02.🖤

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Jungkook

Ho sempre visto il destino e i miracoli come un qualcosa di divino. Di astratto. Di irraggiungibile. Un qualcosa di così lontano da non riuscirlo nemmeno a scorgere o a concepirne la loro esistenza. Li paragonavo alla musica, che falevoleggiava la vita in modo così accurato, così intenso e ineccepibile da teletrasportarti in un universo parallelo in grado di esaudire ogni tuo sogno o desiderio. Questo, prima di leggere tra le righe di quell'articolo e ancor prima di incontrare Kim Taehyung.

50esimo anniversario dell'Accademia d'Arte Kim!
per i 19enni 50% di sconto sulle spese mensili fino al 31 dicembre 2023!
Lo annuncia il figlio minore Kim Seokjin.

Sbattei le palpebre almeno un centinaio di volte e le mie pupille si dilatarono, mentre sfioravo con l'indice il trackpad del mio portatile e con l'altra mano tastavo il piatto perlaceo in cerca di altra pizza. Lo lessi così tante volte da perdere quasi la vista davanti allo schermo. Non è possibile. Non è possibile. Non è possibile. Non è possibile. Stavo impazzendo o la vita stava per collocarmi in una condizione di non ritorno dalle mie fantasie protratte e utopistiche con l'intento di intrappolarmi in un fervido sogno ad occhi aperti?

Fra trenta minuti le date ufficiali incontri di presentazione. Continuai a fissare quella scritta esterrefatto. Non c'erano parole per descrivere ciò che il mio corpo stava avvertendo. Adrenalina. Euforia. Tremore. Agitazione. Ansia. Tachicardia. Non riuscivo a metabolizzare la cosa. Un sogno. Avrei davvero potuto suonare il pianoforte davanti ad uno dei maestri dell'Accademia? Non era altro che una visione oltremondana, il mio paradiso. Mi sarei aspettato di tutto dalla vita: vedere ogni sfaccettatura della luna da vicino, nuotare oltre l'orizzonte, fare amicizia con un alieno, ma non questo. Si trattava dell'Accademia Kim, il simbolo dell'Arte e della musica qui a Seoul, il posto più bramato da ogni artista. Sogno anche solo di poterci entrare da quando avevo otto anni. Se non fai parte dell'alta società, lì dentro sei carta straccia, equivalente ad un miserabile pugno di cenere. Non importa quanto talento tu possegga, perché esso deve soltanto compensare alla ricchezza. Ed io non ero nessuno.

E mentre continuavo a tenere gli occhi inchiodati su quei piccoli numerini che scalavano il tempo, ad ogni secondo che passava mi parve di perdere un battito, laddove una manciata di pezzettini di cuore supplicavano che non si trattasse di una bugia con il solo scopo di illudere.

Mai come allora sperai che le lancette dell'orologio si muovessero un po' più fretta ed evitassero di ticchettare nelle mie orecchie. L'attesa mi stava divorando l'anima. Lo scatto rapido e assordante della chiave infilata nella serratura mi fece sobbalzare, rivelando la figura sgraziata e ridondante del mio migliore amico, che gettò sul pavimento una serie di buste della spesa e di vestiti, provocando un tonfo ancora più acuto.

« Ma sei impazzito o cosa!? Ho perso almeno dieci anni di vita grazie alla tua teatrale entrata in scena! » strillai agitando le braccia, mentre Hoseok richiudeva la porta alle sue spalle come se fosse tutto normale.

Aveva le chiavi di casa mia, la delicatezza di un elefante in una cristalleria e aveva appena fatto la spesa al posto di mia madre?!

« Ci siamo svegliati con la luna storta, Kook? Smettila di urlare o sveglierai tutto il vicinato! » spalancai gli occhi dal modo in cui stava rigirando la frittata a suo favore. Adesso ero io il problema? Lasciai cadere la cosa e mi avvicinai a lui, frugando tra le buste. Aveva comprato di tutto: biscotti, latte, farina, uova, snack, cioccolata, alcool.

« Tu che fai la spesa? A me? Dev'essere davvero una di quelle giornata da evidenziare sul calendario » roteai gli occhi avvertendo il suo sguardo percorrere ogni dettaglio del mio viso, e mi passai le dita fra i capelli a causa dell'agitazione. Era raro che Hoseok facesse qualcosa dal nulla, sopratutto perché odiava fare shopping o solamente entrare in un negozio a dare uno sguardo alle vetrine. La sua vita girava intorno alle sigarette, alla droga e all'acool come fossero la sua religione.

« Oh, me l'ha chiesto tua madre » mia madre aveva chiesto a lui di farle la spesa?

« Mia madre!? » quella giornata stava iniziando a prendere una brutta piega. « Sì, la donna che ti ha concepito, hai presente? Bassina, occhi scuri, che lavora in ospedale » mi specchiai nel suo sguardo divertito e lasciai il mio corpo scivolare nuovamente sul divano in pelle, accavallando le gambe in segno di resa. Le conversazioni con Hoseok mi torturavano il cervello più delle lezioni di pianoforte in cui bisogna concentrarsi sulle note, sulla vista e sul movimento delle mani che ne concretizzano la melodia.

« Comunque, come mai sei ancora in pigiama e al buio? È una bellissima giornata fuori, dovremmo approffitarne » le mie labbra si incurvarono in un sorriso e gli indicai il computer sul tavolino.
Oggi alle 19:30 - mercoledì alle 10:00 - Sabato alle 15:45.

« SANTO CIELO, Kook! » lo urlò così forte che dovetti tappargli la bocca per farlo smettere e in contemporanea udii mia sorella minore dalla sua stanza, nervosa come non mai.

« Ma che problemi avete voi due? Una giornata di relax non mi è mai concessa? Vi detesto! »

« Scusaci amore, ma tuo fratello ha bisogno di un supporto psicologico a causa di una notizia bomba. Vieni qui cavolo! » lo fulminai con lo sguardo prima di ricompormi diventando improvvisamente serio.

« Devi accompagnarmi Hoseok, ti prego » lo supplicai « Devo anche fare bella figura, indossare qualcosa di consono, non farmi prendere dal panic- »

« Prendere un bel respiro? Ti accompagnerò, ma sai quanto sia inadatto per gli eventi sociali. Ti lascio e poi torno a prenderti, va bene? » annuii e lo strinsi fra le mie braccia. Il mio corpo vibrava. Mi scostai di lato nel vedere mia sorella comparire davanti alla porta con l'espressione assonnata e i capelli raccolti in uno chignon disordinato. Un pigiama a pois le fascava le gambe e la spalle così delicatamente da farla sembrare una bambina.

« Mi spiegate che cosa sta succedendo? Dove lo devi accompagnare, Hoseok? La mamma è tornata? » chiese sfregandosi gli occhi mentre si incamminava verso il frigo.

« Accademia Kim. C'è un evento di presentazione per i provini di quest'anno. Lo so, devo parlarne con la mamma se ho intenzione di iscrivermi, ma volevo partecipare comunque anche solo per entrare lì dentro » il mio entusismo era palpabile ma la mia insicurezza l'avrebbe notata anche un cieco. Certo, lo sconto era notevole, ma rimaneva comunque una certa cifra e non ero sicuro di potermela permettere. Abbassai lo sguardo sovrappensiero.

« Se vuoi un parere sincero Kook, io penso che i Kim siano persone troppo...altezzose e piene di sè. Con questo non voglio assolutamente scoraggiarti, ma pensaci prima di investire in questo tuo 'sogno', va bene? » Mi lasciò un bacio umido sulla guancia prima di scomparire nel dietro la porta della cucina.

Poteva avere ragione? Avevo passato anni a raccogliere informazioni sull'Accademia, le lezioni, i maestri, tutto, eppure quella parte della società mi faceva ancora paura. Il non sentirmi uno di loro e il non essere alla altezza delle loro aspettative e altre mille paranoie che mi creavo sin da bambino.

Avrei potuto davvero aspirare a questo?

Ci pensai per tutto il giorno, fino alle sei passate. Mia madre non era ancora tornata così le inviai un messaggio molto vago senza spiegarle dove andavo di preciso. Dovevo aspettare il momento giusto. Afferrai una camicia bianco sporco e cercai di stirarla decentemente prima di indossarla e la infilai dentro un pantalone grigio, per poi guardarmi allo specchio.

« Sembro un idiota e questi colori mi rendono la persona più triste del pianeta. Altro che corsa verso il sogno, piuttosto sembra che io stia andando ad un funerale! » commentai esausto. Mi sistemai il colletto spazzolandomi con una mano il ciuffo di capelli color sabbia che mi ricadeva sulla fronte.

« Dai smettila, sei perfetto così, Kook. Io ti accetterei in più per la tua bellezza che per il talento. Li conquisterai tutti, fidati di me! » ironizzò Hoseok fissandomi le spalle con ammirazione.

Sospirai inspirando profondamente e sorrisi, prima di chiudere la porta di casa alle mie spalle ed entrare in macchina. Mi poggiai con il gomito sul finestrino per tutto il tragitto: Seoul era piena di vita e stavamo sfrecciando verso di essa. Già in lontananza intravidi la scritta "KIM" a led rossi e una marea di gente attorno all'imponente edificio. Mi paralizzai non appena Hoseok si fermò facendomi segno con la mano di scendere dall'auto a causa del traffico e dei clacson che lo stavano irritando parecchio. Mimò un "Buona fortuna" che a malapana udii e scomparve dalla mia vista.

Scrutai il paesaggio alle mie spalle e ne rimasi incantantato: luci colorate avvolgevano il possente orologio a pendolo di un bianco lucente che indicava l'ora: le sette e venti. Due guardie erano pozionate davanti alla porta in vetro lucido in cui ti ci potevi specchiare. Non riuscivo ad osservare tutto nei dettagli a causa delle troppe macchine e delle fastidiose vocine che si sovrapponevano tra loro man mano che arrivava altra gente. C'erano ragazzi giovanissimi, bambini con i genitori, anziani che si salutavano in modo incredibilmente amichevole, quasi tutti con indosso uno smoking nero e con sorrisi mozzafiato. Avvertivo la tensione nell'aria. Per un attimo immaginai che fosse una visione e il mondo si fosse fermato per una manciata di secondi. Calò un silenzio tombale. Gli sguardi di tutti si concentrarono sulla maacchina di un nero laccato brillante. Mi mancò il fiato. Kim Seokjin e Park Jimin erano lì dentro cavolo. Stavo per vederli dal vivo, DAL VIVO. Io. Stavo. Per. Vederli. Dal. Vivo.

Non è un sogno, Kook. Sei davvero qui. La mia mente mi ricordò che tutte le emozioni che stavo assorbendo erano reali e non uno scherzo del destino.

Le mie mani sfregarono nervosamente il tessuto morbido e caldo del pantalone, e fu allora che alzai lo sguardo verso le due figure che scesero dall'auto. Non ci capii più niente. Le mie orecchie furono inondate da urla ridondandi e da commenti che mi fecero rabbrividire. Kim Seokjin mi passò davanti cercando di farsi spazio tra la folla ed io trattenni il fiato. Il cappotto lungo in pelle e le scarpe brillanti di un bianco perlaceo gli donavano un'aria tenebrosa, mistica, e quel sorriso, la sua voce roca mentre salutava, le gambe slanciate e la schiena perfettamente in sintonia fecero innamorare tutti i presenti.

Le stridia si raddoppiarono non appena Jimin chiuse lo sportello della macchina. Il mio cuore sobbalzò alla vista del loro autista, che stonava in mezzo a tutta quella gente fine ed raffinata dal quale era circondato. A partire dai glitter color porpora appiccicati sulle guance di un rosa chiarissimo, i capelli lunghi che ricordavano l'autunno perché dello stesso colore di un tronco d'albero, le iridi scure che fissavano con insistenza quelle di Jimin, che a differenza sua sembrava uscito da una rivista di moda anni ottanta.

Ciò che catturò particolarmente la mia attenzione però, fu la sua felpa extra large color mattone e le mani nascoste all'interno delle maniche.

« Non fare cazzate, d'accordo? » Gli sussurrò Jimin sporgendosi verso il finestrino.

« E tu non fare il guastafeste. Goditi la serata » il ragazzo girò il capo verso lo specchietto e fece retromarcia prima di scomparire nel traffico togliendomi il fiato. Non riuscivo a smettere di pensarci. Mi ricomposi e seguii la folla che si incamminava verso l'entrata principale dell'Accademia. L'avrei vista per la prima volta. Avrei potuto frequentarla, vivere lì dentro, realizzare il mio sogno più grande.

Era davvero arrivato il mio momento?

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