⁵⁸. 𝘝𝘪𝘵𝘢 / 𝘌𝘴𝘪𝘴𝘵𝘦𝘯𝘻𝘢

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Non riusciva a staccare gli occhi dal ritratto. Appena Willas aveva messo piede fuori dalla stanza, Florian l'aveva ripreso tra le dita, lasciando che lo ipnotizzasse. "Esiste, ed è vivo". Non avrebbe potuto chiedere parole migliori. Gli sembrava fosse passata una vita da quando si era risvegliato, quella stessa mattina, per poi scoprire che la stanza di Eddie era completamente vuota, e che neanche l'anziano Tobias sembrava ricordarsi di lui.

"Non fidarti dei tuoi vicini, né dei medici", aveva scritto S. K. Eppure, lui in quel momento si trovava in un ospedale. Aveva chiamato l'ambulanza da sé, per farsi medicare le ferite e anche perché pericolosamente attratto dall'idea di farsi cancellare la memoria. Ma adesso, niente al mondo lo avrebbe convinto a farsi sottrarre tutti i preziosi ricordi che condivideva con Eddie.

Florian strinse il foglio, lasciando che i bordi gli si conficcassero nei polpastrelli. Le lenzuola del letto stavano iniziando a stargli strette, aliene, quasi come fosse stato un animale bloccato in degli anelli di plastica. L'adrenalina gli aveva incollato il pigiama addosso, e sotto alle garze sentiva le ferite bruciare e pulsare ogni secondo di più.

Devo trovare Yae Levin. Era la mossa migliore da compiere. Avrebbe potuto recarsi da solo alle coordinate indicategli, ma se l'autore del messaggio gli aveva specificato di cercare prima quella ragazza Pre, voleva dire che il laboratorio nel quale era stato rinchiuso Eddie doveva avere delle misure di sicurezza, o che andare lì impreparato sarebbe stata una cattiva idea.

Quel pensiero lo fece sentire tremendamente inerme. Tuttavia, come gli era accaduto con la donna anziana di fronte al palazzo di Dianne, in fondo a quello sconforto sentì dipanarsi un filo di fierezza. Mi hanno incastrato, pensò. Per impedirmi di cercarlo. L'idea che qualcuno avesse giocato con la sua condizione di Disallineato gli fece provare un'acuminata rabbia, che iniziò ad annebbiargli i pensieri. Nonostante ciò, si sentì lucido come non lo era da ore, anche se qualcosa in quella storia continuava a non quadrargli. Perché non lo avevano direttamente ucciso, invece di fargli credere di essere folle? C'era davvero la Chiesa del Giudizio dietro quel rapimento? E cosa poteva volere la Chiesa, o chiunque altro, da un LaBo come Eddie?

Perso in quelle domande, finì quasi per sobbalzare all'apertura della porta. Florian nascose il ritratto con uno scatto felino, sentendo il cuore uscirgli dal petto. Si diede il tempo di mettere a fuoco, aspettandosi di scorgere di nuovo Willas o un qualche infermiere. Tuttavia, l'uomo appena entrato indossava un camice da primario. Ian lo vide avanzare in una calma quasi eterea; si sforzò di leggerne il nome sulla targhetta, salvo scoprire che si era avviluppata su sé stessa, celandogli le informazioni.

– Buonasera – disse il medico, cordialmente. Il suo volto si stirò in un sorriso, che gli deformò l'espressione rendendola indecifrabile. Florian valutò che dovesse avere più o meno la sua età, e qualcosa nei suoi occhiali sottili gli riaccese il barlume di un ricordo.

– Salve. L'ho già vista da qualche parte? – gli chiese, dubbioso. Si sforzò di apparire indifferente, ma finì comunque per stringere i pugni, sotto alle lenzuola. "Non fidarti dei medici".

L'uomo gli sembrò leggermente spaesato; tuttavia, riprese subito il suo atteggiamento di ostentata gentilezza. – Non credo. Mi avrà scambiato per qualcun altro, noi medici ci assomigliamo un po' tutti.

Una breve risata gorgogliò fuori dalle sue labbra, e per qualche motivo Florian ne fu inquietato. Andiamo, calmati. Sei paranoico. Si sentì come un pugile, intento a cercare di leggere le mosse dell'avversario.

– È venuto a cambiarmi la flebo? – gli chiese, tanto per dire qualcosa. Di tutta risposta, il medico posò gli occhi sul flacone quasi finito, posto sull'asta di fronte a lui. Un'ombra sembrò passare sul suo viso.

– Ma certo. Ho la soluzione qui con me.

L'uomo tirò fuori una boccetta dalla tasca del camice, rigirandosela in mano. Florian osservò i suoi gesti meccanici, mentre svitava il deflussore per sostituire il flacone. Si trovò a riflettere su quanto il medico emanasse professionalità e ordine da ogni poro, contrastando incredibilmente con lui.

Ian ravviò i propri riccioli spettinati, sospirando. Continuò a seguire i movimenti legnosi dell'uomo, che evidentemente doveva aver fatto cadere il tappo della boccetta. Lo vide chinarsi per raccoglierlo, tremolando un po'. Abbassandosi, gli permise di scorgere il nome stampato sul badge, girato a faccia in giù sul suo petto.

– Jonas Kersson –, disse. Vide il medico girarsi di scatto, con le dita irrigidite attorno al flacone.

– Adesso ricordo. All'Università. Lei era un amico di Amélie, studiavate medicina insieme. Io ero il suo ragazzo. – Florian si rivolse all'uomo, continuando a stringere il ritratto sotto alle coperte. – Non ci vediamo dal giorno del funerale.

Jonas si portò una mano al viso, grattandosi leggermente la tempia. – È vero, hai ragione. Amélie... Quanti ricordi. Devi scusarmi, sono passati quasi vent'anni. Ho una pessima memoria.

Florian gli diede a sua volta del "tu", adeguandosi. – Non preoccuparti.

Per un po' non ebbero altro da dirsi, e stettero in silenzio. Jonas richiuse la gabbietta del deflussore, regolandolo in modo che erogasse la soluzione una goccia alla volta. Florian osservò l'aculeo piantato nel proprio braccio, provando un leggero intorpidimento. Non aveva mai amato aghi e siringhe, e distolse velocemente lo sguardo, rigettandolo sull'uomo di fronte a sé.

Jonas si sedette sullo sgabello accanto al letto, sospirando. – Aspetto un po' qui. Vediamo se una goccia alla volta ti fa effetto, altrimenti aumentiamo.

– Va bene.

Il medico si sgranchì le mani, stirandole verso l'esterno. – Allora, come te la passi? Sei sposato?

Quella domanda lo lasciò leggermente spiazzato. – No, non lo sono.

­– Allora siamo in due – sorrise Jonas. – Sai, quando eravamo all'Università credevo che tu e Amélie vi sareste sposati. Peccato. La amavi molto, vero?

Ian sentì le proprie gambe formicolare. Perché aprire questo discorso?

– Sì, mi piaceva – gli rispose, passandosi una mano sul viso. – Ma col tempo ho capito che non sarebbe finita bene tra di noi, eravamo troppo diversi.

– Capisco. Devi aver sofferto molto, alla sua morte. Sai, facciamo molte Riforme Avanzate per aiutare le persone ad affrontare un lutto.

Il medico afferrò i moduli sul comodino di Ian, studiandoli pensieroso. – Li ho visti quando sono entrato. È per questo che sei qui? Vuoi fare una RA?

Florian lo osservò sfogliare il plico silenziosamente. Percepì il formicolio risalirgli le gambe, per poi diffondersi in tutto il corpo. Che stanchezza.

– No, in realtà ho cambiato idea – disse, timidamente.

Il medico alzò gli occhi su di lui, osservandolo da dietro i propri occhiali sottili. – Guarda, manca ancora la tua firma. Mi sembri stanco, ti consiglio di apporla prima di addormentarti.

Ian aggrottò la fronte, perplesso. – Non importa. Non voglio più farla.

Jonas tirò un lungo sospiro, contraendo impercettibilmente le dita. Sul viso aveva ancora incollata una maschera di cordialità, incastonata nei suoi lineamenti come uno strato di cerone troppo spesso.

– La Chiesa del Giudizio afferma che i Disallineati che subiscono una RA lieve hanno un tasso di ripresa psicologica del 95%. Fidati, ti aiuterà a dimenticare qualsiasi evento negativo ti sia accaduto.

Il medico si alzò, avvicinandosi al letto coi fogli in mano. Florian lo osservò porgergli una penna come da dietro un velo, e percepì un'ansia strisciante inquinargli il petto, giocando coi battiti del suo cuore.

– Te lo dico da professionista. Sembri estremamente danneggiato. Quante cicatrici pensi ancora di riuscire a sopportare?

Ian sentì un sapore metallico in bocca, mentre un ricordo gli smosse i pensieri. "Senza le nostre cicatrici mancherebbe una parte importante di noi. Non lasciare che te le portino via." Eppure, quante volte lo aveva desiderato. Tornare "normale", vivere da non Disallineato. Come se la sua depressione fosse stata un organo esterno da poter asportare. Ma non era così, ormai lo aveva capito. Era come aveva detto lei: anche se nel loro cervello c'era qualcosa di rotto, continuava ad appartenergli, nel bene e nel male. Non avrebbe più lasciato che qualcuno giocasse con la sua mente: si sarebbe tirato fuori dal baratro da sé, un passo alla volta.

Le sue mani si mossero da sole per scacciare i fogli e la penna che Jonas gli stava porgendo, non senza un lieve sforzo. Sentì il viso bruciare, scottato da un turbinio di ricordi. Le parole di Dianne, il ritratto di Eddie, la ribellione di Willas. E, senza che lo chiedesse, un'altra memoria, più lontana: la domanda che gli aveva fatto il fantasma di Nadine, in bilico sul soppalco della biblioteca: "immagina un mondo in cui cambiano a un tratto delle piccole cose. Tu che faresti?"

Florian tornò presente a sé stesso, sentendo le proprie membra riacquisire consistenza. Contrasse la mascella, piantando il proprio sguardo grigio sulla figura sfarfallante di Jonas.

– No.

Il medico sembrò disorientato. – "No" cosa?

– Ho detto di no. Non farò alcuna RA.

Jonas si allontanò dal letto, torreggiando su di lui. Tolse i fogli dal lenzuolo, piazzandoli nuovamente sul comodino. Sul suo volto si dipinse un'amara stanchezza, sporcata da una pennellata d'ira.

– Lo sai, avevi ragione su Amélie – disse. – Eravate troppo diversi. Per lei ci voleva una persona tutta d'un pezzo, non di certo un miserabile come te.

Florian sentì come un suono di vetri infranti. – Cosa?

– Non la meritavi affatto. Sei sempre stato un uomo senza spina dorsale... Guarda come ti sei ridotto. L'avevo previsto, che ti saresti tagliuzzato in mille pezzi. Poco male, perlomeno la tua debolezza ti ha permesso di arrivare qui.

Un brivido sconquassò il corpo di Ian, facendolo tremare dal profondo. Una dura consapevolezza lo colpì, mentre torceva il collo per osservare la boccetta attaccata al deflussore. Joynox, lesse, lottando per mantenere gli occhi aperti.

– Che cosa mi hai iniettato? – chiese, lasciando che il panico gli arcuasse la voce.

– Un mix di sonniferi e liquido Joy. Avrebbe dovuto ammansirti e poi addormentarti, ma a quanto pare sei più fastidioso di quanto credessi. Vorrà dire che dovrò falsificare la tua firma. Quando starai dormendo, ti porterò al reparto di Memoria. Dirò che mi hai implorato di aumentarti il voltaggio, da bravo schizzato depresso quale sei. La mia parola di medico avrà sicuramente più peso di quella di un Disallineato qualsiasi.

Il viso di Jonas era distorto in un ghigno, e Florian lo vide contornato da una luce lattiginosa. L'uomo si avvicinò a lui, e lo sentì afferrargli la mascella con una mano. Le sue dita fredde gli serrarono le guance in una morsa, grattando sulle cicatrici da ustione. Ian provò a sollevare un braccio fasciato per scacciarlo, ma con orrore notò che le proprie membra avevano smesso di rispondergli.

– Guardati. Chi mai potrebbe sentire la tua mancanza?

Florian udì una lieve eco: quella della cosa che strisciava, che qualche ora prima gli aveva chiesto la stessa cosa, mentre era sull'orlo del suicidio.

Solo allora Jonas notò il piccolo foglio di carta che faceva capolino in mezzo alle coperte. Lo spiegò, osservando il ritratto per qualche secondo, con un sorriso canzonatorio. – Allora non siamo riusciti a portare via tutto. Chissà dove lo tenevi, questo bel disegno. Ti avrà anche aiutato a ricordarti di Edin, ma fra poco te ne dimenticherai comunque.

L'uomo girò il foglio verso di lui, senza scorgere il messaggio scritto sul retro, troppo impegnato a schernirlo. – Osservalo bene, Florian. Perché sarà l'ultima volta in vita tua che lo vedrai.

Ian si sforzò di parlare ancora una volta. – Dimmi che gli hai fatto... Bastardo – disse, sentendo le proprie palpebre serrarsi. Dietro al medico iniziò a vedere delle bolle di luce danzare disordinatamente, contornandolo.

– Nulla che ti riguardi. Ora fa' il bravo e dormi. Sparisci dal mondo. Non dovrebbe essere difficile, per una nullità come te.

Florian sentì un ingranaggio scattargli dentro. Senza neanche deciderlo, sputò in faccia all'uomo, utilizzando le ultime forze che aveva. Lo vide da dietro la propria coscienza mentre si puliva il viso con la manica del camice, esterrefatto. Dopodiché, sentì uno spostamento d'aria davanti a sé, e un pugno abbattersi sul suo volto. L'osso del naso gli scattò all'indentro, provocando un rumore sordo nella stanza. Un calore ustionante si diffuse a partire dal centro del suo viso, annebbiandogli ancora di più la mente. L'odore ferroso del sangue gli invase le narici, e i suoi occhiali si spostarono in diagonale, restituendogli un'immagine distorta del medico.

Jonas imprecò a mezza voce, osservandosi le nocche, leggermente più nere di prima. – Maledetto idiota. Non sai neanche incassare un pugno. Dovrò inventarmi che sei caduto dalla barella.

Florian sentì uno schiaffo raggiungergli il lato del viso, facendo vibrare l'astina della montatura contro la tempia. Il dolore esplose ancora una volta, aggiungendosi al precedente come un nuovo strato di vernice. – O magari dirò che ti sei colpito da solo, psicopatico.

Il suo volto si era deformato in un ghigno animalesco, e Ian si osservò riflesso nelle lenti dei suoi occhiali. Non fece in tempo a pensare di provare ancora a muovere le braccia, che vide le fredde mani del medico avvicinarsi al suo viso, tappandogli il naso e la bocca. – Forse questo ti aiuterà ad addormentarti – disse, beffardo. – Addio, Florian. Edin ti manda i suoi saluti.

Ian sentì la propria presa sulla realtà vacillare, e le luci nel suo campo visivo lasciarono spazio a un profondo nero. L'ultima cosa che vide fu un'alta figura affacciarsi dietro al medico, colpendolo alla testa con un oggetto di metallo. Percepì il corpo di Jonas accasciarsi sul proprio, schiacciandolo col suo peso. Dopodiché le sue palpebre si serrarono assieme alla sua coscienza, chiudendo il mondo fuori.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro