⁷². 𝘎𝘪𝘰𝘤𝘰

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Erano passate circa tre ore dal disastro. Saryu guardò di sfuggita l'orologio, tornando poi a fissare il vuoto, ancora circondata dagli olo-tablet che aveva lasciato accesi con noncuranza, posizionati sulle pagine che riempivano il fascicolo redatto da Jonas. Quelle informazioni avevano avuto il potere di far sorgere in lei un'unica domanda: "perché?". Eppure, nel profondo, sapeva che non avrebbe dovuto porsela affatto.

"Nadine", era quello il nome che Eve aveva scritto col sangue. Ed era quello il nome della sorella di Florian, stando agli appunti del suo psichiatra Nicholas. Leggendo quella parola sulla lastra di vetro, Saryu era tornata di corsa nel proprio ufficio, decidendo infine di aprire il file inviatole da Viktor quella mattina, e al quale era riuscita a dare solo una breve occhiata.

In quelle carte era riportata ogni singola crepa nella labile campana di vetro che Ian usava per difendersi dal mondo. Crepe che Jonas aveva allargato a proprio piacimento. Saryu aveva letto con avidità, apprendendo delle allucinazioni di Florian, della sua depressione, del suo autolesionismo e del suo disturbo da stress post-traumatico, sbocciato in seguito alla morte di Nadine e della sua ragazza dell'epoca, Amélie.

Quando aveva trovato quel nome in mezzo agli ologrammi, Saryu si era sentita come un androide scarico, immobilizzato a metà di un'azione. Conosceva il vero nome di Iris sin dai tempi dell'Università, ma vederlo comparire nel report le aveva fatto voltare lo stomaco. Improvvisamente, aveva compreso perché, quando gli aveva portato il ritratto di Eddie in ospedale, Florian le fosse apparso così familiare. È perché assomiglia a Eve. Perché è suo fratello.

Quelle realizzazioni le avevano punto la mente come spilli acuminati. Nonostante ciò, finalmente era riuscita a infiltrarsi nel fiume della mente di Jonas, rimanendo risucchiata dalle sue acque torbide. Leggendo la lucidità con la quale il medico aveva descritto a Viktor le menzogne da rifilare a Florian, Saryu non era riuscita a togliersi dalla testa l'immagine di un rettile intento a stritolare una preda tra le proprie spire.

Non solo Jonas aveva sfruttato il Disallineamento di Ian per fargli credere che Eddie non fosse mai esistito, ma aveva fatto la stessa cosa con un'altra persona alla quale teneva, e che secondo Nicholas lo stava aiutando a riacquisire una sorta di equilibrio. Probabilmente Jonas aveva avuto quell'idea notando una piccola pagina scritta a mano da Nicholas stesso, in cui lo psichiatra, appassionato di linguistica, aveva constatato come i due nomi "Dianne" e "Nadine" si anagrammassero perfettamente. Una coincidenza, una peculiarità, un semplice gioco di parole che era quasi costato la vita a Florian.

"Dianne", si era appuntato Nicholas. "trentacinque anni, operaia. Sociopatica". Informazioni che l'uomo aveva segnato per aiutarsi a ricordare i dettagli della vita di Ian, ma che a Saryu erano bastate per realizzare che quella donna fosse Dianne Smith, una Disallineata che assisteva da anni all'ospedale civile. Si incontravano in un'unica, estenuante seduta settimanale di tre ore, sempre a orari improponibili, essendo la donna stremata dai turni di notte alla fabbrica di InfanTech. Era una delle sue pazienti più ostiche, ma negli ultimi tempi le era capitato di trovarla leggermente più rilassata, al punto da decidere di ridurre i loro incontri a una sola seduta ogni due settimane. Probabilmente, se non avesse letto il fascicolo, si sarebbe accorta della sparizione di Dianne solamente il giorno prestabilito per il loro colloquio.

La donna, schiva e riservata per natura, non le aveva mai fatto il nome dell'uomo col quale si stava frequentando. E così, nei suoi appunti, Saryu aveva finito per soprannominarlo "il pianista", dal momento che lui le stava insegnando a suonare il pianoforte. Un uomo appassionato di letteratura e astronomia, sensibile e comprensivo, che non si era tirato indietro di fronte all'oneroso compito di sbrogliare Dianne. Saryu ricordava il rossore della donna mentre lo descriveva, stretta nella sua tuta blu da operaia della Memories. Ricordava di averle rivolto un sorrisino compiaciuto, ricevendo in cambio uno sbuffo irritato. "Non guardarmi così, Saryu. Non una sola parola".

A quel pensiero, i suoi occhi si riempirono di lacrime. Adesso i due erano lontani anni luce, due rette parallele tracciate nel vuoto. Florian era un fuggitivo, e Dianne era scomparsa. Tuttavia, un lieve barlume di speranza le rischiarò lo sguardo, ancora fisso sugli ologrammi. Se anche Jonas avesse fatto rinchiudere Dianne in una clinica psichiatrica, non avrebbe potuto farle fare nulla. Difatti, per ottenere una RA, gli Attenzionati necessitavano del lasciapassare del proprio medico curante, che guarda caso era lei stessa. E dubito che Jonas verrebbe mai a chiedermi di firmare alcunché.

Nonostante ciò, il suo sollievo si sgonfiò in un istante. Se le cose stavano in quel modo, voleva dire che Jonas aveva semplicemente fatto sparire Dianne dal mondo, senza spiegazioni. Saryu se la figurò intenta a fissare il soffitto della sua prigione, con la mente scossa da quell'unica domanda che si ripeteva all'infinito: perché, perché, perché. La stessa che anche lei continuava a farsi da ore, chiedendosi perché tutti quanti fossero stati costretti a soffrire in quel modo. Le sembrava di essere un pedone immobilizzato sulla scacchiera, obbligato a far parte di quel grande gioco. Ma anche un pedone può distruggere la regina.

– Saryu – disse una voce dietro di lei. – Stai dormendo?

Lei si voltò sulla sedia girevole, notando Viola in piedi sulla porta del suo studio. Con un movimento sinuoso, spense tutti gli ologrammi di fronte a sé, fissando il proprio riflesso negli specchi neri. – No, affatto.

– È la terza volta che ti chiamo – disse la donna, risentita.

– Ero concentrata –, rispose lei, sfilandosi gli occhiali da lettura. – Che succede?

Viola abbassò lo sguardo sul pavimento, improvvisamente a disagio. – Lo vedrai tu stessa.

Senza farselo dire due volte, Saryu seguì la collega fuori dal proprio ufficio. Coi nervi a fior di pelle, la vide arrestarsi di fronte alla stanza dove Eddie aveva parlato prima con Abramizde e poi con Iris. Viola bussò un paio di volte, prima che la secca voce della dottoressa Svart le rispondesse.

Una volta aperto l'uscio, ciò che vide all'interno la lasciò paralizzata. Eddie se ne stava accasciato su una sedia di metallo, con una guancia scarlatta e un labbro spaccato, che sanguinava pigramente verso il mento. Di fronte a lui, Iris lo guardava con gli occhi iniettati di rosso. Jonas e Xander se ne stavano spalmati su una parete, dondolandosi sul posto a disagio.

Saryu posò lo sguardo su ognuno di loro, esterrefatta. Tuttavia, nessuno proferì parola. Il silenzio si era addensato come un banco di nebbia, soffocando i presenti sin dentro le interiora. Si schiarì la voce, stringendo un pugno nella tasca del camice.

– Mi spiegate cos'è successo? – chiese, non senza un certo timore.

A quella domanda, Iris sembrò infiammarsi. Si alzò dalla sedia, avvicinandosi a lei in pochi passi. – Ho un'idea migliore. Sarai tu a spiegarmi perché questo piccolo ingrato abbia chiesto di te.

Saryu spostò il viso a guardare Eddie, che si aprì in uno sguardo colpevole. Un pensiero le attraversò la mente, ferendola. Se si è spinto a mettere in pericolo il nostro legame, vuol dire che Iris ha oltrepassato il limite.

– Non farmelo fare – disse Eddie, a mezza voce. – Ti prego, Saryu. Non farmelo fare.

– Zitto! – urlò Iris, girandosi di scatto. – Dopo quello che hai fatto a Eve, non meriti più alcuna pietà. – Saryu vide la donna smettere di rivolgersi a lui, puntando invece un dito contro di lei. – Lui crede di poter fare ciò che vuole senza conseguenze. Ho fatto come hai detto tu, gli ho lasciato i suoi spazi, i suoi tempi, gli ho permesso di legare con Eve in maniera graduale. E questo è il modo in cui mi ripaga!

Iris si spostò nuovamente verso il tavolo, lasciando una mano a mezz'aria di fronte al volto di Eddie. Quel semplice gesto bastò a farle comprendere che le contusioni sul volto del ragazzo non erano altro che il frutto dell'ira di Iris, e che il turbamento dei suoi due colleghi derivava proprio dall'averla vista accanirsi su di lui.

Saryu sgranò gli occhi, interdetta. Ha perso il lume della ragione. Vedere Eve ricordare il suo vero nome doveva aver avuto un effetto peggiore del previsto su di lei. Senza darle il tempo di riflettere ulteriormente, Iris continuò a parlare, descrivendo cerchi nervosi attorno al tavolo.

– Se lui non avesse colpito la lastra di vetro con il pugno, Eve non avrebbe mai fatto quello che ha fatto. L'ha ispirata, l'ha plagiata. Non avremmo mai dovuto farla interagire con lui.

– Ti sbagli! – urlò Eddie, con le lacrime agli occhi. La sua figura oscillò leggermente, riacquisendo a fatica una fragile calma. – Non capisci che è colpa tua? Non capisci che lei sta soffrendo? Tu non puoi programmarla come ti pare!

Iris si arrestò di colpo, fermandosi a pochi centimetri da lui. – Non sai niente di come l'ho cresciuta. Non hai idea della fatica che ho fatto per estirpare il dolore dalla sua vita.

Eddie contrasse il volto in un sorriso, che cozzava incredibilmente con le gocce che ormai gli rigavano le guance. – Beh, non ci sei riuscita. Hai provato a toglierle il dolore, ma sei solo riuscita a toglierle l'umanità.

Per un attimo, Saryu vide il volto di Hermes sovrapporsi a quello di Eddie, spavaldo e irriverente come solo lui sapeva essere. Tuttavia realizzò che, in realtà, neanche Hermes aveva mai osato parlare a sua madre in quel modo. Nessuno di loro aveva mai fatto notare alla regina che fosse nuda. È per questo che reagisce così. Lui le ha ricordato che non è la salvatrice dell'umanità, ma una criminale che ha rapito una bambina.

– Fa' silenzio – disse la dottoressa Svart, sedendosi nuovamente di fronte a lui. – Sei stato tu a spingerla al limite. Sei stato tu a scoperchiare la sua Zona Oscura, a far riaffiorare i suoi ricordi.

– Non è così – la interruppe il ragazzo, con la voce spezzata dal pianto. – Lo sai che quella parte della sua mente esisteva già. Lo sai che era lì che stava nascondendo tutto il dolore che le avete inflitto in questi anni.

Saryu lo vide allungarsi sul ripiano, poggiando gli avambracci di fronte a sé. Pensò che fosse un perfetto esempio di come, in Accademia, gli istruttori insegnassero ai LaBo a ricomporsi attraverso dei semplici gesti fisici.

– La verità è che te ne saresti accorta da tempo, se solo le avessi parlato quando cadeva in quello stato. Tu invece hai sempre ignorato la Zona Oscura, ma non perché non la comprendessi. L'hai fatto perché sapevi che in fondo a quel pozzo avresti trovato solo il tuo schifoso riflesso.

Nessuno riuscì a fermare il ceffone che Iris stampò sul volto del ragazzo. Tuttavia, nonostante l'urto gli avesse arrossato la guancia, i suoi occhi color cielo rimasero piantati su di lei, uno specchio della sua colpevolezza sin troppo limpido e spietato.

– Adesso ascoltami bene – disse lei, parlando tra i denti. – Tu sei solo uno strumento. Tutte le comodità che ti abbiamo dato qui dentro sono state una mia concessione. Non mi serve farti tornare a camminare, né mi serve sentirti blaterare. Tu mi servi soltanto per una cosa. Ed è esattamente quello che farai adesso.

Eddie smise immediatamente il suo sguardo duro, sbiancando. – No – disse. – Non lo farò mai.

– Sei sicuro? – gli chiese Iris, feroce. – So che tieni molto al tuo co-abitante.

Saryu sentì le proprie mani tremolare impercettibilmente. Iris non sa che gli ho detto che Ian è fuggito. La donna, evidentemente, credeva di poterlo utilizzare ancora come moneta di scambio. È per questo che Eddie mi ha chiamata qui. Non sa come uscirne. Vuole che convinca Iris a desistere.

– Iris – si arrischiò a dire, prendendo la parola. – Che cosa gli stai chiedendo?

– Solo di adempiere al suo compito –, disse la donna, facendo svolazzare una mano con noncuranza. – Voglio che capisca che questo non è un gioco.

Lei si sentì contorcere le viscere. – Tu vuoi...

– Prelevare i suoi gameti, sì. L'unione avverrà in vitro, ma poi trasferirò l'ovulo fecondato nel corpo di Eve. Deve avere esperienza del parto almeno una volta.

Nella stanza calò un silenzio tombale. Saryu ricordò le parole che Eddie le aveva rivolto qualche minuto prima, con uno sguardo supplichevole: "ti prego, Saryu. Non farmelo fare".

– Non puoi volerlo sul serio – disse a Iris, sbigottita. – Qui... Davanti a te. Davanti a tutti.

– Perché no – rispose la dottoressa Svart, sorridendo maligna. – In fondo, è una cosa naturale. Tutti i ragazzini della sua età lo fanno, sparpagliando il loro inutile seme sterile. E poi anticipare un po' i tempi mi sembra un'ottima punizione per il danno che ci ha arrecato con Eve.

Lei si tormentò le dita dentro alla tasca del camice, ancora più incredula di prima. Vuole togliergli sino all'ultimo granello di dignità. Vuole fargli comprendere che lui è solo un fantoccio nelle sue mani. Senza volerlo, si ritrovò a rabbrividire, questa volta non di paura, quanto di collera.

– Aspetta un attimo – provò a dirle, cautamente. Le sembrò di stare camminando su dei carboni ardenti, intenta a non scuoiarsi le piante dei piedi. Se Iris non comprendeva i sentimenti altrui, poteva solamente tentare di appellarsi alla sua logica.

– Lo sai che la qualità dei gameti dipende anche dalle condizioni di stress di chi li produce. Se tu gli imponi di farlo qui di fronte a te, il risultato non sarà ottimale. Non possiamo rischiare che la prima e unica gravidanza di Eve vada a monte.

Eddie le incollò addosso uno sguardo terrorizzato, che Saryu poté registrare solamente con la coda dell'occhio. Mi dispiace, pensò. Non posso dissuaderla dal fartelo fare. Ma posso provare a renderlo più indolore per te.

Notando il silenzio di Iris, Saryu si affrettò a continuare. – L'hai già punito abbastanza. Sono sicura che non proverà più a istigare Eve, anche perché la cosa avrebbe conseguenze psicologiche irreversibili su di lei. E non credo che lui voglia farle del male in alcun modo, sentimentale com'è.

Cercò di calcare uno studiato sarcasmo su quella parola, provando a immedesimarsi nel punto di vista di Iris. Come in trance, smise di parlare ad alta voce, avvicinandosi alla dottoressa. Col cuore a mille, Saryu si sporse a sussurrarle qualcosa, al riparo dalle orecchie altrui. – Dobbiamo assecondare i suoi sentimenti, farlo sentire al sicuro. Deve essere come uno di quegli animali inconsapevoli che verranno macellati. È solo una questione di qualità della carne.

La dottoressa Svart la guardò con un lampo di riconoscimento negli occhi, misto a una certa soddisfazione. Saryu provò un moto di disgusto per se stessa, nascondendolo sotto un sorriso affabulatore. Essere riuscita a fingersi sulla stessa lunghezza d'onda di Iris la stava nauseando più del previsto.

– Mi sembra ragionevole –, disse la dottoressa Svart, facendosi udire dai presenti. Spostò i propri occhi color notte su Eddie, iniziando a sollevarsi dalla seduta. – E va bene. Ti lasceremo da solo, ma vedi di finire entro venti minuti. E fatti disinfettare quel labbro.

– Ci penso io – disse Saryu, prontamente. Pasticciò all'interno di una delle proprie tasche, cercando dei cerotti. Medicandolo, avrebbe potuto avvicinarsi a lui almeno una volta, anche solo per dargli una pacca sulla spalla. Vide Iris avviarsi verso la porta, seguita a ruota da Jonas e Xander. Sul tavolo aveva lasciato una provetta, che agli occhi di Eddie probabilmente appariva simile a una ghigliottina.

Si accostò al ripiano, posizionando la sedia di Iris di fronte al ragazzo e di spalle alla porta. "Mi dispiace" gli mimò in labiale, passandogli un batuffolo di cotone sul sangue che gli colava ancora sul mento. In quel momento riuscì a scorgere solamente un profondo vuoto nei suoi occhi, abbandonati da qualsiasi tipo di scintilla. Sembrava che dentro la sua mente fosse deflagrato un ordigno, e che sul suo volto fossero visibili solo gli effetti del lungo, assordante fischio conseguente all'esplosione.

Saryu lo guardò da dietro un velo, concentrando tutte le proprie energie per evitare di piangere. Sentì quanto quello sforzo le stesse facendo pulsare la testa dal dolore, dilaniandola. È sbagliato. È dannatamente sbagliato. Lo stiamo violentando.

Coi muscoli contratti in una morsa, decise di stringerlo a sé per qualche secondo, mettendoci tutta la disperazione di cui fosse capace. Nonostante il ragazzo fosse più alto, più piazzato e più giovane di lei, le sembrò solo un fragile festone di carta, trascinato dal vento e scolorito dal Sole.

Quando si staccò da lui, lo vide corrugarsi in una smorfia, cercando di respirare in maniera lenta e graduale. Senza curarsi di essere udito, Eddie iniziò a contare a mezza voce, facendo corrispondere ogni numero a un respiro. Quella visione le strinse ulteriormente il cuore. Probabilmente è questo il suo modo per calmarsi.

Saryu si alzò quatta dalla sedia, sfibrata in ogni sua cellula.Lentamente, camminò verso la porta, curva come Atlante sotto la volta celeste. Quandoalzò gli occhi, tutto ciò che vide fu l'arcigna figura di Jonas, rimasto aosservare la scena di nascosto. Nei suoi occhi vide un lampo di insofferenza,misto a una soddisfatta consapevolezza.




Angolino

Non so più che "trigger warning" dovrei mettere, ormai. Sorry. E sorry anche per gli aggiornamenti a rilentissimo (13 giorni, nuovo record). Sarà il periodaccio (+ il fantastico blocco della scrittura). Grazie per essere ancora qui <3

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