⁷⁷. 𝘍𝘶𝘰𝘤𝘰 (𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦 1)

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La brezza dell'impianto di aerazione interna spazzava via la segatura in piccoli mulinelli, che si rincorrevano pigramente ai lati della piazza. Al centro dell'enorme conca riposava una catasta di legna alta almeno tre metri, portata lì da un viavai infinito di persone, che avevano trascinato con loro anche degli strumenti musicali. Yae, dal canto suo, aveva appena terminato di dare una mano ad appendere alcune decorazioni, aiutata da Ann e da qualche LaBo ancora in divisa.

La piazza si era riempita di lanterne di carta e drappi colorati, che Ann le aveva detto essere stati cuciti a mano proprio da sua nonna e dagli altri anziani del Lethe, utilizzando del materiale di scarto. Yae non aveva mai visto nulla del genere, e quei ricami psichedelici, intarsiati da vortici variopinti, in qualche modo le avevano ricordato i disegni di Hermes: folli, contorti ma incredibilmente magnetici.

– Allora? Che ne pensi?

Yae si voltò a osservare la sua compagna di stanza, che se ne stava appoggiata al muro con in mano un boccale di birra. A differenza sua, Ann era già alla terza pinta. Aveva stretto assieme le sue treccine con un nastro azzurro, e vestiva la sua solita aria truce, arricchita da un luccichio nascosto in fondo allo sguardo.

– È bellissimo – le rispose, spalmandosi a sua volta sulla parete. – Non credevo che qui sotto si potesse realizzare qualcosa del genere.

– E vedrai quando avremo acceso il falò – disse Ann, indicando soddisfatta la catasta. – A proposito, hai scritto il tuo biglietto?

Yae estrasse un foglio dalla tasca, pinzandolo con le dita. Lo sventolò davanti a sé, raccogliendo l'approvazione della ragazza.

Solo mezz'ora prima, Ann le aveva comunicato che ognuno di loro avrebbe dovuto scrivere un desiderio su un pezzo di carta, da bruciare poi tra le fiamme. Lei ci aveva riflettuto molto, ma alla fine era riuscita a condensare i suoi pensieri in un'unica, tremolante frase.

– Non sarà pericoloso, il fuoco? – chiese ad Ann, assumendo un cipiglio perplesso.

– Affatto – rispose lei. – Ormai lo facciamo da anni.

– Ma perché? – continuò, ancora dubbiosa. – Se fuori vedessero del fumo, capirebbero che qui sotto ci sono dei rifugiati. Perché rischiare così tanto?

– Fai un interrogatorio, Sorvegliante? – le chiese Ann, dandole una gomitata nello stomaco. Yae si sentì quasi bruciare in quel punto.

– Non c'è alcun rischio. La zona qui sopra è disabitata, e la quantità di fumo che riesce ad arrivare al lucernario è pochissima. – La ragazza fece un cenno al soffitto della piazza, che si apriva in una minuscola finestra almeno trenta metri sopra alle loro teste, una Luna di perla incastrata nella notte plumbea.

– Anche se dovessero scoprirci, non potrebbero calarsi da lì, né potrebbero attraversare le gallerie senza password. E poi abbiamo le telecamere e il napalm. Possiamo far esplodere le entrate quando vogliamo.

Ann sfoggiò un sorriso scaltro. – Ogni tanto Oliver mi assegna al controllo dei cunicoli. Ho visto arrivare anche te, tre mesi fa. Se non ci fosse stato Mikael ad accompagnarti, ti avrei fatta saltare in aria.

Yae sgranò gli occhi, e vide l'altra aprirsi in un riso di scherno, cristallino come rugiada. La sentì premerle l'indice sul naso, facendola sobbalzare. – Sto scherzando, stupida. Rilassati.

Se solo fosse così facile, pensò lei. Distolse gli occhi dal sorriso abbagliante della ragazza, gettandoli nuovamente sul cumulo di legname.

– È colpa dell'alcol – rispose infine, imbarazzata. – Comunque, mi sembra strano che il Leader vi lasci usare la legna in questo modo.

– E invece quella del falò fu proprio una sua idea. Diceva che sarebbe stato un "gesto simbolico" – rispose Ann, stringendosi nelle spalle. – Per molti di noi, l'unico mezzo per visitare il mondo esterno è bruciare quei biglietti, e guardare le loro ceneri disperdersi in superficie. Ma in fin dei conti, è solo un placebo. Una finta via di fuga da questa orribile prigione.

Yae ammutolì, ricevendo quelle parole come una sberla. Sapeva che Ann non poteva uscire dal Lethe per via di suo padre, Mauryce Davis, il braccio destro di Abramizde che aveva costretto lei e Liese a diventare fuggitive. Tuttavia, l'aver vissuto sotto la gabbia ideologica di Iris Svart le aveva fatto dimenticare quanto, per molti di loro, la vera gabbia fosse quello che ormai si era abituata a chiamare "rifugio".

– Capisco – disse, leggermente a disagio. Indicò le decorazioni che aveva attorno, provando a indossare un'espressione fiduciosa. – Però quaggiù non è così orribile, dai.

– Già – disse Ann, sorridendo, – ma questo è anche merito tuo.

Yae sollevò le sopracciglia, incontrando gli occhi sinceri della ragazza, piantati nei suoi. Sentì le proprie guance imporporarsi all'istante.

– Beh, abbiamo fatto un bel lavoro con i festoni... – provò a dirle.

Lo sguardo di Ann si fece più intenso. – Lo sai che non intendevo quello.

Yae si aprì in una risata nervosa, sentendo le mani tremare. – Dovresti smetterla con la birra, sai?

– Sono molto sobria, invece.

Ann assunse un cipiglio determinato, e le parve in procinto di aggiungere qualcosa. Yae strizzò gli occhi, turbata, e quando li riaprì vide un paio di figure in piedi accanto a loro, riconoscendo Seth e Florian, probabilmente di ritorno dal poligono.

– Avete finito? – chiese Seth ad Ann, posandole una mano sulla spalla. – Mi serve il tuo aiuto di là. Ci pensi dopo, a flirtare.

Ann gli mollò un ceffone sulla nuca, facendo sobbalzare la sua lunga treccia di capelli neri. Senza rispondergli, si avviò assieme a lui dall'altro lato della piazza, non prima di aver rivolto un ultimo sguardo mogio verso Yae.

– Tutto bene? – le chiese Florian, rimasto a ciondolare accanto a lei. Non indossava più la camicia, ma un maglione dello stesso grigio dei suoi occhi. – Sembri un po' in tensione.

Yae stette in silenzio, sorridendo mestamente. Si concesse di sospirare, liberando un goccio del nervosismo accumulato. – Sto combinando un disastro. Non capisco cosa stia succedendo.

– Credo che di capirlo, tu l'abbia capito – disse Ian, arricciando il naso. – È che non vuoi che succeda.

Lei si voltò verso di lui, disarmata. Sentì il fiato mancarle, e finse di osservare il lucernario per ricacciare indietro le lacrime.

– Non deve succedere, Ian. Non posso lasciare che soffra per colpa mia. Ormai le sto mentendo da tre mesi. E poi, anche se riuscissimo a fare il raid sul Laboratorio, non ci sarebbe un futuro per noi, perché non può uscire in superficie. Dovrebbe cercare una persona più adatta a lei, dovrebbe solo starmi lontana. Non merito neanche di essere sua amica.

Le parole che tratteneva ormai da settimane esplosero all'esterno, prosciugandole il respiro dai polmoni. Sentì due grosse lacrime rigarle le guance, e le dita iniziarono a tremarle, come se i loro meccanismi si fossero inceppati. Florian le bloccò prontamente tra le proprie mani, calde e grandi e con le vene in rilievo, scolpite come la corteccia di un albero. Abbassò lo sguardo sul pavimento, facendole cenno di sedersi. Addossarono entrambi la schiena al muro, a Yae si sentì riacquistare consistenza.

– Sta' tranquilla – disse lui a mezza voce, continuando a tenerle le mani. – Non fa niente, non è successo niente. Respira.

Lei si lasciò cullare dalla voce dell'uomo, osservando il suo viso calmo con la coda dell'occhio. Lentamente, riempì il petto d'aria, scacciando un granello d'ansia alla volta, come erodendo una parete rocciosa.

– Bravissima – disse lui, lasciandole le dita. Rimasero un po' in silenzio, ascoltando il vociare sommesso delle persone attorno a loro.

– Scusami – gli disse, riprendendo la parola. – Era da un po' che non succedeva.

– Non preoccuparti – rispose lui, aggiustandosi gli occhiali sul naso. – Anch'io soffro di attacchi di panico. Capita.

I mormorii della piazza riempirono i vuoti tra loro, attenuando leggermente la tensione. Yae distese le gambe davanti a sé, lasciando che il jeans largo che indossava si impolverasse sui bordi.

– Posso dirti una cosa? – chiese lui, a un tratto.

Lei percepì lo spettro di un déjà-vu, seppur a lenti rovesciate. – Certo.

– Le cose che hai detto prima. Credo che potremmo risolverle tutte in una volta.

Yae si passò i polpastrelli tra i capelli corti, slittandoli sulle tempie. – E come?

– Raccontando la verità al Leader. – Florian notò il suo sguardo esterrefatto, e si affrettò a proseguire, abbassando la voce a un sussurro. – Pensaci. Abramizde è coinvolto nel Progetto, e Krassnerr non vede l'ora di dargli del filo da torcere. Il suo golpe è quasi alle porte, e potremmo farlo coincidere con l'incursione al Laboratorio.

Yae lo interruppe, lanciandosi occhiate sospette attorno. – Ma sai cosa significa metterlo al corrente di una cosa del genere. Ti fidi così tanto di lui?

– Non mi fido affatto – rispose Ian, adombrandosi. – E non lo conosco ancora abbastanza. Ma se non glielo diciamo, rimarremo in stallo per sempre. È la nostra unica opzione, e ci permetterà di tornare all'esterno con tutto ciò che ci serve. A quel punto potremmo anche fuggire lontano, una volta salvati Eddie e Eve. Potremmo uscire dalla capitale, portare Ann con noi. Ricorda che anche Mauryce Davis finirà nel baratro, se Krassnerr realizzerà il golpe.

Lei ingoiò le ansie che la stavano dilaniando, forzandosi a ponderare quelle parole.

– Non lo so – mormorò infine. – È vero che non abbiamo altre soluzioni. E poi tu hai salvato sua figlia, quindi potrebbe anche volersi sdebitare. Ma se il Progetto dovesse fargli gola...

– In quel caso, si vedrà – disse Florian, stringendo un pugno. – Intanto potresti fare una prova, e raccontare tutta la storia ad Ann. Sono certo che capirà perché tu abbia mentito sinora. Per quanto riguarda il resto...

Lei gli rivolse un'occhiata triste. – Non c'è nessun resto.

– Chissà – rispose lui, incurvando le labbra. Le cicatrici curvarono assieme a lui, tirandogli un po' il sorriso. – Hai detto che dovrebbe trovare una persona "più adatta a lei". Eppure, Ann ha scelto di avvicinarsi a te, Yae. Non lasciare che la paura del futuro inquini il tuo presente.

Lei accolse flebilmente quelle parole, alzandosi in piedi dalla sua scomoda seduta. – Lo terrò a mente, dottore.

– Ti prego – disse Ian, sollevandosi in una risata timida. Sembrava più giovane quando rideva, e di colpo Yae riuscì a comprendere perché quell'uomo, nonostante fosse così danneggiato, riuscisse ad alleggerire ogni vita che toccava.

Furono distratti dall'aumento del chiacchiericcio attorno a loro, che iniziò a incanalarsi in frasi concitate ma ben distinguibili.

– Ci siamo – sentirono dire a una LaBo con in mano una lanterna. – Accendete!

La piazza si riempì di minuscoli chiarori bianchi, spalmati sulla superficie di carta delle decorazioni. Anche l'immensa catasta di legna fu incendiata, e l'androne fu pervaso da decine di esclamazioni di infantile meraviglia. Yae si guardò attorno, scorgendo Ann e Seth accanto al fuoco, raggiunti ormai anche dagli altri LaBo e da Willas. Qualcuno si mise a suonare una melodia che non conosceva, utilizzando alcuni degli strumenti musicali che aveva visto trascinare nella piazza poco prima. Ian le rivolse uno sguardo fiducioso, facendo cenno agli altri.

– Andiamo – le disse, ravviandosi i ricci. – Prova a non pensare a nulla, solo per stasera. Va bene?

Lei piantò lo sguardo a terra, ma poi lo risollevò sul volto tranquillo dell'uomo. – Va bene.


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