperto della lettera della madre, non aveva fatto domande a lui direttamente. Adesso, però, se si assentava sapeva perché.

Raggiungendo il corridoio, Modesty prese in mano la cornetta color ocra del telefono. I bordi dorati al centro, incorniciavano i numeri che, ovali, arrivavano da 0 a 9. Una lente al centro, con un piccolo ago, faceva capire quale numero veniva schiacciato per comporlo e telefonare a chi si desiderava.

<< Pronto? >>

<< Edith, sono io. >>

La voce di Peter Wright era chiara, limpida, senza interferenze. Arrivò così alle orecchie della ragazza. Modesty si guardò alle spalle, dove poteva arrivare qualcuno, ma non sentì alcun rumore e ne gli occhi puntati addosso.

<< Che c'è? >>

<< Ho qualcosa di urgente da dirti. Non può aspettare. >>

Tutto lì? Non lo vedeva da anni, quando l'aveva visto aveva fatto finta di niente e adesso che, si ritrovavano a parlare da soli, se ne usciva con: ho qualcosa di urgente da dirti?!

Psicologia maschile. Il vero mistero della vita.

Tuttavia, Modesty tornò alla realtà. C'era ancora un po' di tempo prima dell'inizio dello spettacolo all'Olympia. Forse riusciva ad andare all'incontro con Peter, tornare e salutare Lavdor prima... prima che vada. Ci teneva a salutarlo, anche perché sentiva che non avrebbe potuto più farlo. Le sembrava ancora impossibile che riuscisse a portare una maschera del genere così bene.

<< Dove? >>

Ci fu un attimo di silenzio prima che potesse sentire di nuovo la sua voce. << Place des Vosges, nel quartiere Marais. Lo conosci? >>

<< Sì. Ho incontrato Nadia in un bar di quel quartiere. A che ora? >>

<< Anche subito, se puoi. Te l'ho detto: non posso aspettare. E' una questione di vita e di morte. >>

Modesty iniziò a tremare in modo lieve ma evidente. Deglutì silenziosamente. << Va bene. Tra un'ora alla piazza. >>

Come risposta c'era solo la linea libera del telefono. Le stava giocando un brutto scherzo? E se una volta lì l'avrebbe arrestata? Sospirò, rilassandosi. Con quale accusa? Era maggiorenne ormai e non poteva ritrascinarla a Chicago, anche se Edith avrebbe voluto. La mise a tacere con facilità e fece per salire le scale incontrando, alla seconda rampa, Keler che scendeva al piano terra.

<< Chi era al telefono? >>

<< La sarta. Ha detto che avrebbe ritardato nella consegna del vestito per Madame. >>

Keler la squadrò, con un sopracciglio alzato. Con quell'aria da inquisitore e gli occhi piccoli da topo era dannatamente inquietante. << Va tutto bene, Modesty? Stai tremando. >>

La ragazza si morse la lingua, ordinando a se stessa di far cessare il flusso di pensieri all'istante. Doveva essere convincente nel dire quella scusa a Keler. Se tremava, avrebbe alzato solo sospetti circa la sua dichiarazione.

<< Tutto bene. Solo un po' stanca. >>

Keler annuì, superandola per raggiungere il piano terra e riandare di nuovo in cucina. Rimasta sola, Modesty tirò un sospiro di sollievo. Non era sicura di averla fatta franca ma poteva sperare che non avrebbe indagato oltre. Non avrebbe mai immaginato che Edith stesse covando il suo tradimento, con l'indignazione di Modesty. Veloce, salì in camera sua per cambiarsi e recarsi nel quartiere Marais. Lo ricordava terribilmente affollato.

Contrariamente a ciò che pensava però, Place des Vosges, le appariva terribilmente elegante, raffinata. Verdi prati con taglio stile inglese, una grande fontana al centro che spruzzava acqua limpida e cristallina. La grande e bella piazza era circondata da nove caseggiati che formano una parete continua, lunghi almeno 140 metri. A circondarla, poi, vi erano anche edifici come l'Hôtel Arnaud, dove visse Victor Hugo in esilio; il teatro che fece da sfondo al romanzo "L'ombra cinese" di Simenon. Edith aveva iniziato a leggere le avventure del commissario Maigret quando era ancora fanciulla. Pensare di star calpestando i posti del personaggio immaginario di Simenon le dava una certa eccitazione che quasi si dimenticava del perché era lì.

Raggiunta la fontana, però, una figura la fece tornare alla realtà. Un altro agente di polizia, ben diverso dal commissario dei suoi libri. Peter Wright vestiva borghese, in un abito grigio perla. Avrebbe faticato a riconoscerlo, se l'avesse visto per strada. Stringendo la sua pochette bianca, Modesty si avvicinò a lui. Erano finalmente soli, faccia a faccia. Un tempo amici, ora nemici. L'eccitazione di poco prima, pensando a Maigret, svanì all'istante. Il pensiero che Wright potesse ingannarla era ancora vivo dentro di lei. Edith, invece, se ne stava calma e tranquilla ad osservare la scena. Era come leggere in un romanzo. Il rumore dell'acqua della fontana, poi, era una cornice perfetta, come i verdi prati sotto i loro piedi.

Tenendo le mani in tasca, Peter si fermò a pochi centimetri da lei. << Vestiti sgargianti, pettinatura raffinata. Sei cambiata parecchio, Edith. O vuoi che ti chiami Modesty? >> L'ironia era lampante nelle sue parole, che la colpirono come un fiume in piena. Nell'attesa di una sua risposta, si gustò la sua espressione atterrita.

Portava un vestito bianco con delle rose rosse e ai piedi dei sandali dello stesso colore dei fiori. Un outfit regalatole da Madame, proveniente da una boutique francese molto in voga. Che male c'era a spendere i propri soldi come meglio si credeva? Ma non era per quello. Anche uno stupido se ne sarebbe accorto. Non era il suo modo di vestire ad infastidirlo, neanche il semplice chignon che si era creata per far respirare la pelle dall'afa estiva.

<< Edith va benissimo. >> Rispose a tono, non volendo continuare con quell'argomento. << Hai detto che era urgente. Che succede? Novità da Nadia? >>

Peter si accese un sigaro, serrandolo tra le labbra. << Già sai che tutto accadrà questa sera. Nessuna novità, no. Ma ti ho chiamata perché voglio farti conoscere una persona. >> Tirò fuori dalla bocca una grossa nuvola di fumo, che fece arricciare il naso alla sua interlocutrice, da sempre disgustata dall'odore nauseabondo dei sigari. Già era una tortura doverlo sopportare al locale.

<< Chi? >> Domandò tra la curiosità e lo scetticismo.

<< Vieni con me. >> Peter la superò, camminando nella direzione opposta. Sentendo che non c'erano i passi della ragazza a seguirlo, si girò verso di lei. << Allora? >>

Modesty si girò verso di lui, raccogliendo il suo sguardo di sfida. << Come faccio a sapere che non mi stai tenendo una trappola? >>

Sulle labbra dell'agente si dipinse un sorriso ironico, quasi una smorfia divertita. La ragazza notò che era cambiato molto dal poliziotto che aveva incontrato, anni prima. Le sembrava di essere ancora seduta davanti alla sua scrivania, con lo sguardo più colpevole che ci fosse, e in sottofondo i telefoni del distretto che squillavano.

<< Un po' tardi per pensarci. Non credi?! >> Le rispose, riprendendo a camminare e a darle le spalle.

Con un sospiro, Modesty raccolse una manciata di coraggio -che aveva di riserva- e lo seguì, rapida per stargli dietro.

Camminarono lungo la piazza, svoltando poi in un vicolo. C'erano case dall'aspetto antico, piccoli balconi neri abbelliti con vasi e fiori. Tra i san pietrini neri scorreva l'acqua che avevano buttato i passanti e il proprietario di una vinoteca stava spazzando l'entrata del suo negozio.

Non ci volle molto, prima che Peter si fermasse davanti una casa, più isolata rispetto alle altre, ma comunque nel centro del Marais. Se qualcuno avesse urlato –per esempio- si sarebbe sentito sicuramente. Modesty fece vagare lo sguardo sul cancello nero, sulla cinta di marmo giallo paglierino che circondava la casa e il piccolo giardino ben curato. Qualcosa, però, attirò maggiormente la sua attenzione. Una targa dorata posta al lato del cancello, su di esso vi erano delle iniziali e un cognome: I.Y. Frashëri.

Da chi la stava portando?

Neanche il tempo di citofonare, che il cancello venne aperto da una inserviente da i capelli biondi che venne loro incontro, d'aspetto maturo ma malcurato.

La cameriera gli fece entrare, guidandoli verso l'entrata della piccola abitazione. L'interno era sicuramente meglio dell'esterno. C'era un gusto classico e campagnolo, che ad Edith ricordava vagamente la sua casa a Chicago.

<< La signora vi riceverà tra poco. >> Disse la cameriera. Un cenno da parte di Peter e si dileguò alle sue mansioni.

Modesty continuava a chiedersi del perché Wright l'avesse portata lì. E stava per chiederglielo, se un rumore di passi non avessero fatto morire in gola la domanda che assillava il suo cervellino. Sia Peter che Modesty, infatti, si voltarono verso l'elegante scala a chiocciola, da i gradini di marmo bianco e la ringhiera nera, la quale era decorata con foglie dello stesso colore e dei rami che si incontravano e si curvavano.

La luce mostrò la figura di una signora in tarda età, bellissima quanto elegante nell'abito celeste da giorno. I capelli corti –di un biondo che si avvicinava a delle chiare sfumature sul rosso- erano lasciati ondulati sulle spalle, anche se –per via della lunghezza- coprivano a malapena il collo. Portava un trucco leggero, con leggere sfumature dal bianco al celeste pallido. I grandi occhi bruni scrutavano i suoi ospiti, soffermandosi il più delle volte proprio sulla giovane ballerina. Quest'ultima, infatti, si sentì a disagio come non mai. Anche Madame Pussy –con tutto che aveva una bellezza fuori dal normale- non era nulla in confronto. Tutto in quella signora lasciava suggerire che, da giovane, doveva essere stata una bella ragazza.

<< Sei tu quindi. >> Disse, in direzione della giovane. Quest'ultima scambiò una rapida occhiata con Peter, che annuì.

<< Sì, signora. >> Si limito a rispondere, osservandola scendere le scale per raggiungerli.

<< Puoi chiamarmi Yvonne, lasciando perdere il mio primo nome che detesto. >> Si presentò, curvando le labbra in un sorriso caloroso e amichevole.

Yvonne. Istintivamente Modesty si voltò verso Peter. L'agente la guardava con uno sguardo chi si sapeva qualcosa. Mille pezzi di un puzzle inesistente, iniziarono ad assemblarsi, automaticamente.

L'espressione della giovane, infatti, diceva tutto. Poteva essere la stessa Yvonne della lettera? Poteva essere...?

<< Sì, Modesty. Sono la madre di Lavdor. >>

Una risposta ad una domanda mai pronunciata. Come a leggergli nella mente, Iliria Yvonne Frashëri aveva confermato i suoi dubbi. Davanti a lei aveva la madre di Lavdor, del suo uomo. Una persona completamente sconosciuta a lei. Ma come aveva fatto Peter a saperlo? Non gli importava. Presa certezza di ciò, Modesty ricambiò il sorriso della donna.

<< E' un piacere incontrarvi. >>

<< Il piacere è mio. Mio figlio mi ha parlato di te in continuazione. >>

Quelle parole lasciarono una scia di entusiasmo dentro di lei, ma allo stesso tempo si sentì come appassita, senza forze, senza voce. Cosa poteva dirgli adesso? Ma soprattutto... perché Peter l'aveva portata lì?

<< Perdonatemi, signora, ma... non capisco perché mi trovo qui. >> Trovò la forza e le parole di esprimere il suo dubbio, la sua confusione.

Il sorriso di Yvonne si affievolì, ma si mantenne comunque sul volto luminoso. << Ti offro una limonata, vieni. Così avrò anche modo di dirti perché sei qui. >>

Scambiare occhiate con Peter era inutile. Posizionato davanti alla porta d'uscita sembrava una guardia che teneva d'occhio un prigioniero.

Quindi seguì la donna nella cucina: campagnola, rustica, piccola ed accogliente. Con colori dal celeste al bianco, con un po' di rosa e verde che decoravano le tendine poste sulle finestre. Un piccolo tavolino di legno chiaro era posto al centro della stanza, con due sedie dello stesso materiale. Senza aspettare un suo invito, anche perché era sottointeso, si accomodò su una delle sedie. La donna era andata verso il frigorifero e, prendendo una bottiglia trasparente dal liquido giallo canarino, versò il contenuto in due bicchieri.

<< Lavdor non mi ha mai detto che lei era qui in Francia. >> Disse lei, tanto per rompere il ghiaccio e cercare di riportare l'attenzione sul discorso principale della sua venuta lì.

<< Penso l'abbia fatto per proteggerti. >> Rispose semplicemente la donna, tornando dalla sua ospite e porgendole la sua limonata, accomodandosi poi di fronte a lei.

<< Proteggermi? >>

<< Da i suoi nemici. Ne ha molti. >>

Modesty cercò di restare ferma sulla sedia, anziché iniziare il classico balletto nervoso delle gambe. Si scolò un sorso di limonata per allentare la tensione che la teneva stretta in una morsa d'angoscia.

<< Io so di quali crimini si è macchiato mio figlio. >> Dichiarò Yvonne, ottenendo la completa attenzione della ragazza che la guardava con occhi sbarrati. << E so che non c'è giustificazione che tenga. Più e più volte ho esortato Lavdor ha cambiare vita, a studiare e prendere il proprio posto del mondo. Ma lui è come suo padre, non tollera che qualcuno gli ordini cosa fare. Così per un po' non ci siamo parlati. Io abitavo ancora a Kukes, in Albania, quando Lavdor si trasferì a Chicago. Poi decisi di prendere questa casetta, con i risparmi che avevo, e sono arrivata qui. >>

<< Lui non mi ha mai parlato di suo padre. >>

Yvonne annuì, con lo sguardo assente. << La cosa migliore. Non è stato proprio un buon modello di padre. Neanche io come madre, se per questo. >>

Modesty non voleva entrare nei particolari della vita di Yvonne e neanche nella vita del padre di Lavdor. L'ultima cosa che voleva era scavare nel suo passato mentre lui non c'era.

<< Perché mi ha fatto chiamare, Yvonne? >>

La donna alzò gli occhi dalla limonata alla ragazza. Si specchiò nelle iridi chiare di lei. Ciò che voleva trasmetterle era dolore, angoscia, preoccupazione. E forse ci stava riuscendo. Poteva sentirlo dal lieve rumore della sedia, provocato dal suo corpo nervoso.

<< So che mio figlio stasera verrà ucciso. >>

Modesty sbarrò gli occhi. << Ucciso? N-no. Lavdor sarà solo arrestato. Ci sarà un processo e poi, dopo aver scontato la giusta pena, verrà rilasciato. >>

Un sorriso ironico e amaro si dipinse sulle labbra fine e rosee di Yvonne. << E questo che ti ha detto Nadia? E tu le hai creduto? >>

La ragazza deglutì, sentendo alcune goccioline di sudore scendere lungo il viso. Sudore freddo. Preoccupazione e paura adesso si erano mischiate. Istintivamente si voltò verso Peter. Stava lì a fumare, senza battere ciglio e senza dire una parola per smentire quel fatto.

Allora... poteva essere... vero.

No. Nadia non mi avrebbe mai mentito. Pensò Edith, completamente certa del fatto che Yvonne stesse prendendo un granchio.

Povera illusa. Ti sei fidata di una poliziotta. Il primo errore che non dovresti proprio fare. Suggerì Modesty, iniziando a sentirsi in colpa. Senza saperlo, aveva dato l'uomo che amava in pasto ai lupi.

Ed è tutta colpa tua! Sbraitò –mentalmente- la ragazza, in direzione di Edith, che continuava a restare ferma della convinzione che fosse solo una sciocchezza.

<< Nadia mi ha assicurato che non lo ucciderà, lo arresterà soltanto. >> Modesty si voltò verso Peter. << Puoi dirglielo anche tu? C'eri alla riunione, no?! Hai sentito ciò che ha detto Nadia. >>

Ma Peter non disse nulla.

<< Nadia ti ha mentito, Modesty. >> Le disse Yvonne, nel tono più calmo che la donna conosceva. Sembrava che stesse parlando con una figlia, che con una sconosciuta.

Modesty, dal canto suo, continuava a non capire. << Perché avrebbe dovuto mentirmi? >> Sentiva che c'era dell'altro. Una verità non detta alleggiava nell'aria, in attesa di essere espressa.

<< E' una storia lunga. >> Sussurrò di rimando, sorseggiando la limonata. Se doveva dirle tutta la verità, le serviva molta energia, che magari solo dell'alcol vero poteva darle. Ma bere davanti la ragazza non era una scelta saggia, anche perché doveva rimanere lucida.

<< Yvonne, la prego. Lavdor potrebbe essere in pericolo ed io devo salvarlo. Mi dica tutto ciò che sa. >>

La donna osservò la giovane. Negli occhi di lei vi leggeva un sentimento che conosceva bene. Tempo addietro, aveva provato lo stesso per il padre del suo Lavdor. L'uomo della quale si era perdutamente innamorata, che nel bene o nel male aveva deciso di seguire, anche in capo al mondo.

<< Va bene. >> Yvonne prese un lungo respiro, gonfiando il petto. << Avevo circa diciassette anni quando conobbi Milon. Io ero una ragazza che veniva da una famiglia molto povera, di Kukes. Quando compì diciannove anni, con l'aiuto di un'amica, scappai di casa con lui e mi rifugiai a Gjirokastra. Inizialmente il nostro rapporto era bellissimo, basato sull'amore e il rispetto. Ma poco a poco tutto ciò iniziò a crollare. Nel giro di pochi anni, Milon era diventato violento, non solo con me ma anche con Lavdor, che all'epoca era solo un bambino. >> Prese una pausa per bere ancora un sorso di limonata. Davanti a se, Modesty l'ascoltava in silenzio, con la vista offuscata da un velo di lacrime agli occhi. << Lavoravo in uno dei suoi locali come spogliarellista, per garantire anche a Lavdor un futuro più sereno. Lontano da tutto questo. Sperai che col tempo, anche Milon si sarebbe calmato e avrebbe iniziato ad essere più presente per suo figlio, se non per me. Ma nulla di tutto questo è mai accaduto. Quando ci trasferimmo a Parigi, tramite una lettera, scoprì che Milon aveva una seconda vita, una moglie e una figlia legittima. >>

Lo stupore era palpabile sul viso della giovane. << Quella figlia era.. Nadia? >> Osò chiederle.

Yvonne strabuzzò gli occhi scuri, annuendo appena. << Sì. Quando chiesi spiegazioni a Milon, lui mi disse semplicemente che non erano affari miei, che io ero solo la sua amante. Allora decisi di andarmene, di tornare in Albania con mio figlio. Fortunatamente non tentò di fermarmi. Rimasi nella mia città Natale per anni. Non c'era da stupirsi che, crescendo, Lavdor avesse sviluppato dell'odio e dell'astio verso Milon. Io ho sempre cercato di dissuaderlo da tutto ciò che riguardava il mio passato, che io ero felice solo se avevo lui e che lo volevo sapere vivo, libero e al sicuro. Ma non mi diede retta. Ricordo che una sera era tornato piuttosto tardi, pioveva ed era fradicio dalla testa ai piedi. La prima cosa che vidi fu una pistola, nella sua giacca. Scarica dei proiettili. >>

E non c'era bisogno che Yvonne continuasse a parlare. La sua bocca continuava a muoversi, si, ma Modesty non riusciva a sentire più la sua voce. Le sembrava così dannatamente assurdo. Nadia l'aveva ingannata, lei sapeva del perché Lavdor aveva ucciso Milon. Anni di dolore e sofferenza, avevano portato lo zingaro a credere che far fuori il genitore, il seme che l'aveva generato, fosse la cosa migliore. Un riscatto per tutto ciò che aveva affrontato.

Quindi, cara Edith, da che parte stai adesso?

Modesty si faceva beffe di se stessa, dell'altra lei sempre perfetta e da i capelli sempre in ordine. Entrambe si erano sbagliate, in diversi punti, ma con un'unica certezza: Lavdor non era un mostro. La vera bestia era lei, che l'aveva giudicato senza pensare, senza porsi domande alcune. Come aveva potuto? Come aveva potuto pensare di avere dei dubbi sull'uomo che amava? Se fosse morto, non se lo sarebbe mai perdonato. Perché la colpa sarebbe stata solo sua.

<< Nadia vuole ucciderlo quindi? >>

Yvonne annuì. Sul volto rugoso e candido si erano posate due lacrime, scese dagli occhi. Neanche lei riusciva più a contenere il suo dolore e ben presto, Modesty si aggregò a lei.

<< Tu sei l'unica che può salvarlo. So che lo ami, esattamente come anni fa io ho amato Milon. Ma per me non c'era alcuna speranza, per te sì. Per voi c'è ancora una possibilità, per un futuro migliore. >> La mano della donna si allungò sul tavolo e prese quella della ragazza, stringendola, infondendole un poco del coraggio che riservava ancora dentro di lei. << Vinci dove io ho fallito. Salva mio figlio dalla dannazione. Che sia Modesty o Edith a farlo... che senso ha? Entrambe lo amate, come lo amo io. >>

Una domanda, solo una, nacque nella sua mente: lo amo al tal punto da sacrificare, ancora una volta, la mia libertà?

La risposta non tardò ad arrivare: No. Lui è la mia libertà.

Con uno scatto si alzò dalla sedia, rovesciandola a terra. Copiosi lacrimoni cadevano dal suo viso, morendo sotto la sua gola. Alcuni, invece, continuavano anche per il suo collo. Ma il suo stato era l'ultimo dei suoi problemi. Doveva salvare Lavdor, il tempo stava per scadere. Ma sapeva come muoversi, sapeva come anticipare le mosse della russa. Con un po' di fortuna l'avrebbe battuta sul tempo.

<< Yvonne, glielo giuro. Salverò suo figlio, anche a costo della mia vita. >>

La donna scoppiò in lacrime, probabilmente per felicità o preoccupazione. Passandole vicino, Modesty le toccò la spalla, infondendole un poco di sicurezza, anche se il suo tocco era tremante. La lasciò alle sue lacrime, senza dire una parola di più, e andò verso la porta d'uscita, dove incontrò lo sguardo soddisfatto di Peter Wright.

<< Adesso ti riconosco. >>

Incapace di sorridere, Modesty uscì in cortile, seguita dal poliziotto. << Dobbiamo far presto. Se ci sbrighiamo, riusciamo a fermarlo ancor prima che esca dal locale. >>

Peter non parlò, si limitò a seguirla. In breve tempo furono nuovamente in Place des Vosges, dove il traffico sembrava essere diminuito rispetto a poco prima. Il poliziotto si fermò davanti una vettura blu notte. << Prendiamo la mia. Un taxi ci impiegherebbe troppo. >>

La ragazza annuì e senza fare domande, salì a bordo dell'auto di Peter. Una vertigine la colse all'improvviso e la obbligò a poggiare la testa sul sedile. Respirò a pieni polmoni, cercando di non farsi prendere dall'ansia.

<< Tutto bene? >> Le chiese Peter, resosi conto del leggero pallore sul viso della giovane.

<< Sì, sto bene. Andiamo, dobbiamo far presto. >>

L'agente di polizia mise in moto, addentrandosi nelle strade di una Parigi stranamente calma. O era il clima caldo a diminuire il traffico o era lei. Le sembrava di vedere tutto così diverso. Nella mente continuava a rimbombargli la voce di Yvonne, il suo racconto. Era stato così vero che sembrava quasi di esserci.




Wolf's note:

Ed eccomi ad aggiornare! Ho avuto dei problemi con Word quindi... ecco del perché del ritardo di due giorni. Qui molte cose vengono a galla, verità finalmente svelate e adesso... per Modesty ci sarà la sua sfida più grande: riuscire a salvare Lavdor dalla trappola di Nadia. Ci riuscirà? Non ci resta che attendere il prossimo e penultimo capitolo per scoprirlo. Qui incontriamo l'ultimo personaggio della storia: Yvonne, ovvero.. la mamma di Lavdor. 

Volevo ringraziare voi, i miei lettori, che continuate a seguire la storia con passione. E mi fa piacere leggere i vostri commenti e i vostri messaggi. Grazie di cuore! <3

Prossimo e penultimo aggiornamento della storia è prevvisto per Martedì 18 Maggio, nella speranza di non avere ritardi. Se questo succederà, però, vi avvertirò o qui su Wattpad mandando un messaggio ai followers, o sulla mia pagina facebook. Vi ricordo che potete trovare il link alla mia pagina d'autore qui su Wattpad. 

Progressi sullo spin-off: Quasi pronto. Nelle note dell'ultimo capitolo vi rivelerò dove potete trovarlo!

Inoltre volevo farvi una piccola premessa. Alcuni di voi avranno notato che ho cambiato la copertina di un'altra mia storia: Aida - La regina ribelle. Questo perché sto lavorando anche per quella, per continuarla. Quindi... se volete darci un'occhiatina... la potete trovare nelle mie storie, dove ho già corretto i primi due capitoli. 

Un grazie ancora a voi! <3 

Al prossimo capitolo!

Wolfqueens Roarlion.




Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro