¹⁸. 𝘊𝘢𝘳𝘤𝘢𝘴𝘴𝘦

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– Devi andare più piano – disse Eddie, posando una mano sul cruscotto per limitare lo scossone della frenata brusca.

– Sto già andando piano – rispose Rein, che si trovava al volante.

Dopo essersi allontanati dalla zona abbandonata i due ragazzi si erano scambiati di posto, per permettere a Eddie di telefonare a Florian. Sapeva che informarsi dei reciproci spostamenti non era obbligatorio, come avevano stabilito anni prima. Eppure, dopo il comunicato del Presidente, non aveva potuto fare a meno di preoccuparsi per lui.

Continuò a tenersi stretto al cruscotto, mentre con l'altra mano seguitò a ricomporre il numero e ad attendere invano una risposta. La telefonata risultava staccata ancor prima di partire. Il ragazzo imprecò sottovoce e strizzò gli occhi, feriti dalla luce troppo intensa dell'ologramma a forma di cellulare verde, che continuava a fluttuare sulla sua carta ID.

Fu distratto da un altro sussulto: Rein aveva appena preso una buca in pieno.

– Vuoi andare più piano?! – gli disse nuovamente, esasperato. Si girò verso il guidatore, ma il resto dei rimproveri gli morì in bocca. Rein sembrava completamente terrorizzato. Fitte gocce di sudore gli stavano inondando il viso, e teneva le mani sul volante come rigidi blocchi d'acciaio.

Quella visione lasciò Eddie sconvolto. Nonostante si conoscessero da poco, gli sembrò quasi surreale vederlo in una veste diversa dal suo solito atteggiamento scanzonato.

Mise una mano su quella che il ragazzo aveva sul volante, stringendola lievemente ma con decisione. La mano di Rein schizzò via da sotto alla sua, forse per il contatto inaspettato, forse perché la concentrazione sembrava averlo alienato da tutto il resto.

– Fermati – gli disse. Il suo tono era stato gentile, seppur sotto a quella calma soggiacesse un comando.

Rein mise la freccia verso destra e accostò malamente al lato della strada. Eddie premette il tasto delle quattro frecce, e le luci dell'auto iniziarono a lampeggiare nell'afa di quel primo pomeriggio.

La strada era ancora deserta, ma avevano iniziato a scorgere una colonna di fumo tra i grattacieli. Si mise a osservarla, mentre attendeva che Rein facesse il giro dell'auto. Dopo che furono ripartiti, stettero in silenzio per un po'.

– Avrei dovuto dirti che non so guidare bene. Scusami – disse improvvisamente Rein, a un volume quasi impercettibile. Eddie capì quanto quelle parole gli stessero costando: sapeva che per un Last Born non saper fare qualcosa equivaleva a uno smacco al proprio orgoglio.

– Non preoccuparti – disse. – Però... Potrei chiederti il perché? Sei un LaBo, è impossibile che tu non sappia guidare. –

Rein continuò a guardare fuori, sovrappensiero.

– La patente l'ho presa a tredici anni all'Accademia, come tutti noi. È che da allora non ho avuto l'occasione di fare pratica. La mia tutrice non mi ha fatto alcuna guida aggiuntiva – rispose, sempre a bassa voce.

Eddie era confuso. – Hai una tutrice? Ma sei orfano come me – gli disse. – Non hai vissuto nei dormitori? –

– No. Ho una tutrice legale, quindi ho sempre frequentato da pendolare – disse Rein. – E tu invece sei stato nei dormitori? – continuò, cercando maldestramente di cambiare discorso. Eddie pensò che probabilmente non gradisse parlare della sua famiglia, e decise di assecondare quella volontà.

– Già. Poi sono andato via immediatamente, affittando la stanza in cui abito ora. –

– Ma perché lo hai fatto? L'Accademia ci sostenta fino al termine degli studi, a sedici anni. Come mai non sei rimasto nei dormitori? –

Eddie strinse forte le mani sul volante. – Non mi piaceva quell'ambiente –, rispose.

Rein lasciò perdere, probabilmente comprendendo che l'altro non avesse voglia di proseguire. Si erano ritrovati inconsapevolmente a saggiare i rispettivi limiti, girandosi intorno come cani circospetti.

– Capisco. Allora chi ti ha insegnato a guidare così bene? –

– Florian – rispose Eddie, sorridendo leggermente. Non ebbe bisogno di specificare di chi si trattasse, avendogli mostrato poco prima quel nome sulla schermata della comunicazione non andata a buon fine.

– È stato bravo – rispose Rein.

Eddie stette in silenzio, continuando a sorridere con malinconia. Ricordò il giorno in cui aveva rubato gli occhiali a Florian, per punirlo dei troppi rimproveri a causa della sua guida sconsiderata. Il suo co-abitante aveva quasi sbattuto la testa a un palo, cercando di inseguirlo. Quella volta Eddie aveva riso fino alle lacrime, ed era stata una delle rare occasioni in cui Florian aveva quasi perso la pazienza.

Eddie vide Rein osservarlo con la coda dell'occhio, mentre sorrideva a sé stesso. Tuttavia, il ragazzo distolse in fretta lo sguardo, tornando a scrutare l'esterno. Si stavano finalmente addentrando nella città, ma non c'era ancora alcun segno di rivolta all'orizzonte. Rein chiuse gli occhi per un istante, cullato dalla sua guida silenziosa e placida. La calma che sembrava essersi cristallizzata nell'abitacolo fu però presto interrotta da un'altra frenata brusca. Di fronte a loro la strada era ostruita dalla carcassa carbonizzata di un'auto sospesa, che si stagliava sulla carreggiata ancora sollevata dal terreno.

Eddie arrestò la corsa dell'auto, sgusciando fuori dall'abitacolo per dare un'occhiata. Il cadavere dell'auto sospesa sembrava pronto a sgretolarsi al minimo tocco. Staccò un pezzo dello specchietto come fosse stato di pasta frolla. Probabilmente è rimasta cristallizzata a metà dell'atterraggio, pensò. Non si vedevano corpi al suo interno, quindi chiunque l'avesse guidata se l'era data a gambe da un pezzo.

Puntò i piedi sul terreno per provare a spingerla di lato. Il vento caldo sparpagliò in ogni direzione i ciuffi dorati dei suoi capelli, come fossero stati dei filamenti elettrici impazziti.

– Niente da fare, è parcheggiata. I sensori la legheranno al terreno sottostante sino a ordine contrario. Mi chiedo come faranno i Sorveglianti a spostarla da qui. Forse con degli impulsi radio... – disse a Rein, sfregandosi le mani per eliminare i pezzetti di cromatura rimasti appiccicati.

– Fossi in te mi chiederei come faremo noi a passare – gli rispose l'altro LaBo, che aveva osservato quello sforzo con le braccia conserte.

– Vorrà dire che andremo a piedi – disse Eddie. – Non possiamo fare nulla. –

Rein alzò le spalle. – Ti accompagno a casa, allora, sperando che dopo passi la metro. –

– Come vuoi – gli rispose. Non voleva che il ragazzo comprendesse quanto la vista di quell'automobile gli avesse acceso una fiamma di paura per ciò che avrebbe potuto trovare in città. Al contrario, Rein sembrava piuttosto indifferente alla situazione. Eddie invidiava quell'atteggiamento, e al contempo ne era turbato.

– Prendiamo una scorciatoia – disse, iniziando a camminare verso un vicolo. Sentì i passi dell'altro dietro di lui, e il pensiero di non essere da solo lo tranquillizzò un po'.

Il vicolo si dipanava tra i grattacieli come una bassa pianura al centro di un canyon. Lo spazio era talmente stretto che dovettero sgusciare di lato più volte, evitando i cumuli di spazzatura. Come se avessero infranto un muro di silenzio, iniziarono a udire delle voci e delle sirene. Eddie sentì il cuore battergli all'impazzata.

Finalmente uscirono allo scoperto, lasciandosi alle spalle l'intercapedine buia. Lo spettacolo che si trovarono davanti li impietrì.

La strada principale era lastricata di corpi, riversi in laghi di sangue scuro e denso. A meno di dieci passi da loro si trovava il corpo di un'anziana piegato in una posa innaturale, accartocciato su sé stesso. Di fronte a loro vi erano dei negozi dalle vetrine spaccate in mille pezzi. Da alcuni usciva del fumo, mentre altri mostravano degli espositori vuoti, lì dove gli sciacalli avevano saccheggiato la merce approfittando della situazione. Sembrava che fosse passato un uragano impietoso, che aveva lasciato lì i detriti di una vita ormai esauritasi.

In lontananza si vedevano delle persone vestite di nero e rosso, i Sorveglianti, in procinto di caricare una massa variegata di esseri umani. Eddie pensò che quelle scene di lotta sembrassero un copione recitato.

Lo scenario appena attorno a loro invece era tutt'altro che dinamico, ma permeato da un immobilismo forzato. Si girò a guardare Rein, e notò che il suo sguardo era stranamente vuoto. Gli ricordò quello di Florian, uno sguardo plasmato dalla rassegnazione di chi aveva già visto qualcosa del genere.

Come fa a... Iniziò a chiedersi, qualche secondo prima di sentire una mano afferrargli il polpaccio, stringendolo con tutte le proprie forze.

Abbassò gli occhi e vide un volto dai lineamenti appena abbozzati, distrutti dal morbo di Met. Solo gli occhi erano ancora chiaramente distinguibili, acquosi e velati dalla cataratta. L'anziana che aveva visto accasciata sul terreno poco prima si era mossa strisciando verso di loro. Le sue gambe erano completamente inutilizzabili, piegate in modi che non gli sembravano neanche possibili per il corpo umano. Eddie notò che la donna stava cercando di muovere le labbra per parlargli, e si accovacciò verso di lei per provare a carpire qualche parola.

– Mio figlio – riuscì a comprendere. Con l'indice rattrappito, la donna indicò debolmente l'interno di una bottega, una di quelle che esalavano fumo verso l'esterno. Eddie comprese immediatamente il da farsi. Strinse il polso dell'anziana e assentì, poi l'aiutò a riaccovacciarsi nella sua posizione iniziale.

Si avvicinò a Rein, prendendo in mano un lembo della sua camicia. – Scusami – disse, prima di strappare una striscia di tessuto con uno strattone.

Rein sembrò avere l'istinto di scostarsi, ma non ci riuscì in tempo. Eddie fece girare il bavaglio improvvisato attorno alla testa, e prima ancora che l'altro avesse il pensiero di protestare, scavalcò il corpo dell'anziana e si diresse correndo verso l'interno del negozio.

Rein rimase a osservare quella scena come da un altro pianeta, da un altro corpo. Eddie riemerse poco dopo, portando sulle spalle un ragazzo privo di sensi, accasciato sul suo collo come un vecchio zaino. Sembrava avere poco meno di una trentina d'anni; forse era un Pre. I suoi capelli lanosi emanavano un forte odore di fumo, e aveva le mani tumefatte. Probabilmente doveva aver provato a difendere la propria attività commerciale dagli sciacalli. L'anziana si affrettò a stringere le dita di suo figlio. Eddie lesse un ringraziamento muto nei suoi occhi, drenati dalle lacrime.

Intanto i Caschi Rossi in lontananza sembravano aver finito con le persone che avevano puntato in precedenza, e si stavano dirigendo verso di loro nella forma di un muro compatto e inesorabile. Rein li notò, e sembrò allarmarsi. Strinse il tessuto della felpa di Eddie, ancora accovacciato sulla donna. A quel tocco, Eddie si contorse in una smorfia, ma in quel momento l'altro non sembrò farci caso.

– Dobbiamo andarcene – disse Rein, infondendo il massimo pericolo in quelle parole.

Eddie non gli rispose, e posò una delle sue mani sulla guancia del figlio della donna. Usando la borraccia che aveva nello zaino, gli fece cadere qualche goccia d'acqua sul viso, e lo vide tornare in vita un po' alla volta.

– Stai bene? – gli disse.

Il ragazzo aprì gli occhi e li volse all'anziana madre, che gli stava ancora stringendo le dita. Il suo sguardo si fece più vigile, e si posò sui due giovani di fronte a lui. Eddie lo vide contrarre la mascella, e con le poche forze che gli rimanevano scacciò disgustato la mano che gli aveva posato sul viso.

Lo sentirono parlare in un soffio. – Non mi toccare, LaBo. –

Dopodiché Rein trascinò con sé Eddie, lontano da quel Pre e dai sempre più vicini Sorveglianti. Lo tirò via verso una strada secondaria, forse notando lo sguardo ferito che si era fissato nei suoi occhi.

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