𝘗𝘳𝘰𝘭𝘰𝘨𝘰

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– Come sarebbe il mondo se cambiassero dei piccoli dettagli?

Nessuna risposta.

– Ian. Stai dormendo?

– Mmh.

– Dai, rispondimi. Giochiamo.

– Lascia perdere... – disse lui stiracchiandosi.

– Ti prego, non c'è nessuno! Mi sto annoiando a morte – disse lei imbronciata, fissandolo dal soppalco.

Florian alzò la testa dalla scrivania, mettendoci pesantezza di proposito. Il bagliore della lampada a led gli ferì gli occhi, ma si costrinse a inquadrare gli oggetti nella stanza. A volte lasciava che, per pigrizia, le pupille gli rimanessero fuori fuoco. Gli piaceva guardare le luci diventare grossi agglomerati senza forma: un effetto bokeh gratuito.

In alto la bambina lo fissava con impazienza. Era di nuovo appesa alla scala di legno, e si dondolava allungando le mani per mettere i libri fuori posto. Quel movimento caotico avrebbe dovuto allarmarlo, ma Florian non sembrò preoccuparsene. Lei si sporse ancora di più, sbirciandolo oltre la ringhiera di mogano. I suoi lunghi capelli ramati ondeggiarono da un lato all'altro.

– Scendi da là... Ti farai male.

Florian si accorse di avere una lieve inflessione di indolenza nella voce. Darle corda lasciando fluire quelle parole gli stava costando molto, ma si sforzò di celarlo.

– Tu mi rispondi e io scendo.

Ian sbuffò sonoramente e si mise la testa tra le mani, come a simboleggiare la propria resa. Sentì la pelle screpolata delle dita grattare un po' sulle cicatrici del viso. Lei gli fece un sorrisino beffardo, mostrando la sua ampia dentatura da latte.

– Va bene. Però ripetimi la domanda – le rispose, affranto.

– Non mi ascolti mai? Allora: immagina un mondo in cui cambiano a un tratto delle piccole cose. Tu che faresti?

La bambina tirò il naso all'insù e sorrise di sghembo, compiaciuta di aver partorito quell'ipotesi. La sua aria fiera la faceva sembrare più piccola rispetto ai suoi otto anni di età, e Florian non poté fare a meno di pensare a quanto gli fosse mancato vederla così ebbra del proprio essere brillante. Suo malgrado, quella visione gli provocò una punta di tenerezza.

– Non saprei... Sei tu quella fantasiosa. Probabilmente di quelle "piccole cose" me ne farei una ragione.

Come spesso accadeva, il gioco delle domande consisteva nel lasciarle campo libero per esprimersi. Tuttavia Florian notò che lei non sembrava per nulla soddisfatta di quella risposta.

– Ma no! Immagina un cielo rosso, un cane che miagola, un pianoforte che non suona... Secondo me diventeresti pazzo. Anzi, impazzirebbero tutti.

La bambina non voleva darsi per vinta, e continuava ad agitarsi sulla scala di legno.

– Va bene, come dici tu. – Florian era visibilmente stremato. – Ora vado a premere i tasti del pianoforte e, se non suona, tu te ne vai. – Si scostò un ricciolo dal viso, e fece per alzarsi.

– Non è questo il punto – disse lei, calando dolcemente dal soppalco. La sua gonnellina la accompagnò, aprendosi in uno sbuffo leggero come un fiore dai larghi petali. Le sue pericolose oscillazioni non sembravano più così insistenti, adesso. Si avvicinò per posargli la piccola mano sulla sua, ma come sempre lui non sentì niente.

– È solo un'idea, Ian. Tu non hai mai fantasie?

– Sin troppe – rispose lui, affondandole un pugno nel viso. Si ritrovò come sempre ad afferrare l'aria, e lei fece un sorrisino divertito. La sua immagine si ricompose a un centimetro dalle dita che avevano provato a scacciarla via.

– Pensaci, va bene? Sei sempre stato bravo a inventare storie – disse lei, sorridendo ancora.

– Non è una cosa che vorrei continuare a fare. – Florian sentì gli occhi bruciare e le mani intorpidirsi. – Vorrei solo che te ne andassi. Per favore – aggiunse sottovoce.

Ma lei era già evaporata da qualche parte nella sua mente, con quella lieve sensazione di tangibilità che emanava ancora dal quadrato di pavimento dove lui l'aveva vista in piedi. Florian respirò a fondo, chiuse gli occhi e rigettò pesantemente la testa sul mogano della scrivania.

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