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Dodici anni prima.

*

«Sei tu amore?»

Dall'oscurità della benda che aveva sugli occhi vedeva appena uno spiraglio di luce. «Quel rumore di passi, sei tu?» Altri non poteva essere, ma il buio l'aveva sempre terrorizzata e l'idea di un fantasma che giocava a mosca cieca con lei e il suo ragazzo non poteva che formarsi nella sua mente.

       «Beck? Sono qui Beck.» Il ragazzo tentò malamente di imitare una voce da film horror, di quelle sottili, con le vocali allungate, che fanno correre brividi lungo la schiena e raggelare il sangue.

       «Rick, sei uno stronzo. Dimmi dove sei, porca miseria.» Mani in avanti, di toccare qualcosa di solido, fosse una parete, la felpa grigia del suo ragazzo, ma le sue dita incontrarono solo aria.

       «Beck... sono qui Beck.» Il rumore di una porta che sbatte la fece trasalire.

       «Fanculo, stronzo! Avevi detto che c'era una sorpresa per me, ma se era questo sappi che fa proprio schifo.»

        Nessuna voce le rispose. Lei continuava a tastare il nulla, camminando su un pavimento che non conosceva e dove poteva esserci qualunque ostacolo. "Se inciampo e mi faccio male lo ammazzo."

       Qualcosa le sfiorò i capelli. «Rick!»

      «Cosa? Io non ho fatto niente.»

      «Come? No... no, fanculo, adesso mi tolgo questa benda e me ne vado da qui, qualunque posto sia qui.»

       Inciampò su qualcosa, nella fretta di tentare di andarsene e al contempo togliersi la benda dagli occhi. Quando l'ostacolo incontrò il suo piede destro il suo cuore ebbe un tuffo. "Adesso cado e mi ammazzo. Ma sì, ho ascoltato questo scemo, sono chissà dove con lui, perché diavolo mi sono fidata?"

      «E... presa!» Due braccia la avvolsero impedendole la caduta. «Siamo arrivati Becky.» Le mani di lui trafficarono sul retro della sua testa, con fare esperto, liberandola dalla benda che scivolò innocua arrestandosi sul suo seno prosperoso. La afferrò e si volse per tirargliela contro, ma si bloccò notando che era una cravatta, larga e a fiori. Rise. «Non ho mai visto una cravatta così brutta.»

       «Non sei la prima ragazza che me lo dice.» Riccardo Coletti sorrise, con quelle labbra sottili che nessuna adolescente avrebbe mai desiderato. Nessuna a parte lei.

      «Fanculo, Rick.» Gli lanciò la sua cravatta, che lui, impacciato, non riuscì ad afferrare al volo. La prese dal pavimento, mentre lei si guardava attorno. Muri colorati dalla muffa, l'intonaco scrostato in vari punti delle pareti ancora grezze, le regnatele appese agli angoli della stanza.

       «Ma dove diavolo mi hai portata?»

Rick sorrise: «Dove pensavi ti portassi? In una camera d'albergo a cinque stelle?»

       «In macchina, coi sedili buttati giù, a guardare le stelle poteva andarmi bene.»

Ma come poteva aspettarsi romanticismo da un nerd fanatico dell'orrore come lui? Rise, scrollando le spalle perché in verità non le fregava un cazzo se il suo ragazzo era strambo, se quel posto faceva schifo e lui fosse vestito da sfigato mentre lei indossava il suo più bel vestito. Perché lo amava così com'era e non desiderava altro che essere sua. Gli si lanciò tra le braccia, mentre ridevano entrambi, felici per la loro stessa felicità.

       Rick sfilò fuori dal suo zaino una un paio di coperte. Sul finire dell'estate di notte poteva essere fresco. Ne stesero una a terra, a coprire il pavimento sudicio di polvere.

       «Come l'hai trovato questo posto?»

       «Girando. Così a caso.» Lui stava sistemando la coperta e ci si era seduto sopra. «Ho scoperto che questa casa è abbandonata da anni. Ci viveva una coppia di anziani. Sono morti entrambi in circostanze misteriose.»

       Un brivido le corse lungo le schiena. Si sedette accanto a lui. «Odio queste cose. Lo sai che mi terrorizzano.»

       Lasciò che lui la circondasse con entrambe le braccia. «Ma Beck... ci sono io con te. Con questi muscoli chi credi possa mettermi al tappeto?»

       Becky rise, osservando con un'espressione di finta ammirazione le braccia mingherline dell'altro, che si aggiustò gli occhiali sul naso e mise in mostra un bicipite con fare mascolino.

       Al che lei gli assestò un pugno facendolo ricadere all'indietro. Si guardarono per lunghi istanti. Becky si soffermò sui grandi occhi nocciola dietro gli occhiali dalla spessa montatura nera, sulle labbra sottili e asimmetriche, con il labbro superiore che sporgeva appena rispetto a quello sotto, sul naso un po' grosso e sul neo color caffè che decorava lo zigomo sinistro.

       Gli tolse gli occhiali e li ripose con cura accanto allo zaino. Poi lo baciò. Lui appoggiò le mani sul suo sedere appena coperto dalla gonna cortissima dell'abito, che sollevò per sfiorava con indecisione le natiche lisce e sode. Becky sapeva che fondoschiena era la parte del suo corpo che a Riccardo faceva più impazzire.

       Le dita di lui scivolarono leggere sotto le mutandine e le abbassarono, mentre la guardava con quei meravigliosi occhi colmi di desiderio.

       Becky si guardò attorno ancora una volta. Un posto di merda, pensò, per la loro seconda volta. Eppure per un inspiegabile ragione si sentiva felice. E non avrebbe voluto essere in nessun altro posto con lui. Al diavolo le cene a lume di candela. Al diavolo i parchi in fiore, le spiagge a mezzanotte. Al diavolo anche l'auto parcheggiata sotto le stelle.

       Mentre il suo ragazzo, lo sfigato Riccardo Coletti, cominciava a spogliarla, Rebecca pensò che la casa infestata andava benissimo per lei. E che ci fossero pure i ragni. Al diavolo l'aracnofobia.





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