⁴⁵. 𝘐-𝘞-𝘜

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Fu svegliato dal rumore della porta color panna che si apriva. La maniglia cigolò leggermente, strappandolo dall'ultimo sogno che si stava dispiegando dietro le sue palpebre. Sempre lo stesso. Era arrivato al punto in cui stringeva la mano di Rein versione ragazzino, immagine alla quale sapeva che sarebbe seguita quella del sangue che gli colorava la tempia. Prima ancora di turbarsi per una nuova presenza nella sua cella, Eddie fu felice che il rumore della porta avesse interrotto il suo sogno proprio in quel punto.

Nella stanza era entrata una donna vestita con un camice bianco. Sembrava piuttosto anziana, e trasportava sia una stampella che un vassoio, con una serie di cibarie posate su di esso. La donna si affrettò a sistemare il bastone di metallo contro la scrivania, con un movimento un po' maldestro. Sul vassoio, invece, Eddie riconobbe una mela da stampa 3D, della soia pressata, un piatto di riso bianco e una ciotola di humus marroncino, probabilmente di legumi. Sanno anche cosa mangio di solito. Quel pensiero lo fece sorridere ironicamente, e notò la donna guardarlo di sghembo, saggiando attentamente la sua espressione.

Anche volendo, non avrebbe potuto stare in piedi senza cadere, dunque decise di mettersi semplicemente a sedere sul letto. Sollevandosi, i suoi occhi glaciali seguirono ogni movimento di lei, osservando la sua treccia di capelli bianchi ondeggiare sinuosamente assieme alla sua figura. Posò il vassoio sulla scrivania, accomodandosi sull'unica sedia all'interno della camera. Il fruscio delle gambe d'acciaio lacerò brevemente il silenzio, salvo poi venire riassorbito dal torpore generale della stanza.

La donna allungò le mani di fronte a sé, sfoggiando un atteggiamento pacato. Non sembrava a disagio con lui: probabilmente sapeva che non sarebbe fuggito, né avrebbe provato a torcerle un capello. Eddie sentì una spasmodica curiosità consumarlo, ma si costrinse a rimanere in silenzio.

– Ti ho portato da mangiare, Eddie – disse.

Probabilmente la sua reazione all'essere chiamato col suo soprannome fu quella che lei si aspettava, perché sorrise mostrando delle piccole rughe ai lati della bocca.

– Non ho fame – le rispose, pentendosi immediatamente di averle dato corda, invece di provare a usare il silenzio come moneta di scambio. Pessimo negoziatore.

La donna si strinse nelle spalle, continuando a stiracchiare le mani. – L'avrai fra poco. Di solito fai una dieta da duemilatrecento calorie, e non mangi da un bel po'.

Eddie cercò di non stupirsi del fatto che lei conoscesse il suo piano alimentare, che aveva compilato calcolando alla perfezione tutti i macronutrienti. Tuttavia, sbuffò comunque una punta della propria frustrazione.

– Lo so. Non mangio da ventisei ore.

Questa volta fu lei a sorprendersi. Eddie la vide controllare l'orario su un dispositivo che aveva al polso, sollevando poi di nuovo i suoi occhi color ambra su di lui. La donna stette un po' in silenzio, scrutandolo con rinnovato interesse.

– Come lo sai? – gli chiese infine. Lui si ritrovò a sorridere spavaldo, tornando per un istante al sé stesso saccente che era stato anni prima di conoscere Ian.

– Il Sole è allo zenit. Quando sei entrata si rifletteva sulle mattonelle del pavimento; probabilmente di fronte alla mia porta c'è un lucernario che dà all'esterno. Ho solo fatto un breve calcolo – disse tutto in un fiato.

Si aspettava che la donna di fronte a lui si stupisse a quelle parole; tuttavia, gli sembrò solamente ammirata. La vide sospirare, prima di rivolgersi nuovamente a lui.

– Ed ecco perché eri il migliore del tuo corso, in Accademia – disse, semplicemente. – Hai capito qualcos'altro che potrebbe interessarmi?

Eddie si sentì vacillare. Non si aspettava una reazione simile, né una richiesta del genere. Valutò di risponderle a sua volta con una domanda, ma poi ricordò Rein guardarlo stizzito, dicendogli che "un'altra domanda non è una risposta". Suo malgrado, si lasciò sfuggire una smorfia amara.

– Sì –, le disse. – Credo che tu non sia la dottoressa Svart.

Lei gli sorrise, mettendosi le mani in grembo. – E perché?

– La voce e l'accento sono diversi. – E, se ho compreso qualcosa di lei, non credo che si allontani spesso da Eve.

– Direi che è esatto – gli disse la donna, soddisfatta. – Io sono la dottoressa Saryu Kumar. Non sono Iris, ma lavoro con lei. Sei un buon osservatore, Eddie.

Lui sentì il cuore accelerare i battiti, rilasciando un po' dell'adrenalina che aveva provato sino a quel momento. La donna di nome Saryu si girò verso il vassoio, sollevandolo dalla scrivania. Glielo porse, ed Eddie lo prese dal basso con una sola mano, da bravo cameriere qual era. Non avrebbe voluto consumare alcuno di quei cibi, tuttavia la mano si era mossa da sé, assecondando la fame che aveva iniziato ad accanirsi sulle sue viscere come un lupo sulla propria preda.

– Immagino tu non voglia toccare niente. So che in Accademia vi hanno insegnato che un essere umano può sopravvivere diverso tempo senza mangiare. Tuttavia tu sei ferito, e hai bisogno di reintegrare qualche nutriente. Posso garantirti che non c'è nulla, in questo cibo.

Eddie rimase immobile, senza ribattere. Odiava ammetterlo, ma Saryu aveva perfettamente ragione. La ferita sulla nuca continuava a pulsargli, ricordandogli quanto il suo corpo fosse debole in quel momento. Tuttavia, la paura che potessero esserci droghe, tranquillanti o chissà cos'altro all'interno degli alimenti lo trattenne ancora dal consumarli.

Non ebbe il tempo di confermare il proprio dissenso, che vide la dottoressa fare qualcosa di inaspettato. Si alzò di scatto dalla sua sedia, avvicinandosi a lui. Per istinto si ritrasse verso il muro, rifuggendo qualsiasi cosa lei volesse fare. La donna, tuttavia, prese la mela che riluceva sul vassoio e la addentò con un morso.

Eddie rimase immobile, senza sapere bene come reagire. La guardò sgranando leggermente gli occhi, e Saryu gli sorrise di rimando, continuando a masticare.

– Se dovesse esserci qualche medicinale, allora farà effetto su entrambi – disse lei, alzando le spalle. – Ora però mangia anche tu. Potrei prenderci gusto.

La donna continuò a sorridere, e lui allungò timidamente una mano verso il cucchiaio, cercando di iniziare a mangiare con calma, per non apparire troppo vorace. Sentì lo stomaco riacquistare calore, dopo le ore che aveva passato atrofizzato sotto i colpi della fame.

Stettero a mangiare in silenzio per un po'. Saryu prese un pezzo della pressata di soia, forse per dimostrargli come anche gli altri alimenti non fossero affatto contaminati. Non sta avendo alcun tipo di reazione chimica. Quel pensiero lo fece rilassare lievemente. Tuttavia a turbarlo, in quel momento, fu il fatto che quella donna avesse degli atteggiamenti sin troppo gentili, che stonavano col suo ruolo di carceriera.

Dopo aver consumato l'ultimo boccone, Eddie rialzò gli occhi su di lei, tormentato dal nervosismo.

– Perché sei qui? – le chiese, senza riuscire a rimuovere il timore dalle proprie parole.

Lei mantenne un sorriso placido, allisciandosi la punta della treccia.

– Per portarti da mangiare, direi.

– Non è quello che intendevo – le rispose. – Perché sei qui, in questo laboratorio? Cosa fate realmente?

Saryu sospirò, intrecciando le dita. – Alla seconda domanda ti risponderà la dottoressa Svart. Per quanto riguarda la prima, posso dirti che io qui svolgo la funzione di psicoterapeuta. Parlo con Eve per aiutarla a comprendere meglio sé stessa, e, se vorrai, farò lo stesso anche con te.

Eddie la fissò incuriosito. Per un istante ebbe il timore che, come psicologa, potesse carpire ciò che lui aveva appena realizzato su Rein. Ma non le avrebbe consegnato quel segreto per nulla al mondo.

– Non ho voglia di parlare –, le disse.

Saryu scrollò le spalle. – Lo sospettavo. Però sarò l'unica persona che vedrai, per un po'. Mi è stato anche affidato un altro compito, che è quello di farti tornare a camminare. Come sai, sei stato ferito al cervelletto. La tua è una condizione detta "atassia cerebellare". Ti farò recuperare il tuo equilibrio, iniziando dalla scomposizione dei movimenti complessi.

A quelle parole, Eddie provò un leggero brivido sulla schiena. Saryu gli aveva appena dato la conferma che sarebbe tornato a camminare, con un po' di riabilitazione. Spostarsi in un'altra stanza per fare fisioterapia gli avrebbe dato l'opportunità di studiare l'ambiente, e riacquisire il proprio equilibrio sarebbe stato il primo passo per iniziare a pianificare una fuga.

Quei pensieri gli accesero una certa euforia nel petto, e sperò che la donna di fronte a lui non lo notasse. Decise di continuare a parlarle, per distrarsi.

– Hai detto che sarai l'unica persona che vedrò. Perché tu, e non la dottoressa Svart?

Quella domanda sembrò spiazzarla. – La dottoressa è molto impegnata, al momento – rispose.

Eddie la scrutò perplesso, con un semplice pensiero ad attraversargli la mente. Non lo sa. Non ha idea del perché Iris non voglia incontrarmi di persona. Quell'intuizione gli diede l'impressione di avere una freccia nella propria faretra. Sentì l'adrenalina scorrergli nelle vene, e si morse l'interno della guancia per tranquillizzarsi. Sta' calmo. Continua a scavare.

– Se facessimo delle sessioni di terapia, di cosa dovremmo parlare? – decise di chiederle.

Lei sembrò illuminarsi a quelle parole, fiutando un'apertura nella quale potersi incuneare. – Di quello che vorrai. Di come ti senti adesso, del tuo passato, del tuo rapporto con Florian, o con Hermes.

L'irritazione di Eddie parlò prima della ragione. – Rein.

Saryu lo fissò, soppesando la sua espressione. – Lo chiameremo così, se preferisci.

La donna accavallò le gambe, con calma. Sapere di essere un libro aperto per lei, grazie ai rapporti consegnati nel tempo da Rein ai membri di quel laboratorio, era un dannato tormento. Tuttavia, in quel momento Eddie pensò di non poter far altro che osservarla a sua volta, continuando a carpire qualcosa di utile per la fuga.

– Potremmo anche parlare –, le disse, – ma a una condizione.

Gli occhi di Saryu si colorarono di interesse. – E quale?

– Voglio sapere cosa è successo a Florian. – E a Rein. Tuttavia, non osò proferire quelle parole.

Eddie sentì Saryu deglutire nervosamente. Gli sembrò quasi che l'aria nella stanza si fosse fatta più fredda e pesante.

– Purtroppo non sono autorizzata a comunicartelo.

Lui sbuffò. – Lo immaginavo. Allora non abbiamo nulla da dirci.

La vide rabbuiarsi leggermente, conscia del fatto che quelle parole rappresentassero una regressione nel dialogo che stava cercando di instaurare con lui. Tuttavia, ebbe il sospetto che quella situazione sarebbe stata temporanea. "Non è autorizzata". Vuol dire che Iris non le ha ancora comunicato la versione dei fatti che vuole far arrivare a me. Sentì il proprio cervello lavorare eccessivamente, provocandogli brevi fitte sul retro della nuca. Vuol dire anche che hanno intenzione di mentirmi su Ian.

Il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da un leggero "bip", proveniente dal dispositivo olografico che Saryu aveva al polso. La donna girò il braccio per osservarne la flebile luce che ne usciva a intermittenza, e contrasse il viso in un'espressione indecifrabile.

– Sembra che il nostro tempo sia finito. Ci rivedremo di nuovo fra qualche ora, per iniziare le sessioni di fisioterapia. Adesso ti accompagnerò al bagno, e un mio collega ti aiuterà a usarlo. Anzi, mi meraviglio che tu non abbia chiesto nulla sino a ora – disse, assumendo un cipiglio dubbioso.

Eddie scrollò le spalle. – Noi LaBo siamo addestrati alla sopravvivenza.

Saryu sorrise. – Già. Siete davvero speciali.

Lui sentì i propri occhi bruciare, e non ci mise molto a comprenderne il perché. Un'immagine di Rein seduto su un ramo della loro quercia gli pugnalò la mente come una lama affilata. Lo sentì parlare come se fosse stato lì in quello stesso momento. "Noi LaBo non siamo speciali perché lo siamo, siamo speciali perché serviamo a loro."

– Ti sbagli. Non siamo speciali e basta, ma perché serviamo alla società. – In qualche modo ripetere le parole di Rein gli diede forza.

Saryu ebbe un leggero fremito, mentre prendeva la stampella per porgergliela. – Già. È quello che diceva sempre anche lui.

Eddie sentì un formicolio irradiarsi nel proprio petto. Ne ha parlato anche con lei. A un tratto si chiese che tipo di rapporto avessero i due, se Rein era arrivato a parlarle senza filtri sulla Chiesa del Giudizio. Per un attimo, il sentore di quel legame gli si stagliò cristallino davanti agli occhi. Lei gli vuole bene.

Afferrò la stampella che la dottoressa gli stava porgendo, ancora interdetto da quei pensieri. Saryu, invece, sembrò affrettarsi a passare oltre.

– Da domani non necessiterai più di questa. Ti avremmo fornito subito una sedia a rotelle, ma a quanto pare sei troppo massiccio per entrare in quella che abbiamo. – La donna sorrise a quella frase, e a lui sembrò davvero un'espressione genuina.

– Ce la fai ad alzarti? – gli chiese.

Eddie provò a posare un piede nudo sul pavimento, sentendolo freddo sotto la propria pianta. Mise la cima della stampella sotto il braccio, posando il gomito nell'incavo preposto. Esercitando una lieve pressione, provò a sollevarsi in piedi, sentendo il proprio corpo farsi eccessivamente pesante. In un istante la stanza iniziò a girare, facendogli roteare gli occhi. Senza neanche rendersene conto, si ritrovò nuovamente seduto sul materasso, con la stampella ritta davanti a sé. Maledizione.

Saryu aveva osservato i suoi movimenti con una leggera compassione a deformarle il viso. – Non puoi ancora stare in equilibrio, Eddie. Lascia che ti dia una mano a camminare.

Seppur a malincuore, sapeva di doversi far aiutare. Trattenne il proprio fiato, prima di posare un braccio sulla spalla di lei. Puntellò la stampella sul terreno, usandola come leva con l'altro braccio. In quell'impalcatura improvvisata, iniziò a camminare assieme a Saryu. Sentì la stanza richiudersi di nuovo addosso a lui, e per istinto serrò le palpebre. Camminare affidandosi alla sola percezione spaziale sembrò venirgli più semplice, rispetto all'utilizzare anche la vista.

– Va bene così, puoi chiudere gli occhi. Ti guido io – sentì dire alla donna accanto a sé. Mossero qualche passo verso la porta, traballando un po'. Eddie era più alto di lei, e percepì l'odore buono dei suoi capelli solleticargli le narici.

La dottoressa aprì la porta con una mano, portandola poi a trattenere quella di Eddie sulla propria spalla, cercando di farlo assestare meglio. La sua presa era forte e salda, una presa che non le avrebbe attribuito, vedendola. Le sue dita sembravano colte da lievi tremori, e continuava a tamburellarle sulla mano di lui, nascosta dalla sua lunga treccia candida. Eddie si chiese se avesse una qualche sorta di disturbo muscolare.

Quando vide le proprie palpebre colorarsi di rosso per via della luce, comprese di essere uscito dalla cella. Tuttavia, non provò ad aprire gli occhi: sapeva che sarebbe immediatamente crollato sul pavimento. Invece, cercò di concentrarsi per escludere dalla propria mente il fastidioso tamburellare delle dita della donna, che i suoi sensi captavano come amplificato. Sembrava farsi più intenso, a ogni passo che compivano. Era un movimento ritmico, che si interrompeva brevemente per poi ricominciare.

A un tratto, comprese ogni cosa. Sentì un brivido ghiacciato congelargli la schiena, mentre attendeva che la sequenza ripartisse.

Punto, punto. Lettera I. Pausa.

Punto, linea, linea. Lettera W. Pausa.

Linea, punto, punto, linea, punto. Barra. Pausa.

Punto, punto, linea. Lettera U.

Le dita di Saryu si interruppero, per poi ricominciare daccapo a scrivere sulla sua pelle quella sequenza in codice morse.

I-W/-U.

Sono dalla tua parte.

Eddie non poté fare a meno di aprire le palpebre, rischiando di inciampare. I suoi occhi glaciali si piantarono in quelli ambrati di lei, che rispose allo sguardo tenendogli testa. In fondo a quei pozzi dorati, gli parve di scorgere il seme del tradimento e, attorcigliato inestricabilmente a esso, il sottile filo della speranza.


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro