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La coda di Ashton sferza l'aria mentre lui e Jackson partono al galoppo per seguire e riportare sulla retta via una mucca che aveva deciso di fare una gita in solitaria. Poco saggio. Non abbiamo avuto molti problemi con i coyote, ultimamente, ma una mucca sola è una preda facile e il primo sangue versato spiana la strada ad animali insolenti.

Guidiamo le mucche in un nuovo prato che abbiamo lasciato a riposo tutta l'estate e, chiuso il recinto, smontiamo da cavallo. Oggi è una bella giornata, fresca ma non umida, e Jackson e io ci siamo portati dietro la colazione. Nel propormi questo momento di fraterna compagnia Jackson ha detto che non si fida a lasciare subito sole le mucche, che vuole controllarle, ma secondo me vuole solo passare un po' di tempo insieme solo noi due.

Assicuriamo le redini di Ashton e Bobby alle selle, così che non inciampino, e lasciamo che i due cavalli si allontanino di qualche metro per brucare.

«Allora?» Mi siedo per terra, il terriccio solido ammorbidito dall'erba che, passato il caldo afoso dell'estate, torna a essere verde e tenera. «Com'è andata ieri?»

Jackson fa lo stesso, poggia davanti a noi la sacca con la nostra colazione. Spero che il thermos non si sia aperto inzuppando le frittelle di patate. «Olli mi sembra contento» dice dopo averci pensato su.

«E Ada?»

Apre la sacca e tira fuori il thermos di caffè, ancora integro, poi il sacchetto con le frittelle di patate, ancora tiepide per il contatto ravvicinato con la bevanda calda, e i due panini che ho riempito di bacon e uova all'occhio di bue prima di sentirmi in colpa e aggiungere anche della lattuga. «Anche lei. Fatico a credere che lo sarà per sempre, però.»

Prendo il mio panino e, affamata, gli mollo un morso. Porto via anche un pezzo di carta stagnola, ma me ne rendo conto tardi. «In che senso?» Sputo il quadratino argenteo e lo accartoccio per mettermelo in tasca. Non sarò io a inquinare i miei terreni.

«Ada è nata in una città, è sempre stata abituata a quei ritmi e sono... diversissimi dai nostri. E se tutto questo per lei andasse sì bene, ma a breve termine? E se si stancasse di Ennis, dei nostri modi di fare?» Stringe le dita intorno al metallo. Sembra agitato. «La vita di Olli è qui. La sua famiglia, i suoi amici, la sua formaggeria sono qui.»

«Non è detto che Ada non sia esattamente tipa da Ennis, però» ribatto, gli tolgo il thermos di mano per aprirlo e versarne il contenuto in due tazze. Gliene passo una e assottiglio lo sguardo. Vai a vedere che il mio fratellino... «Sei geloso, Gecko?»

Sgrana gli occhi. Somiglia tantissimo a papà quando fa questa faccia, stupita e un po' sfacciata come se nessuno potesse leggerlo e capirlo per davvero. «Io? E di chi, di Olli?» Scuote la testa con fermezza. «No. Però mi preoccupo per lui.»

Ha senso. Anche io mi preoccupo per Remi, d'altronde.

«Allora non è che...» Mando giù un sorso di caffè, sospiro. Rinvigorente. «Non è che sei invidioso?»

Non è la prima volta che mi passa per la testa che Jackson possa sentirsi intrappolato nella vita che abbiamo. Non è la prima volta che mi chiedo se non sia limitante, per lui, svegliarsi la mattina per dedicarsi a una mandria e sapere che il tempo libero non gli è dovuto, che la sua vita è ferma qui, ai metri che cavalchiamo per spostare le mucche, alle bottiglie che riempiamo di latte per pagare le bollette.

«Bailey, ma che dici?» Ora non somiglia a papà, ma a mamma quando incassa un insulto o si ritrova faccia a faccia con qualcosa di oltraggioso, che sia una notizia al telegiornale o una nuova, creativa bestemmia. «Sto vivendo la vita che volevo.»

È così diverso, però, il volere dal sognare. Forse è questo un problema della vita a Ennis: nel silenzio intervallato da zoccoli sul cemento, da muggiti sommessi, c'è fin troppo tempo per pensare e costruire, in aria, i castelli che non abbiamo nella realtà.

«Ne sei sicuro?» Mi rendo conto di essere cauta nel parlare come se avessi a che fare con un puledro e non, beh, con mio fratello. «Questa è... Non serve che te lo dica io che questa è una vita dura, e tu hai ventisei anni, Gecko, se volessi cambiare... Se volessi andare via...»

«Bailey.» Mi interrompe. Aggrotta la fronte, le pieghe portano giù con sé le sopracciglia in un'espressione corrucciata e ho di nuovo di fronte papà. «Stai parlando di me o di te?»

Ora sono io, credo, quella con un'espressione oltraggiata, perché i pensieri e i dubbi dell'ultimo periodo hanno riguardato la felicità di Jackson, certo, ma come poteva non esserci anche il mio futuro nei miei pensieri? Il futuro che ho lasciato andare senza nemmeno sapere di poterlo rendere mio?

Non mi manca Darcy, ho realizzato, non da morire come pensavo nei primi estranianti giorni, ma mi manca quella versione di me che non mi è stato mai permesso di conoscere. La donna diversa dalla cowgirl con un ranch da gestire insieme a suo fratello, con una passione per il barrel racing ma troppe poche certezze per continuare a competere senza qualcuno a suggerirle cosa fare.

«C'è una fiera del bestiame tra qualche giorno» cambio argomento. Se mai vorrò iniziare un percorso di psicoterapia di sicuro non mi rivolgerò a Jackson. «Pensavo di prendere un paio di cani, non sarebbe male affiancarli alle recinzioni elettrificate. Non si sa mai che ci sia qualche blackout.»

«Bailey...»

«C'è un allevatore di cani da pastore del Caucaso che ha una cucciolata pronta» aggiungo. «Li ho visti su Facebook, sono cani impegnativi ma credo che per noi possano essere la scelta migliore.»

«Va bene.» Jackson sospira, ha capito che non tornerò sull'argomento pur avendolo indirettamente proposto io. «Andiamo. Sono d'accordo con la faccenda del cane, ma prendiamo solo femmine. Non ho la pazienza per affrontare la fase adolescenziale di un maschio.»

«Aggiudicato.»

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Non devo essere gelosa di un cavallo non mio che ho portato al ranch appositamente per un'altra persona. Non devo essere gelosa di un cavallo non mio che ho portato al ranch appositamente per un'altra persona. Non devo essere gelosa di un cavallo non mio che ho portato al ranch appositamente per un'altra persona. Me lo ripeto allo stremo mentre vedo Rosalba sellare Fly con i suoi finimenti inglesi, arrivati finalmente dall'Italia, e guidarlo fino al campo prima di cominciare a sistemare la lunghezza delle staffe e delle redini. Un Quarter Horse con i finimenti inglesi è un'offesa, ma preferisco evitare un conflitto subito dopo pranzo. Sia mai che mi tornino su gli spiedini di pollo.

«Gli ostacoli che ti propongo oggi sono tipici della gimkana western» spiego mentre Rosalba monta in sella. Sì, è decisamente più a suo agio con la sella da dressage che con quella che le avevo dato in prestito. «Potrebbe aver senso presentare una gimkana come esercizio con Sol Invictus quando arriveremo al Makeover, valuteremo, ma rimane comunque un ottimo allenamento.»

In campo sono riuscita a montare degli ostacoli dell'altezza massima consentita dal regolamento della gimkana, anche se so che per molti cavalieri inglesi sessanta centimetri corrispondono ai primi saltini quando a malapena si sa galoppare. Per fortuna ho a che fare con una dressagista e non una fanatica dal salto ostacoli.

Rosalba e Fly non se la cavano male con gli ostacoli, nonostante un'insicurezza di Fly stesso davanti a due sedie che ho usato per mettere su un ostacolo più largo. Rosalba lo riprende in tempo mettendo pressione con le gambe, e Fly trova nel gesto abbastanza sicurezza da saltare lo stesso.

Passiamo una buona mezz'ora sui passi indietro. Fly li trova frustranti, sbuffa al comando e appiattisce le orecchie, ma Rosalba è determinata a portare a termine l'esercizio e non lo ascolta.

Non sono sicura di capirla. Non è una cattiva cavallerizza, anzi, ma è ostinata e non sempre nel senso positivo, determinato del termine. È come se fosse abituata a una tipologia più esperta e quasi automatica di cavallo, qualcosa che non troverà qui. Qualcosa che Fly, giovane e inesperto per quanto talentuoso, non è di sicuro.

«Ricomponiti» la richiamo quando inizio a vedere il bianco negli occhi di Fly che agita nervosamente la coda. «Tieni bassi i talloni, tieni il contatto con la gamba...»

Rosalba mette pressione, troppa in confronto all'agitazione che Fly non riesce a tenere a bada. A sorpresa, dopo due passi indietro che sembrano l'inizio di un buon esercizio, Fly scarta lateralmente e sgroppa una, due volte.

«No!» Faccio per avvicinarmi, ma Fly sgroppa di nuovo. «Reggiti al...»

Rosalba cade, o si butta per non finire proiettata su uno degli ostacoli vicini, non ho capito, e comunque non si sarebbe retta da nessuna parte visto che le selle inglesi non hanno dei supporti o delle cinghie.

Mi avvicino per assicurarmi che non si sia rotta niente e quando le porgo la mano lei si rialza con un colpetto di tosse.

«Intera» conferma prima che io le chieda niente.

«L'hai messo sotto pressione» mormoro, mentre Fly, in fondo al campo, sgroppa sempre meno fino a fermarsi. Ci fissa, con l'espressione stanca di un bambino che ha fatto i capricci e ora vuole tornare a giocare ma non vuole ammetterlo. Puledri. «Non puoi esagerare, con lui. Non te la farà passare liscia e lo hai visto.»

«Più che altro l'ho sentito...» ribatte. Ha un sorriso amareggiato sulle labbra mentre si spolvera via la sabbia dalle braccia e dalle gambe. «Che dici? Risalgo?»

«Assolutamente sì. Se chiudiamo la sessione così non voglio essere io a doverlo montare la prossima volta.» Sarebbe un incubo.

Mi avvicino a Fly, che per fortuna ha smesso di fare i capricci, e controllo che non si sia fatto niente mentre sgroppava. Non ci sono zone più calde di altre, né ferite evidenti, e quando lo guido verso il centro del campo non zoppica. Bene, non avrei voluto dover spiegare a Walker che gli avevo rovinato il cavallo in tempo zero.

«Tutto tuo.»

Rosalba fa un paio di carezze a Fly, gli mormora qualcosa, poi torna in sella. È più rigida di prima, ma dopo un capitombolo simile vorrei ben vedere.

«Per oggi lasciamo stare i passi indietro» propongo, cosa che Rosalba accetta con un sospiro di sollievo seguito da un pollice in su. «Proviamo il ponte.»

Il ponte non mi è mai piaciuto molto come ostacolo, ma non è complesso di per sé: è una struttura sollevata da terra che consiste in una breve salita, un rettilineo limitato da due staccionate e una discesa da percorrere a una delle tre andature a scelta del giudice. Con Fly cominciamo al passo, per abituarlo all'avere così poco spazio di manovra, e poi passiamo al trotto. La prima volta parte al galoppo a metà del rettilineo, ansioso di andar via, ma già al secondo passaggio mantiene il trotto, anche se svelto e squilibrato.

«Meglio. Al prossimo passaggio non smettere di guardare avanti: tieni la testa alta e gli occhi fissi sul punto dove vuoi andare» ripeto, anche se gliel'ho già detto allo scorso passaggio. «Non lasciare che si butti tutto in avanti. Chiedigli un alt a metà ponte.»

Appena mette piede sulla salitina in legno, Fly fa per scattare e finirla subito, ma Rosalba lo anticipa e gli chiede di fermarsi.

«Molto bene. Respira.»

Fly mastica il morso, fa un paio di movimenti rapidi con la testa in segno di protesta, ma si ferma.

«Ora riparti, ma respira, Cristo! Stai diventando viola!» Se mi sviene in sella che faccio?

Rosalba espira e Fly lo prende come un "Tana libera tutti", risponde scattando in avanti al galoppo per finire il ponte e, con esso, l'allenamento di oggi.

«Vabbè, ci accontentiamo» concedo visto che Rosalba somiglia a una melanzana, Fly non è più concentrato su quello che fa e io ho altro da fare nel pomeriggio. «La prossima volta andrà meglio. E useremo i finimenti americani.»

«Okay» è tutto quello che riesce a dire Rosalba mentre smonta e dà una pacca sulla spalla di Fly, che risponde con un piccolo scatto laterale.

No, non è andata affatto bene tra errori e incomprensioni, ma se Rosalba non riesce a gestire e trovare un accordo con un cavallo che per quanto verde è comunque già abituato all'essere umano oltre che domato, e molto bene se posso ammetterlo anche se a metterlo a sella è stato un mio "rivale", come farà con un cavallo selvaggio?

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