⁹³. 𝘊𝘳𝘪𝘴𝘢𝘭𝘪𝘥𝘦

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Le sue gambe si muovevano da sole, scansando i cocci di vetro e i calcinacci che affollavano i corridoi. La mente di Yae sembrava essersi avviluppata attorno al suo corpo, animandolo per pura inerzia.

"È sveglio. Portalo via."

Le parole di Saryu continuavano a scivolarle addosso, viscose come petrolio. La donna l'aveva indirizzata verso l'ala nord, dove Yae sapeva si trovassero delle stanze d'ospedale, allestite per camuffare i veri propositi del Laboratorio. Se Hermes si trovava lì ed era "sveglio", voleva dire che prima stava dormendo, e non di un sonno qualsiasi. E non c'è sonno migliore di un coma. La domanda sul perché fosse accaduta una cosa del genere era solo la prima della sua babele di dubbi, la quale culminava col nome "Viktor Melnyck", che si era persino dovuta appuntare su una mano.

Sapere che Saryu non avrebbe più potuto fornirle alcuna risposta le lacerava il cuore. I soldati l'avevano freddata a bruciapelo, come fosse stata una voce da spuntare su un elenco. Non aveva avuto neanche il tempo di piangerla, che Ann l'aveva trascinata in piedi, costringendola a correre via. Con gli occhi annebbiati dal dolore, aveva visto altri LaBo in casco nero lanciarsi contro di loro, pronti a neutralizzarle. Perché noi ora siamo il nemico.

Col quel pensiero ancora in testa, superò velocemente alcune porte a ventola, fendendole una dopo l'altra assieme alla sua compagna. A metà di un passo, Yae colpì qualcosa di compatto con lo scarpone, finendo per inciampare in avanti. Quando abbassò lo sguardo sul pavimento, rimase impietrita.

– Viola... – sussurrò. Il volto della sua ex-collega era congelato in un'espressione vuota, e i suoi capelli color rame stavano sparsi sulle mattonelle bianche come fiumi di sangue. Se non avesse visto il foro di un proiettile sulla sua fronte, le sarebbe parsa quasi addormentata. Il badge le pendeva pigramente sul torace, e il camice la avvolgeva come un sudario. Una delle sue mani era rivolta verso la porta blindata dell'ala nord, per sempre scolpita in quell'ultimo spasmo.

Una realizzazione la colpì. Anche lei voleva andare da lui. Anche lei voleva salvarlo.

Yae si accovacciò sul corpo esanime della donna, posandole una lieve carezza sul viso. Anche Ann si accucciò accanto a lei, coi suoi occhi bruni fattisi più remoti. La vide sfilare il badge del Laboratorio dal collo della sua ex-collega, affrettandosi poi a distogliere lo sguardo.

– Servirà più a noi che a lei – borbottò.

Si risollevarono entrambe in piedi, silenziose. Dopodiché ricominciarono a correre, lasciandosi la morte alle spalle.

***

Trovare la stanza di Hermes fu più facile del previsto. Appena prima di entrare, Yae si lasciò sfuggire un sorriso mesto. Alla fine sei riuscita davvero a fare qualcosa per lui. Grazie alla targhetta di Viola, infatti, le porte che avevano serrato lungo il cammino gli avrebbero permesso di guadagnare un po' di tempo, separandole dai loro inseguitori.

La camera era limpida e asettica, come una qualsiasi altra stanza d'ospedale. Un unico letto la riempiva per un terzo, accompagnato da un armadietto di latta e da un olo-schermo che ticchettava debolmente. Hermes dormiva raggomitolato al centro del materasso, celato sino a metà viso. Il lenzuolo bianco si alzava e si abbassava lentamente, seguendo il ritmo regolare del suo respiro.

Yae si avvicinò a lui con cautela, adocchiando la cartella clinica che riposava in un raccoglitore attaccato alla trabacca. La afferrò con le dita, mettendoci sin troppa reverenza, e decifrò la prima riga, tracciata con la grafia ordinata di Xander.

"Lesione temporale causata da trauma balistico auto-indotto".

Yae si sentì mancare, e strinse forte la sbarra d'acciaio davanti a sé.

Auto-indotto.

– Ehi – disse Ann, spiando le parole sulla pagina. Le posò una mano sul viso, e le sue dita d'ebano si fecero lucide di lacrime. – Non piangere. Starà solo dormendo, no? Non sembra attaccato all'ossigeno.

Yae annuì piano, lasciando che la ragazza le sfilasse il documento dalle mani. Suo malgrado, Ann aveva ragione: non potevano permettersi di esaminarlo a fondo, non in quel momento.

Mosse qualche passo verso il letto, udendo a malapena il suono delle proprie scarpe pesanti. Con la mano ancora tremante, scostò un orlo del lenzuolo dal viso del ragazzo. La sua testa era avvolta da una spessa striscia di tessuto, che spiccava candida sui suoi capelli arruffati.

Yae si inginocchiò sul pavimento, cercando di arginare almeno il tremore delle gambe. Gli passò i polpastrelli sulla guancia, tamburellandovi lievemente. Non era la prima volta che lo svegliava in quel modo, anche se le sembrava fosse passata una vita da quando abitavano entrambi nella tana di Iris.

– Hermes – sussurrò, accarezzandogli dolcemente i capelli. – Ti prego, apri gli occhi. Andiamo via da qui, ragazzo-lupo.

Il ricordo dei loro rari pomeriggi passati a giocare insieme a Wilderness – lei col suo lupo bianco, lui col suo lupo castano – la colpì come una sberla. Prima ancora che potesse rendersene conto, le ciglia corvine del ragazzo vibrarono leggermente. Yae si ritrovò i suoi occhi di piombo piantati nei propri, tanto neri da non riuscire a distinguerne la pupilla. Sentì il suo equilibrio vacillare, ma si costrinse a calmarsi. Le sue labbra si schiusero in un lieve sorriso, e ritrasse la mano.

– Bentornato – disse.

Lui sembrò smarrirsi. Lo vide tastarsi la fasciatura sulla testa, trattenendo una piccola smorfia di dolore. Il vuoto nei suoi occhi le mise in allarme ogni fibra del corpo. Le parole che aveva ignorato prima nella sua cartella clinica le tornarono in mente, dolorose nella loro chiarezza: lesione temporale.

Per quanto riluttante, decise di fargli una domanda. Prese un grosso respiro, mentre lui era passato a scrutare la tuta mimetica e la pistola che le pendeva al fianco.

– Hermes – lo chiamò, timida. – Ti... Ti ricordi di me?

Trascorsero degli istanti infiniti. Dopodiché, il ragazzo si aprì in un sorriso beffardo.

– Non sono un quasi-Concluso, Yae – disse, sgranchendosi le mani. Puntellò un gomito sul materasso, aiutandosi a tirarsi su.

– Che ore sono? – chiese, sbadigliando. – Aspetta... Perché hai tagliato tutti i capelli?

Lei si sentì invadere da un'ondata di sollievo, sporcata da un accenno di dubbio. – Ma...

– Yae – la bloccò Ann, sfiorandole una spalla. – Dobbiamo andare, adesso. Presto ci raggiungeranno.

Hermes posò uno sguardo interrogativo sulla sua compagna, squadrandola. Lei sembrò fare la stessa cosa, osservando quello che le aveva descritto più volte come un vero e proprio fratello.

– Lei chi è? – domandò il ragazzo, anticipandola nelle presentazioni. Yae sentì i palmi delle mani imperlarsi di sudore, e la gola seccarsi di rimando. Lei è...

– Sono la sua ragazza – rispose Ann, sorridendo complice. Le diede un buffetto sulla cima della testa, facendola avvampare. – Mi dispiace, ma non abbiamo tempo per i convenevoli. Puoi camminare?

– Più o meno – disse lui, muovendo debolmente le gambe. – Ho iniziato la fisioterapia solo un paio di giorni fa. Saryu ha detto che mi riprenderò gradualmente.

Al suono di quel nome, si immobilizzarono entrambe. Il ragazzo parve non accorgersene, e proseguì a parlare con Ann, bucandole il viso coi suoi occhi vispi.

– Prima hai detto "presto ci raggiungeranno". Di chi parlavi?

– Dei soldati ribelli – disse Ann, noncurante. – Qui dentro è in atto un golpe.

Hermes sgranò gli occhi. – Un golpe?

– Sì – confermò Yae, avvicinandosi. – È stato organizzato dal Leader del Lethe, Oliver Krassner. Ha approfittato del fatto che Abramizde fosse qui. Inoltre, vuole ottenere il controllo del Laboratorio, e non si farà remore a ucciderci tutti. – Decise di interrompere il racconto, per il momento. Sovraccaricarlo di informazioni non le sembrava affatto l'ideale.

– Quindi mia madre è stata tradita – mormorò il ragazzo, pensoso. Yae provò a ribattere qualcosa, ma lui la interruppe.

– Prima ho sentito un rumore provenire da sud – disse. – Aveva qualcosa a che fare con voi?

– Sarà stato l'allarme – rispose lei, ancora perplessa dalle sue parole su Iris.

Hermes si strinse le mani in grembo, fissandola in tralice. – Quindi è per questo che dovete portarmi via? Per fuggire dai soldati di Krassner?

Yae annuì, grave. – Esatto.

– E allora perché siete vestite da soldati anche voi?

Per un istante non seppe cosa rispondere. Tuttavia, Ann giunse in suo aiuto. – Anche noi facevamo parte del golpe. Ma il Leader ci ha tradite, a quanto pare. Anche se, dalla sua prospettiva, le traditrici siamo noi.

Lui non ribatté, e Ann si accostò a sua volta alla trabacca. – Messaggero – iniziò, severa, – dobbiamo davvero farti uscire da qui. So che non ti fidi di me, ma perlomeno puoi fidarti di lei.

Il suo indice affusolato si mosse a indicare Yae, rimasta imbambolata tra loro. Hermes si incupì per qualche secondo. Dopodiché, si scostò il lenzuolo dal corpo, facendo per alzarsi.

– E va bene, ragazza di Yae. Ma dovrete camminare piano.

– Affare fatto – disse lei. – E comunque mi chiamo Ann.

Gli strinse un avambraccio con decisione, sorridendo sbilenca. Yae sentì i muscoli decontrarsi, e il sangue ricominciare a fluire regolarmente. È sveglio, mi ha riconosciuta, pensò. Forse va davvero tutto bene.

– Cosa devo portare? – chiese Hermes, posando i piedi sul pavimento.

– Medicine, se ne prendi. Altrimenti, nulla che possa intralciarti – rispose Ann, facendo scorrere un paio di schermate dell'olo-monitor. – I parametri sembrano nella norma. Possiamo andare.

Il ragazzo si alzò a fatica, e Yae notò con tristezza come il suo corpo, già affilato dagli anni di corsa campestre, si fosse assottigliato sino a sparire nel tessuto. Indossava un pigiama rosso scuro, probabilmente portato lì da Saryu assieme alle matite e ai fogli che affollavano il comodino. Quel pensiero le strinse l'anima in un nodo. Sei stata sua madre sino all'ultimo.

– Dov'è Saryu? – domandò all'improvviso il ragazzo, allacciandosi le scarpe.

Yae lo fissò sorpresa. – Lei è stata... – arrancò.

– È stata lei a dirci dove avremmo potuto trovarti. Ci aspetta all'esterno con gli altri – rispose Ann, rivolgendole un'occhiata intensa. Yae annuì piano, lasciando che una punta di malinconia le inquinasse lo sguardo.

Hermes non disse nulla, e si risollevò in piedi. – Andiamo – annunciò infine, più a se stesso che a loro.

Dopo aver recuperato la cartella clinica sgusciarono circospetti nel corridoio, controllando che fosse libero. Fortunatamente, le porte sigillate grazie al badge di Viola avevano fatto il loro dovere.

– Usciremo dalla tagliafuoco d'emergenza al primo piano – sussurrò Yae, acquattandosi contro una parete. – Sino ad allora, dovremo percorrere la strada a ritroso, sperando che non ci abbiano seguite.

Ann sembrò agitarsi un po' a quelle parole, ma non replicò. – La vedo difficile – disse invece Hermes, arrancando. La sua andatura risultava lenta e discontinua, ma sembrava riuscire a stare al passo.

– Lo so – rispose lei. – Ma non abbiamo altra scelta.

Portò inconsciamente una mano alla fondina, dove riposava la sua pistola. Gettò un'occhiata di sbieco a Hermes, cercando di scacciarsi dalla mente l'immagine di lui che si puntava un'arma alla testa.

– Avanti – ordinò Ann, facendosi strada lungo la corsia. La percorsero in silenzio, comprimendosi sui muri come se avessero voluto sparirci dentro. Quando arrivarono all'ultima porta prima delle scale, Ann rivolse loro un cenno deciso, prima di far slittare il badge sul lettore ottico.

La soglia si schiuse con un fruscio sommesso, rivelando le figure di due soldati celati dai caschi. Fu un attimo. Ann scattò in avanti, impedendo al primo soldato di estrarre la propria arma. Yae li vide contorcersi l'uno contro l'altra, in una danza di colpi e lamenti smozzicati. La ragazza roteò su se stessa, feroce. Infine gli assestò un calcio nell'incavo del ginocchio, costringendolo a rovinare per terra. Il ragazzo ululò di dolore, e la sua gamba spezzata schioccò secca contro al pavimento. Ann gli bloccò saldamente la testa contro il proprio bacino, agguantandogli il collo.

L'altro soldato, a quella vista, si parò tenace in mezzo al corridoio, con la pistola spianata dritta contro di loro.

– Togliti di mezzo – sibilò Ann. – Spostati, o lo uccido.

– Non lo farai – disse il ragazzo in ginocchio, dolorante. Lei assottigliò ancora la propria morsa, zittendolo.

– Abbassa l'arma. Conterò fino a tre. Uno... Due...

Uno, due spari. Yae sentì la testa scoppiarle, e l'unica cosa che riuscì a registrare fu Hermes che si premeva le mani sulle orecchie, con gli occhi sgranati. Lo serrò tra le braccia senza pensarci due volte, pietrificandosi attorno a lui.

Un terzo sparo. Un altro ancora. Ann gettò uno strillo acuto, sovrastando il rumore delle esplosioni. Una delle sue gambe si rilassò molle verso il pavimento, come un legnetto trasportato dalla corrente. Il tessuto sul ginocchio era stato strappato via dall'impatto, mostrando la carne rossa che vi ribolliva al di sotto, e il biancore delle articolazioni recise.

– Lara... – disse Ann, crollando al suolo. La mimetica si inzuppò di sangue, e il pavimento sotto di lei si tinse di un vermiglio che feriva gli occhi.

Il soldato che le aveva sparato rimase interdetto, irrigidendo la postura. – Come fai a saperlo? – chiese una voce femminile.

– Sei... Sei la migliore a sparare – rispose Ann, con un sorriso deformato dal dolore. – Ci allenavamo insieme, ricordi?

Lara si sfilò il casco dal viso, ormai inutile. I suoi riccioli dorati esplosero all'esterno, e Yae notò i suoi occhi smeraldo farsi lucidi, per poi puntarsi su lei ed Hermes.

– Mi dispiace, Ann. Ma gli ordini sono ordini. Dobbiamo sopprimere tutti i membri del Laboratorio. E se voi due non vorrete seguirci dal Leader, allora...

– Oh, al diavolo – ringhiò Ann. – Non capisci che vi sta usando come carne da macello? Chi credi che metterà in prima linea, quando uscirà da qui?

– Noi ci siamo addestrati per questo. Lo abbiamo accettato da tempo – rispose la ragazza. La sua voce sembrò spezzarsi. – Non possiamo fare nulla, ormai.

Yae strinse Hermes contro di sé, assorbendo i suoi tremiti. – Si può sempre cambiare idea – sussurrò, ancora paralizzata. – Si può sempre scegliere un'altra strada. Ti ha addestrata l'istruttore Willas, no? Lui era un Sorvegliante, prima. Ha abbandonato tutta la sua vita.

Un pensiero la attraversò, inaspettato. Willas. Anche lui e Florian erano senza casco.

La soldatessa vacillò un istante. La mano con la quale teneva la pistola aveva iniziato a tremare.

– Lara – continuò Ann, attenuando il tono. – Lasciaci passare. Vogliamo solo vivere in libertà. – Fece un cenno col capo verso di loro, ancora avvinghiati. – Quel ragazzo è appena uscito da un coma. Ed è un LaBo, proprio come te.

Il viso di Lara fu percorso da qualcosa di indefinito. – Io...

– Eccole – disse qualcuno appena oltre la ragazza. Una coppia di soldati in mimetica fece capolino nel corridoio, coi caschi calcati in testa e le armi già pronte in mano. Si avvicinarono minacciosi a loro, allineandosi a Lara come un muro umano.

Yae si sentì mancare, e di riflesso affondò le dita nella schiena di Hermes. No, pensò. Non è possibile.

– Era ora che arrivassero dei rinforzi. Ve la siete presa comoda – disse il soldato con la gamba spezzata, allungando una mano per farsi sollevare in piedi. Il più alto dei due nuovi arrivati si fece avanti, afferrandola con forza. Dopodiché, Yae non comprese più nulla. Lo vide tirarlo a sé, stringerlo in un abbraccio, farlo scivolare di nuovo per terra. Non ebbe il tempo di razionalizzare alcunché, che anche la ragazza di nome Lara fu neutralizzata dall'altro soldato con le medesime modalità. Ma cosa...

Il soldato più alto si accovacciò accanto a quello a terra, scostandogli il casco dal viso. Aveva gli occhi semichiusi, e sembrava aver perso conoscenza. – Kevin, bastardo. Lo sapevo che eri tu.

L'altro soldato si abbassò per posizionare meglio la testa di Lara sul pavimento, e le sottrasse la pistola. – Ora va meglio – disse. – Una pistola in mano a lei è come un coltello in mano a te – continuò. Puntò il dito contro un soldato basso, rimasto nascosto dietro un angolo sino a quel momento. Quest'ultimo si avvicinò rapido al gruppo, inchinandosi poi con fare modesto.

Ann si afflosciò su se stessa, respirando a fatica. – Ce ne avete messo di tempo – disse, con la gamba tumefatta stretta al petto. – Bella manovra. Chi te l'ha insegnata?

– Tu – disse Seth, togliendosi il casco. La sua treccia di capelli corvini rimase incastrata sotto alla mimetica, e il suo viso color mogano si aprì in un sorriso beffardo. – Ti vedo in forma.

– Sta' zitto e dammi una mano. Se voi foste arrivati prima...

– Colpa mia! – esclamò Jay, scoprendosi il capo a sua volta. – Ho perso troppo tempo nella sala di controllo. Io e Dev abbiamo manomesso tutte le telecamere, mentre vi cercavamo dai monitor.

– Esatto. Oliver le aveva chiesto di fare un backup, quindi ne abbiamo approfittato – intervenne Dev, sorridendo rubizzo.

– Non male – rispose Ann.

Yae si guardò attorno, trovandosi il viso di Jay accanto. – Sei ferita? – le chiese la ragazza, gentile. Lanciò un'occhiata anche a Hermes, che rimase in silenzio.

– Voi siete... Siete dalla nostra parte? – mormorò Yae, ancora intontita.

La LaBo annuì dolcemente, e frugò un po' all'interno della propria tasca. Prese in mano una ID di riconoscimento, che emanò un fioco bagliore bluastro.

– Quando Oliver ha dato l'ordine di arrestarvi, siamo rimasti di sasso. Probabilmente erano in pochi a sapere del suo vero piano. Comunque sia, abbiamo deciso quasi subito di disertare, solo che non sapevamo come trovarvi. E poi Ann ha contattato Seth.

Yae si girò verso la propria compagna, accigliata. Di tutta risposta, Ann scrollò le spalle, mentre Seth e Dev si adoperavano per bloccarle l'emorragia.

– Non volevo farti preoccupare – confermò lei, colpevole. – In effetti, è stata una bella scommessa. Il bestione avrebbe anche potuto consegnarmi.

– Potrei ancora farlo – rispose Seth, risentito.

Yae appoggiò una mano contro la parete fredda, lasciando che quella sensazione le rischiarasse i pensieri. L'idea che quel trio di LaBo tenesse più a loro che al Leader era tanto insperata quanto rincuorante.

– Ragazzi... Non so davvero come ringraziarvi.

– Aspetta a farlo – disse Dev. – Dobbiamo ancora farvi uscire sani e salvi da qui.

– Già – continuò Seth, sollevando il viso. – Ann potrebbe aver bisogno di una trasfusione. E anche lui non mi sembra messo tanto bene.

Sentendosi chiamare in causa, Hermes incrociò nervosamente le braccia. Jay si accostò a lui, posandogli una mano sulla spalla.

– Come ti chiami? – gli chiese, con gli occhi turchesi brillanti di curiosità. – Anche tu sei un LaBo?

Hermes esibì uno sguardo confuso. – Vuoi dire che voi siete dei LaBo?

– Certo. Tutti e tre – rispose Jay, affabile.

Il ragazzo rimuginò in silenzio. – Sembrate più grandi di me – mormorò infine. – Comunque io sono Hermes.

La ragazza sorrise, continuando a sfiorarlo. – Be', piacere, Hermes. Io sono Jay, e loro sono Seth e Dev.

Lui si limitò a fare un breve cenno col capo, sottraendo la propria spalla da quel contatto imprevisto. Jay ne parve leggermente delusa.

Anche Dev si accostò timoroso ai due, porgendo una mano per presentarsi. Yae realizzò che, effettivamente, nessuno di loro aveva mai conosciuto la controparte LaBo del mondo speculare al proprio. Da un lato c'era un figlio della Chiesa del Giudizio, cresciuto respirando i dettami del Regime; dall'altro dei figli di un ideale, vissuti in un altro tipo di gabbia. Naturale che siano incuriositi.

Hermes strinse la mano di Dev, osservandone le piccole dita guantate sparire nelle sue. La sua espressione parve più smarrita del dovuto.

Seth sembrò accorgersi di quei brevi scambi, e si avvicinò a Hermes con un'aria torva. Era più alto di lui solo di qualche centimetro, ma in quanto a stazza lo raddoppiava.

– Hai problemi con i miei amici, figlio della Chiesa? – domandò severo.

Hermes scosse la testa, a disagio. Le sue guance si imporporarono di colpo, ravvivando il suo pallore.

– No... Nessun problema. È solo che non avevo mai visto dal vivo delle persone come loro – confessò. – Credo di aver letto qualcosa solo sui libri ante-Espiazione.

Gli occhi di Dev si fecero ovattati, e si piantarono saldamente sul pavimento. – Sapevamo già di non essere molto popolari col Regime. Anche se sentirselo confermare da un LaBo del mondo di sopra è ancora peggio.

– Mi dispiace – aggiunse mogia Jay. – Non pensavo che ti avremmo sconvolto così tanto. Deve essere parecchio strano per te.

Hermes tentennò un istante. Dopodiché, si sporse ad afferrare le mani della ragazza, lasciando che i suoi occhi color petrolio traboccassero di un'infantile meraviglia.

– Non è strano. È fantastico, invece. Voi siete fantastici.

Si staccò dalla stretta per porgere una mano anche a Dev, che la prese timidamente.

– Non sono un figlio della Chiesa – sputò, rivolto a Seth. – Non mi importa nulla di quello che pensa Abramizde. Per quanto mi riguarda, siete comunque dei miei Fratelli LaBo. O Sorelle – aggiunse.

Yae lo guardò ammirata. Per quanto fosse sempre stato schivo e riservato, non aveva dubbi che sarebbe riuscito ad accettare qualsiasi tipo di diversità. A quel pensiero, sentì una certa dolcezza sbocciarle dentro. Anche tu sei fantastico, fratellino.

– Questo è un colpo di stato, no? – continuò il ragazzo. – Vuol dire che presto tutto ciò non avrà più importanza, e anche voi potrete vivere all'esterno.

– A proposito di questo – lo interruppe Seth. – Ormai è passata mezz'ora da quando siamo sgattaiolati via. Sono sicuro che presto Oliver ci richiamerà per affidarci qualche compito.

– Già – disse Jay, con un leggero rossore a colorarle ancora il viso. – Lara e Kevin rimarranno svenuti per un po', quindi dobbiamo approfittarne. E poi, anche se dovessero svegliarsi, non hanno visto in volto né me e né Seth, e abbiamo fatto nascondere Dev per non permettergli di riconoscere la sua corporatura. Non sapranno mai che siamo stati noi a tramortirli.

Ann mosse qualche passo verso di loro, col viso imperlato di sudore. – E quindi cosa avete intenzione di fare?

– Vi daremo i nostri caschi – disse Dev, incrociando le braccia. – Poi torneremo da Oliver e diremo che ci avete aggrediti. Gli altri soldati conoscono i nostri visi, sono sicuro che non ci faranno nulla.

Ann aggrottò la fronte. – Non esiste. Appena vi vedranno senza casco, intuiranno subito che ci avete aiutate. E poi a Hermes servirà anche una mimetica – disse, indicandolo. – Non lascerò che uno di voi si metta in pericolo per noi.

Stettero tutti in silenzio per un po', ponderando le varie opzioni. Infine, fu Hermes a parlare.

– Potremmo prenderli da loro – sussurrò, puntando il dito verso i due soldati svenuti. – Sia i caschi, che la mimetica. Saremo io e Yae a nascondere il viso. Fingeremo di aver catturato Ann, e la scorteremo come prigioniera. In questo modo riusciremo a passare inosservati fino all'uscita.

Ann sorrise soddisfatta, e gli assestò una pacca sulla spalla, facendo ondeggiare leggermente le sue treccine. – Ed ecco perché Yae ti ha battuto a scacchi solo tre volte.

– Vorrai dire una volta – ridacchiò Hermes.

Yae non ci fece troppo caso, e sentì una goccia di adrenalina rianimarla dall'interno. – Allora procediamo.

Si inchinò sui gusci immobili dei due soldati, non senza una certa inquietudine. Sfilò via i vestiti dal corpo di Lara, il cui fisico assomigliava maggiormente a quello di Hermes. Dopodiché posizionò il casco sulla testa del ragazzo, stando attenta a non premere troppo sulla sua fasciatura.

– Ci siamo – annunciò infine, nascondendo il viso a sua volta. – Possiamo andare.

I tre LaBo li fissarono silenziosi, e Dev si sporse un po' in avanti. – Avete un posto dove stare?

Yae si strinse la mano, sul cui dorso stava ancora appuntato il nome di Viktor Melnyck. – Sì. Credo di sì.

– Ci rivedremo? – azzardò Jay.

– Certo – disse Ann, incurvando le labbra. – Verremo a cercarvi quando sarà tutto finito. Fino ad allora, vedete di rimanere in vita.

Seth le avvolse il corpo con un braccio, e posò la fronte contro la sua, mogano nel bruno. – Promesso – sussurrò tenue.

Salutarono i soldati abbracciandoli uno per volta, ed Hermes strinse tenace le loro dita guantate. Poco prima che sparissero oltre l'angolo, Yae vide un casco voltarsi un'ultima volta verso di loro, nascondendo la tristezza di quel viso ormai anonimo.

***

Non seppe dire quanto tempo impiegarono per sfociare di nuovo all'esterno, sfruttando ogni uscita secondaria che le venne in mente. Solo un paio di volte gli era capitato di incontrare dei soldati, e in entrambi i casi avevano recitato i loro ruoli alla perfezione. Le sembrava fosse passata una vita da quando il Leader aveva sparato alla maniglia del Laboratorio, dando inizio a quella folle odissea.

Dopo essersi allontanati di un centinaio di metri, si acquattarono in un anfratto tra due edifici, liberandosi velocemente dei caschi e delle mimetiche. Yae aiutò Ann a far passare la gamba rigida attraverso il tessuto, vedendola soffocare un gemito di dolore.

Hermes, intanto, osservava sbigottito un punto lontano, col viso premuto contro i mattoni scrostati dell'intercapedine. – Guardate – sussurrò, semplicemente.

In fondo alla strada vi era un fitto capannello di persone, che si agitavano e strillavano di fronte a un muro compatto di Caschi Rossi. Qualche fumogeno era volato al centro della zona franca, e i Sorveglianti respingevano a più riprese i pochi cittadini che avevano l'audacia di scagliarsi contro i loro scudi. Sopra quella torma in rivolta, un Quadrante semi-divelto da un lampione oscillava al ritmo dei suoi conteggi.

Una. Due. Tre. Quattro cifre in più.

Le urla si fecero ancora più assordanti, e Yae riuscì infine a distinguere qualcosa. – Traditori! Bugiardi! – udì strillare. Un drappello di persone lanciò una bomba carta contro i Sorveglianti in anti-sommossa, correndo poi a tutto spiano verso l'altro lato del viale.

Prima ancora che potesse allarmarsi, Yae notò un gruppo di quattro soldati comparire accanto alle porte di vetro del Laboratorio, scandagliando la piazzola coi propri sguardi nascosti.

– Maledizione – sputò Ann, nervosa. – Qualcuno deve essersi allontanato dalla Stanza Bianca.

– Forse è riuscito a far scappare Edin – ragionò Yae a bassa voce, ricordando come Florian si fosse precipitato dal ragazzo, seguendo le sue indicazioni. Quella nuova, piccola idea le diede una punta di speranza. Suo malgrado, aveva serrato in un angolo della mente la realizzazione di aver ancora una volta abbandonato Eve e gli altri al proprio destino.

– Quando Hermes sarà al sicuro, tornerò indietro a dargli una mano. Potremmo... – Si interruppe di colpo. – Hermes?

Hermes non era più accanto a lei. Yae sentì il terrore montarle nel petto, e si voltò freneticamente da ogni lato, quasi stirandosi le spalle dalla veemenza. E poi lo vide. Il suo corpo giaceva sull'asfalto, col petto che si alzava e si abbassava a più riprese, scosso dalle convulsioni. Gli spasmi sembravano dilaniarlo dall'interno, eppure dalle sue labbra non usciva un solo lamento, un solo suono.

– Cazzo! – urlò Ann. – Dannazione! Non fargli mordere la lingua!

La ragazza lanciò via qualsiasi cosa potesse ferirgli la testa, mentre lei gli cacciò un lembo di tessuto in bocca, tremando. Sentì la sua voce chiamarlo a più riprese, sfumata dal pianto, spezzata dal dolore. Quando la tempesta passò, vederlo steso immobile ebbe solo l'effetto di farla uscire di senno. Contro ogni buon senso, schiacciò il viso contro il suo petto, cercando morbosamente un segno, un'impressione di battito. Eppure, nonostante il suo cuore martellasse, non v'era alcuna traccia di vita nei suoi occhi socchiusi.

– Hermes... Svegliati... Hermes – cantilenò, stringendolo a sé.

– Devi portarlo via. Adesso – disse Ann, col volto madido di sudore affacciato oltre i mattoni. Con suo grande orrore, Yae notò che i soldati del Lethe avevano iniziato a spostarsi dall'androne del palazzo, e che i Sorveglianti e i rivoltosi erano in dirittura d'arrivo dall'altro lato della strada.

– Ascoltami – disse Ann, stringendole una mano. – Adesso io distrarrò i soldati. Quando il corteo arriverà qui, ne approfitterai per confonderti nella calca.

Yae si sentì sprofondare. – Non se ne parla. Tu verrai con noi.

– Non posso – mormorò lei, sorridendo malinconica. – Non... Non mi sento più la gamba.

Lei impallidì, stringendole le dita con più forza. – Non esiste – gracchiò, sentendosi ridicola. – Siamo fuggitive. Ti prenderanno.

Ann posò le dita sul suo viso. – Mi farò catturare, se necessario. Non c'è altra soluzione. Siamo in un vicolo cieco, e tu non puoi sollevarci entrambi.

Lei non disse nulla, schiacciata da quelle parole. Come a confermarle, i suoi occhi increduli si scontrarono col muro che incombeva dall'altro lato dell'intercapedine.

– Va' – concluse Ann, tirandola in piedi.

Yae si ritrovò accanto a lei, con lo sguardo annebbiato. Guardò i soldati, lontani eppure sin troppo vicini. Guardò i Caschi Rossi, le persone in rivolta. E, senza pensarci due volte, si rigettò a terra, inginocchiandosi per caricarsi addosso il corpo inerte di Hermes.

– Aiutami a bloccarlo – le disse, indicando il ragazzo. – Forza.

– Tu non-

– Non importa! Ho smesso di lasciare indietro gli altri! – scattò. Il volto di Eve e quello di Saryu si mescolarono dietro alle sue palpebre, affilati come lame.

– È un suicidio! – urlò Ann, scuotendola. – Ci prenderanno entrambe, lo capisci?!

– Aggrappati alla mia spalla – la ignorò lei. Il vociare della folla si era fatto ancora più intenso, e sembrava rimbombare direttamente nella sua mente in blackout.

Yae vide una massa indefinita di persone fenderle la vista, un fiume in piena dai mille colori. Incurante di tutto, con il corpo di Hermes a pesarle sulla schiena e il braccio della ragazza imprigionato contro di lei, mosse un passo fuori dall'intercapedine. Devo salvarli. Devo salvarli. Devo...

– Ehi, voi! – bisbigliò qualcuno alle sue spalle. Yae si voltò verso il vicolo, adocchiando un paio di teste spuntare da una porta di ferro, rimasta serrata sino a quel momento: quella di una donna e quella di un anziano dai capelli candidi, che stava trattenendo Ann tirandola verso di lui.

– Da questa parte.

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