⁶. 𝘈𝘭𝘭𝘦𝘢𝘵𝘰

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Florian si destò sentendo la guancia destra bruciare. Vide Eddie a un centimetro da sé, con una vecchia maschera da writer addosso e la mano ancora aperta a palmo dopo averlo schiaffeggiato.

Il ceffone non lo aveva fatto riprendere del tutto, ma si sentì leggermente più vigile. Vide che la finestra era stata chiusa, e che nella stanza si agitava un mulinello causato dall'impianto di ventilazione interna.

– Mi hai fatto male... – mentì.

– Perché hai fatto così? Perché non mi ascolti mai? – gli stava urlando in faccia il ragazzo. Non mi ascolti mai? Sentì come un'eco. Florian ripensò alla conversazione avuta con la bambina poche ore prima. Se nel mondo cambiassero delle piccole cose, che faresti?

– Me ne farei una ragione – disse ad alta voce. Eddie lo guardò stranito.

– Se non hai alcun problema a far entrare in casa quella roba, dovrai trovarti un altro co-abitante – disse a denti stretti. – Cerca di tornare lucido. Dobbiamo parlare. –

Il ragazzo si tolse la maschera, poi gli riempì un bicchiere d'acqua e glielo porse. Le mani di Florian tremarono, e per poco non fece cadere il bicchiere.

In strada si udì il suono di un vetro infranto, assieme alle solite grida. Florian rimase stranito dal modo in cui ogni nuovo urlo non stesse sortendo alcun effetto su di lui. Mi sto abituando alla violenza. Sentì quanto quell'intorpidimento fosse sbagliato e si strinse con forza il polso sinistro, colto dal bisogno di provare qualcosa.

Poco dopo i due co-abitanti si sedettero uno di fronte all'altro: Ian composto, Eddie con la sedia al contrario, poggiando il mento sullo schienale. Florian rifuggì i suoi gelidi occhi azzurri, sentendosi scrutato. Dopo un tempo interminabile, Eddie prese la parola.

– Perché hai lasciato che il gas entrasse? – chiese stancamente.

Florian si aspettava quella domanda, e già da qualche minuto stava preparando una risposta adeguata.

– È stata una debolezza. – disse sussurrando. – Volevo che il gas Joy cancellasse alcune cose che mi stavano tornando in mente. Tutto qui. –

Suo malgrado decise di dire la verità, anche se sapeva che lo avrebbe fatto apparire ancora più Disallineato, ancora più "rotto". La normativa sui reati di Disallineamento Mentale era l'unica parte della Legge che Florian avesse mai studiato seriamente.

Nella loro società agli sgoccioli si era stabilito che non c'erano tempo o risorse per occuparsi di chi soffriva di disturbi della psiche. Una volta che si veniva diagnosticati con una Malattia Mentale, la cura andava da una Riforma Morale, che consisteva in corsi e terapie farmacologiche, a una Riforma Avanzata, effettuata tramite TEC, ovvero terapia elettro-convulsivante.

Ogni persona avrebbe dovuto essere in salute, sia fisica che mentale, per poter svolgere la propria funzione di ingranaggio nella macchina perfetta che era il tessuto produttivo intelaiato dal Regime. Si trattava di mero pragmatismo: le persone nel mondo erano troppo poche perché ci si potesse permettere che qualcuno non svolgesse proficuamente i propri compiti.

Circa cinque anni prima Eddie lo aveva quasi denunciato, e da allora il Regime aveva posto Florian in stato di "Attenzionamento", una sorta di limbo tra la "normalità" e la diagnosi. La Chiesa del Giudizio controllava il volume delle sue interazioni sociali, i suoi movimenti e le sue occupazioni. Lo sottoponeva a test psicologici periodici, e soprassedeva sul suo ingente acquisto di antidepressivi.

Quel limbo sarebbe durato, ovviamente, sin quando Ian sarebbe stato in grado di dimostrare di poter essere "salvabile". A quello scopo aveva imparato minuziosamente a mentire nei test psicologici e a partecipare a qualunque manifestazione sociale obbligatoria, per quanto gli sembrasse vacua.

Per tutti quei motivi, nonostante gli anni di convivenza con Eddie, Florian non si sentiva ancora in grado di dirgli che soffriva di depressione. Oltre che essere tecnicamente illegale, avrebbe significato rendere il suo sentire ancora più acuto e reale. Ovviamente sapeva che dalla sua persona esalava comunque qualcosa di quella malattia, e il ragazzo non era stupido.

Inoltre, non riusciva a smettere di pensare alla frase "i LaBo sono i figli del Regime". Nati e cresciuti sotto i dettami della Chiesa del Giudizio, avevano persino un anno intero in Accademia per apprenderne i precetti morali, come si trattasse di nozioni scientifiche. Teoremi, formule, leggi e insegnamenti etici, tutto intersecato e sovrapposto come sottili filamenti di DNA.

La paura di avere un "nemico" in casa lo aveva sempre asfissiato. Anche in quel momento, si ritrovò a guardare attentamente il ragazzo seduto di fronte a lui, come soppesandolo per la prima volta. I lunghi capelli dorati che avevano visto crescere insieme, gli occhi cerulei che vedeva spesso spuntare sotto maschere da fabbro, le felpe di colori assurdi, le spalle larghe che si era costruito sudando in quella stanzetta che aveva affittato a tredici anni, appena maggiorenne. Ogni dettaglio visivo di Eddie gli ricordava quanto tempo avessero passato insieme. Se solo potessi sapere cosa pensi di me.

Florian realizzò che probabilmente il ragazzo non avrebbe mai potuto comprenderlo a fondo, anche solo per una questione anagrafica. Nei diciassette anni della sua vita non aveva vissuto la cieca violenza del periodo seguente l'Espiazione. Il modo in cui aveva guardato spaesato i due Sorveglianti che portavano via quella donna, probabilmente per violentarla, gliene aveva dato conferma. Eddie aveva guardato la scena come se si fosse trattato di un film con dei buchi di trama, senza comprendere realmente. Florian invece aveva afferrato subito la situazione. Erano passati quasi vent'anni, ma quelle immagini gli erano sembrate immediatamente familiari.

Mentre pensava a tutto questo, senza neanche accorgersene, Florian iniziò a piangere. Si portò le dita al viso, stupendosi di trovarle bagnate. Probabilmente non piangeva di fronte a qualcun altro da un paio di decenni. Ricordò di averlo fatto per l'ultima volta davanti a sua madre, mentre si stava spegnendo in un letto d'ospedale. "Anche gli uomini possono piangere", gli aveva detto. E lui si era lanciato a singhiozzare sulla sua spalla, svolgendo per lei l'ingrato mestiere del tramite emotivo.

In quel momento, nel presente, stava provando la stessa cosa nei confronti di Eddie. Perché non piangi? Si chiese. Perché non sei sconvolto? Ma proferire quelle parole avrebbe significato squarciare una parete di silenzio che si era costruito attorno da anni.

Tuttavia Eddie, che lo stava osservando da un po', fece qualcosa di inaspettato. Si alzò dalla sua sedia, girandogli attorno e finendo fuori dalla sua visuale. Per un momento Florian si sentì spaesato, senza comprendere. Poi percepì le braccia di Eddie stringerlo in un abbraccio troppo stretto, che schiacciò insieme il suo dorso e lo schienale della sedia. I lunghi capelli del ragazzo gli solleticarono la guancia imperlata di lacrime, e si bagnarono un po' sulle punte.

Il gesto risultò impacciato e legnoso, quasi come se Eddie non sapesse bene come modulare la propria forza. Come se fosse il primo abbraccio di conforto che desse in vita sua. Stettero a confortarsi in silenzio, lontani da tutto e da tutti.

Il vero volto delle persone compare solo quando si trovano in una situazione di pericolo, pensò Florian. Con quel gesto, ebbe la conferma che le esalazioni malefiche che sentiva dipanarsi dal proprio essere avevano rivelato accanto a lui non un nemico, ma un alleato.

Alla luce di quell'idea, non poté fare a meno che il volume delle sue lacrime aumentasse di scatto. Fu scosso da brevi singhiozzi, mentre il ragazzo che avrebbe potuto essere suo figlio continuava a stringerlo troppo, senza saper dare un nome alle sensazioni che stava provando.

***

– Va meglio, adesso? – chiese Eddie. Il suono della sua voce profonda spezzò il silenzio che c'era stato sino a quel momento. Lentamente si staccò dall'abbraccio, e Ian sentì imprimersi sulla sua pelle il calore del conforto che gli aveva dato, per poi evaporare lontano poco dopo.

– Sì, va meglio. Ti ringrazio – gli rispose, accennando un piccolo sorriso.

Eddie sorrise a sua volta, rimettendosi seduto davanti a lui.

– Lo sai, non avevo mai fatto una cosa del genere. Abbracciare un'altra persona, intendo. Non ce n'è mai stata l'occasione – disse Eddie, e probabilmente era vero. Aveva assunto un'espressione insieme ferita e dubbiosa, sembrando davvero un diciassettenne, cosa che accadeva raramente.

– Prima mi è tornato in mente uno dei motti della Fratellanza LaBo – continuò. – "Proteggeteli dal mondo e da loro stessi". Finalmente credo di aver capito l'ultima parte. –

Florian comprese di trovarsi, per la prima volta, a spiare nella mente di un ragazzo che non aveva mai vissuto i rapporti umani come chi era stato in vita prima di lui. Gli sembrò imperdonabile il fatto che la loro società, che decantava aggregazione sociale e benessere comunitario, avesse dimenticato di insegnare l'affetto ai LaBo. Erano cresciuti unicamente col paradigma della sopravvivenza.

– Io ti considero un... fratello – disse Eddie. Quell'esitazione fece comprendere a Florian che probabilmente anche il ragazzo, come lui, stava pensando alla parola "padre", nonostante si passassero poco meno di vent'anni. Quella parola non detta rimase ad aleggiare tra di loro.

– È per questo che non vorrei mai vederti arrestare per Disallineamento – continuò il ragazzo. – Dobbiamo parlarne, Ian. So che abbiamo posto molte regole alla convivenza. Io ti avevo chiesto di trattarmi come tuo pari e non come un ragazzino, e tu mi avevi chiesto di non discutere a fondo dell'Espiazione. Ma io voglio sapere cosa succederà da qui in avanti, a cosa mi devo preparare. –

Florian notò quanto le sue parole fossero ancora dettate dalla mentalità di "sopravvivenza LaBo", dura a morire. Prese un respiro tanto profondo da fargli bruciare i polmoni.

– Dobbiamo dimenticare – disse.

Eddie sembrò non credere alle proprie orecchie. – Cosa? In che senso? –

– Penso che tutti dovremmo dimenticare. Noi due, quelli là fuori. Probabilmente è stato solo un errore del sistema. Non penso che sia cambiato qualcosa, e non credo neanche alle sciocche teorie di Krassnerr e dei Risveglisti – gli rispose.

Florian sapeva che quello non sarebbe bastato al co-abitante, ma pensò che procedere con cautela fosse l'ideale. Non voleva che Eddie si mettesse in pericolo, ma neanche che ignorasse completamente la situazione.

Il ragazzo si fermò a riflettere su quelle parole, come se le stesse ponendo su una bilancia.

– È vero, il Quadrante non ha mai sbagliato, e non c'è motivo per cui dovrebbe farlo ora – ammise. – Ma se la verità fosse un'altra, se ci fosse una speranza, cosa faresti? – chiese infine. Sembrava avere un disperato bisogno di qualcuno che condividesse i suoi tormenti.

Ian espirò lentamente. La testa gli scoppiava; diverse risposte lo stavano trascinando da un lato all'altro, dilaniandogli la carne, come in quelle antiche macchine da tortura che aveva visto su un libro illustrato di storia. Speranza. In francese è "Nadine", pensò dolorosamente. Era il nome di mia sorella.

– Non lo so – fu costretto a rispondere.

– Neanche io lo so – disse Eddie, fissandolo seriamente. Solo i suoi occhi tradivano una scintilla di adrenalina. – Ma voglio scoprirlo. È per questo che adesso scenderò in strada. –

– Non farlo – si affrettò a dire Florian. Avrebbe voluto impedirglielo del tutto, ma sapeva che non ci sarebbe riuscito né fisicamente, né normativamente.

– Sei un LaBo e non ti toccheranno. Servi alla società più di quanto lei serva a te. Ma non puoi rischiare di farti schedare partecipando alle sommosse... Ti toglierebbero da qui e dovesti fare una Riforma Morale o peggio, Avanzata. – Florian non sapeva quanto le sue parole stessero colpendo nel segno, e decise di giocare tutte le sue carte.

– Ti prego, non farmi preoccupare. Le persone che troveresti adesso non cercano la verità allo stesso modo in cui la cerchi tu. Aspetta che la situazione si calmi. Esci fra un paio d'ore, va' in uno dei locali aperti tutta la notte. Già da domani potrebbero mettere un coprifuoco. Poi arriveranno le censure ai discorsi privati. –

Eddie sembrò cercare di processare le nuove informazioni, e mentre vedeva Ian che le snocciolava mise su uno sguardo compassionevole. Probabilmente si stava rendendo conto del turbinio di ricordi che quei consigli gli stavano mettendo in moto.

– Va bene. Uscirò più tardi – acconsentì. Florian pensò che forse anche lui provava una qualche sorta di timore. Gli sembrò, per la seconda volta quel giorno, giovane quanto avrebbe dovuto essere.

***

Un paio di ore più tardi Eddie indossò la maschera antigas e uscì di casa salutandolo con un'occhiata preoccupata, e Florian non avrebbe saputo dire se per lui o per sé stesso.

Una volta rimasto da solo, si trascinò in camera sua con grandissima flemma. Aprì la porta, che cigolò leggermente, e dopo qualche passo si lanciò a pancia in su sul suo letto a due piazze.

Il piumone sintetico si afflosciò sotto al suo peso, e sentì il materasso prendere la forma del suo corpo. Sul soffitto nero si stagliava la costellazione dello Scorpione, che aveva dipinto anni prima con la vernice fosforescente. La grande finestra di legno non lasciava traspirare ormai alcun bagliore di luce, quindi le sue stelle iniziarono a essere visibili.

Tenendo lo sguardo fisso su Antares, Ian si sentì improvvisamente stanco. Ripensare all'Espiazione, al Quadrante e a tutto ciò che ne sarebbe conseguito gli aveva portato a galla un domino di sofferenza che non poteva permettersi, non quel giorno.

Rimase per un po' sdraiato sul letto a fissare i raggi di Antares, che si espandevano in filini dorati e venivano inghiottiti dal nero che li circondava. Infine si alzò dal letto, sin troppo comodo, e si sdraiò per terra. Il marmo gelato gli permise come sempre di riacquisire coscienza, come se la sua fredda concretezza lo stesse riplasmando daccapo nella forma di un uomo.

La domanda di Eddie, simile a quella della bambina, gli risuonò un'ultima volta in mente: dì la verità, cosa faresti?

Qualche ora prima avrebbe risposto "me ne farei una ragione". – Non lo so – ripeté invece al vuoto.

Una lacrima calda si trovò a rotolargli via, e tracciò una curva sulla sua guancia fino a ricadere sul pavimento.

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