¹. 𝘐𝘭 𝘘𝘶𝘢𝘥𝘳𝘢𝘯𝘵𝘦

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Florian si risvegliò qualche ora più tardi, ma per sua fortuna non era ancora entrato nessuno. Inforcò gli occhiali, sbadigliando sommessamente. Negli ultimi anni aveva accolto pochissime persone in quella biblioteca. A parte i suoi conoscenti, che andavano a trovarlo per gentilezza, erano in pochi a sentire ancora il bisogno di leggere.

Dal giorno dell'Espiazione l'interesse per tutto ciò che non fosse pratico era andato scemando sempre di più. I libri di più recente pubblicazione riguardavano i precetti morali della Chiesa del Giudizio, mentre i più vecchi per la maggior parte raccontavano la storia passata con toni paternalistici. Per quanto avesse spulciato, Florian era riuscito a trovare pochissimi romanzi, libri di mitologia, manuali di filosofia o raccolte di vecchi dipinti.

Ancora intontito dal sonno, si fermò a osservare lo spicchio di tramonto che illuminava la sua seduta di un giallo tenue, creando ombre bizzarre con gli oggetti che vi aveva accumulato sopra. Si sporse a chiudere le tende, per impedire che le costine dei libri si sgualcissero con la luce. Non era particolarmente qualificato per quel mestiere, ma perlomeno l'attenzione che vi riponeva era autentica.

Erano le 18.30 in punto, e anche quella giornata si era conclusa. Tempo prima la biblioteca avrebbe chiuso almeno un paio d'ore più tardi, ma nonostante avesse deciso da sé di levare le tende a quell'ora, nessuno aveva protestato.

Prima di uscire guardò il punto del soppalco in cui aveva visto la bambina dondolarsi, provando una fitta al cuore. Scacciò via quella visione con un movimento della mano, come fosse stata una mosca fastidiosa.

A volte si raccontava come fosse quell'ambiente senza vita a comprimerlo in una piccola scatola di vetro. Tuttavia, nei momenti di lucidità migliori, realizzava che l'aria mefitica che credeva di respirare esalava, in realtà, dai suoi stessi polmoni.

***

Se c'era una stagione che gli metteva tristezza addosso, quella era l'autunno. Nulla parlava di decadenza quanto il turbinio di foglie d'acero bagnate dalla pioggia, che puntualmente gli si stampavano sul vetro dell'auto.

Florian si chiese se l'odore dei cadaveri umani fosse simile a quello delle foglie secche inzuppate, ma forse avrebbe dovuto considerare un cadavere che fosse morto annegando. Si perdeva spesso in domande a vicolo cieco come quella. Forse era come aveva detto lei, e la sua vecchia immaginazione non lo aveva ancora abbandonato. Ripensare alla visione avuta in biblioteca, però, gli fece voltare lo stomaco.

Senza fantasticare ulteriormente si lanciò sul sedile davanti, infilò la chiave nel cruscotto e fece retromarcia. Sulla tettoia dell'auto incalzava il tintinnio debole della pioggia, che andava a rincorrersi in fitte gocce sul vetro laterale: una gara senza senso spazzata via dal tergicristallo. La strada verso casa era sgombra come sempre.

I palazzi del quartiere in cui lavorava sembravano degli agglomerati di cartapesta pronti a disfarsi da un momento all'altro. Alcuni una volta erano dipinti di bianco o giallo, ma il tempo li aveva scrostati al punto da metterne in risalto la dura carne di mattoni perforati. Osservando il loro stato si poteva realizzare quanta poca cura venisse profusa nella manutenzione di quella zona di Malthesia.

I pochi lampioni accesi sfarfallavano spesso, dando alla strada un'aria lugubre. Sull'asfalto si erano formate pozzanghere profonde quanto crateri lunari, che col tempo aveva imparato a evitare. Sapeva bene che i fossi nascosti dal riflesso lucido della pioggia avrebbero potuto bucargli una ruota dell'auto elettrica. Un'auto semi-sospesa avrebbe evitato quel problema, ma era consapevole di non potersela permettere. Tuttavia, la cosa non gli pesava: guidare sotto la pioggia col lieve sottofondo del motore elettrico lo rilassava.

Non aveva percorso neanche un chilometro, quando vide delle luci rosse sfocate dalla pioggia che gli inondava il finestrino. Capì immediatamente di cosa si trattasse, quindi accostò e fece scorrere giù il vetro.

– Documenti, per favore – disse una voce gutturale. Il Sorvegliante indossava un casco rosso e un giubbotto nero bombato, che lo faceva assomigliare a un orso.

Dalla voce e dalla corporatura, Florian stimò che potesse avere poco più di cinquant'anni. Riusciva a osservarne solo gli occhi, che riflettevano bagliori castano chiaro, illuminati dalla luce vermiglia dei lampeggianti. Non ricordava di averlo mai visto.

Florian prese la sua carta ID, sudando leggermente. L'uomo la fece scorrere sotto al lettore ottico, che emise un breve "bip". La pioggia gli ricadeva a fiotti sul casco, rotolandogli disordinatamente sulle sopracciglia folte.

Il Sorvegliante alzò gli occhi dal documento per guardarlo in faccia. Florian si sistemò diligentemente gli occhiali sul naso e cacciò via un ricciolo dalla fronte, rendendo più visibili le cicatrici da ustione che aveva sul viso e sul collo. L'uomo lo guardò con un misto di interesse e compassione, ma lui ormai era abituato a quel tipo di sguardo.

– Lei è Attenzionato. Cosa ci fa in questa zona... – guardò ancora l'ID – signor Floriàn Ervard?

Lui per poco non si fece sfuggire un sorriso. L'accento del suo nome ricadeva sulla prima vocale e non sull'ultima. Perlomeno il suo cognome, Herward, era stato pronunciato in maniera corretta. L'uomo continuò a osservarlo con sospetto, aspettando impaziente una risposta. La piccola "A" rossa che segnalava lo stato di Attenzionamento da parte del Regime lampeggiava flebilmente sul documento.

– Lavoro da sette anni come custode dell'edificio bibliotecario, signore.

Florian aveva deciso da tempo di non qualificarsi solamente come "bibliotecario", per porre l'accento più sulla mansione di custodia che sul contenuto da custodire. Pensava che la cosa lo facesse sembrare più produttivo.

Nonostante stesse dicendo la verità, si sentì quasi in colpa per essere in giro in quel quartiere isolato. Non gli fu difficile comprendere perché il Sorvegliante lo avesse fermato: spesso si era sentito parlare di sparizioni di adolescenti proprio in quell'area.

Florian volse gli occhi di soppiatto alla placchetta sul giubbone del Sorvegliante. Si chiamava Meir Auerbach, un nome che non aveva idea di come pronunciare. In un cerchio con al centro un occhio stilizzato vi era invece la scritta "Corpo Sorveglianti, zona B, Malthesia".

– Posso mostrarle i documenti di lavoro, se vuole. Conosco di persona anche il Sorvegliante assegnato alla zona B, Dresner. – Florian iniziò a sentire un filo d'ansia, pentendosi immediatamente di aver fatto il nome di Willas Dresner, l'ufficiale di vent'anni che lo aveva visto tornare a casa talmente tante volte da aver smesso di controllargli i documenti.

– Possiamo verificare subito.

Auerbach si sporse a bussare sul finestrino dell'auto elettrica rossa, inzuppandosi ancora di più. Florian fu contento del fatto che la sua carta ID fosse d'acciaio impermeabile.

Lo sportello dell'auto di servizio si aprì, e ne scese un ragazzo allampanato bardato di tutto punto da Sorvegliante. Florian lo riconobbe immediatamente: Willas, in fondo, era alto un metro e novantadue.

Il ragazzo mise una mano sulla spalla del collega, incurante della pioggia che si stava facendo strada tra il casco e il suo collo.

– Meir, sta' tranquillo. Lo conosco. Lavora in questo quartiere da anni. – Willas si rivolse a Florian salutandolo con un breve gesto della mano.

Meir non sembrò convinto. – È Attenzionato. Sbaglio o quelli come lui non dovrebbero lavorare in luoghi così isolati, Villas?

– Dovresti chiederlo all'Ufficio per il Collocamento, Meir. E il mio nome si pronuncia "Uillas", te l'ho già detto.

L'omone in giubba nera continuò a fissare Florian dubbioso, chiaramente infastidito dal braccio del collega. Con la sua altezza spropositata, Willas avrebbe fatto sentire in soggezione chiunque, nonostante si fosse abbassato di molto per guardare attraverso il finestrino.

Florian notò come il suo atteggiamento confidenziale trasudasse un po' di tensione. La colloquialità tra Sorveglianti e cittadini, soprattutto se Attenzionati per Disallineamento Mentale, non era vista di buon occhio dal Regime.

– Voglio comunque controllare i documenti di lavoro – insisté Auerbach, spostandosi stizzito da Willas. Florian glieli porse velocemente, e lui li osservò con attenzione. Ogni tanto lo sguardo freddo dell'uomo si spostava verso le cicatrici sul suo viso, ma Ian cercò di non farci troppo caso.

Dopo un paio di minuti il Sorvegliante se ne tornò nell'auto di servizio, borbottando qualcosa. Col collega ormai al sicuro dalla pioggia, Willas sembrò rilassarsi, e si avvicinò a Florian.

– Con queste auto tutte uguali non ti avevo riconosciuto, altrimenti sarei sceso io. Sto facendo il primo giro di ronda col mio nuovo collega, che insiste per controllare ogni singola vettura. – Indicò Meir col suo lungo indice appuntito. – Viene da Nuova Odenor. Non è un portento con i nomi delle strade, o delle persone.

Gli occhi verdi di Willas erano ritornati i solidi smeraldi caldi e amichevoli, e Florian sciolse un po' della tensione che aveva accumulato. Dopo tanto tempo non riusciva ancora a capacitarsi di come un Sorvegliante potesse essere tanto affabile.

– Allora, come ti ha chiamato? – gli chiese Willas.

– Floriàn – rispose Ian, sorridendo un po'. Si chiese se fosse opportuno scherzare in presenza di un Sorvegliante che non aveva mai visto, nonostante in quel momento Auerbach non potesse sentirli. Non conosceva la Legge in maniera approfondita, ma forse se avesse calcato la mano sarebbe incorso in qualche reato di Discorso Offensivo. Si ripromesse ancora una volta di studiare meglio quelle cose.

Gli occhi di Willas si incresparono, e Florian intuì che stava sorridendo sotto al casco.

– Va bene. Leviamo le tende, sto congelando. Buon ritorno a casa, Ian. Stammi bene.

Willas gli strinse la mano con forza e gli ridiede la sua carta ID, che era riuscito far sgusciare poco prima dalle mani del collega.

Il Sorvegliante fece il giro per rientrare in auto, al posto del guidatore. Florian vide le luci rosse ricominciare a lampeggiare e il casco di Auerbach girarsi un'ultima volta verso di lui.

Quando il bagliore cremisi sparì in lontananza, smise di stringere la carta ID, che gli stava sferzando le mani secche. Guardò con indifferenza le linee di sangue rosso, che i bordi d'acciaio avevano provocato sulle sue dita. Senza preoccuparsi di tamponarle, ingranò di nuovo la marcia per ripartire.

***

Mancavano ancora un paio di chilometri alla sua meta. Dopo aver fatto un breve calcolo, Florian si accese una stecca Joy. Inspirò a fondo, attendendo il rilascio di ormoni benefici. Sul pacchetto campeggiava la solita scritta, a caratteri cubitali: "le endorfine sono dei neurotrasmettitori con effetti analgesici. Si prega di non eccedere nell'uso. Prescrivibile".

La nebbia inebriante delle sigarette gli cancellò dalla testa ogni tensione relativa all'episodio coi Sorveglianti, così come qualsiasi considerazione negativa su ciò che il tergicristallo stava svelando in quel momento. Quella visione sin troppo familiare si sedimentò nei recessi della sua mente, ma in superficie non gli prestò più di molta attenzione.

Il Quadrante coi numeri emerse tra le gocce, un quadrante identico a quelli installati a ogni semaforo, su ogni traliccio, in ogni piazza del mondo. Il numero era sempre lì, familiare e quindi invisibile: 2.180.221.982. Due-miliardi-cento-ottanta-milioni-duecento-ventunomila-novecento-ottantadue. Dal giorno precedente non avrebbe saputo dire di quante unità fosse diminuito, ma la cosa aveva smesso di importargli da anni.

Qualche membro della Chiesa del Giudizio aveva detto che l'umanità avrebbe tratto vantaggio da quel continuo "memento mori" lampeggiante di verde – ciò che significavano per Ian quei numeri giganteschi e minacciosi. Nelle intenzioni iniziali di quel qualcuno, avrebbe dovuto essere invece un grande ed esaltante "carpe diem". Persino il colore verde era stato scelto affinché rilassasse chi vi posava gli occhi.

Per Florian non avrebbe fatto alcuna differenza se fosse stato di un'altra tinta: non riusciva a dipingere quel monito di nessun altro colore che il nero.

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