⁶⁸. 𝘗𝘶𝘳𝘨𝘢𝘵𝘰𝘳𝘪𝘰

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L'uomo col bastone di legno oscillava lungo il vialetto lastricato di mattoni, inframmezzando i propri passi con occhiate fugaci verso il cielo. Era la sesta volta che la donna lo vedeva compiere quei movimenti. Sollevava il volto a cercare qualcosa di invisibile, per poi mettere un piede dietro l'altro con estrema attenzione, quasi come se ai lati del selciato ci fossero stati due precipizi. La donna avrebbe volentieri contribuito a farlo ruzzolare per terra, se solo non le fosse stato impedito di accedere al giardino.

Si era appollaiata sull'ampio davanzale della finestra, stringendo le ginocchia al petto. Ormai era da più di un'ora che osservava le figure che affollavano il cortile, formiche claudicanti che racchiudeva con le mani in prospettiva, tanto per avere qualcosa da fare. La finestra era sigillata, e anche se fosse riuscita ad aprirla, l'avrebbero accolta solo delle spesse grate. Non possiamo neanche ammazzarci in pace.

Non che lo avrebbe mai fatto. Immaginarsi impegnata in una fatale caduta libera le portava alla mente sin troppi ricordi, conditi da un dolore che credeva di aver riassorbito da tempo. Il silenzio della reclusione era riuscito a scoperchiare il lutto per la perdita del suo gemello, quella metà di lei che si era polverizzata proprio a contatto con un marciapiede, soffiando libera nel vuoto.

Ancora una volta cercò di strapparsi quei pensieri di dosso, distraendosi maldestramente. Si voltò a osservare la propria stanza, posando gli occhi sui materassi gettati per terra. Li avevano privati delle reti e delle trabacche, dall'ultima volta che aveva provato a spaccare il cranio di un medico su uno spigolo di esse. Da quel momento era passata circa una settimana, anche se non era certa di quel calcolo: in quell'ospedale psichiatrico non c'erano né orologi, né calendari.

Oltre ai letti, avevano eliminato anche le scrivanie e le sedie. Il risultato era che, in quei pochi metri quadri, erano rimasti solo due materassi spogli, una catasta di libri e dei vestiti impilati su un ripiano di legno. Il pannello non si era mosso di un centimetro, quando aveva provato a scardinarlo dalla parete. Nella vernice erano ancora presenti i segni delle sue unghie, assieme al sangue che le era uscito conficcandocele. Quella volta qualcuno era arrivato a immobilizzarla, sparandole un tranquillante che l'aveva lasciata inerte come una marionetta. Anche in quel momento sapeva di averne qualche milligrammo in corpo, iniettatole qualche ora prima per precauzione.

La donna sospirò leggermente, posando la testa sul vetro. Osservò il proprio corpo riflettersi nella lastra opaca, vestito di un abito azzurrino che le avevano fornito in più versioni. Copie di copie di copie, come gli abiti dei personaggi nei vecchi film d'animazione. Registrò i propri occhi chiari restituirle uno sguardo stanco, eppure ancora racchiuso tra dei capillari iniettati di rabbia. La pagherete.

Non ricordava molto del giorno in cui era arrivata. Probabilmente l'avevano addormentata, o drogata; solo diverse ore dopo avevano iniziato ad affiorare tutti i dettagli. Lei di fronte a uno specchio, intenta ad appiattire senza successo i propri capelli vaporosi. Il sorriso idiota che non era riuscita a occultare, euforica per l'imminente appuntamento. E poi la pioggia, il bussare sommesso alla porta. Il buio, la sua nuova "casa". Pensare a chi l'aspettasse le dava la forza per desiderare di fuggire da quell'assurdo limbo, nel quale le sembrava di non essere altro che un'entità invisibile.

La seconda sera si era aspettata che le facessero una RA, come accadeva di consueto a coloro che passavano da Attenzionati "salvabili" a Disallineati "irrecuperabili", venendo poi reintrodotti in società come amebe prive di memoria. "Libere" di essere nuovamente un ingranaggio della Chiesa del Giudizio, magari in una mansione che non richiedesse chissà quale sforzo cognitivo. Un istante dopo aver compreso di essere in un ospedale, la donna aveva iniziato a prepararsi a quella sorte.

Eppure, non le era accaduto nulla di tutto ciò. Il resto degli "ospiti" riceveva regolarmente medicine e Riforme Avanzate, ma non era stato il suo caso. L'avevano semplicemente ignorata senza alcuna spiegazione, almeno sin quando non aveva iniziato a fare rumore per conto proprio. Aveva perso il conto di quante volte avesse urlato, persuaso, minacciato medici e infermieri per farsi dire il motivo della sua presenza in quella struttura. In seguito alle sue aggressioni, l'unico provvedimento preso nei suoi confronti era stato quello di spostarla in isolamento.

Quell'omertà aveva avuto solo il potere di acuire il suo odio. Ogni giorno fantasticava di mettere le mani addosso a chiunque avesse deciso di strapparla alla sua vita. Un fruscio le occludeva l'udito, simile a quello di un disco la cui puntina fosse andata fuori solco. Nel silenzio della sua mente, una rabbia oltre ogni misura la invadeva, la nutriva. Si immaginava in innumerevoli scene di combattimento: feroce, rapida, incisiva. Non pensava a nulla di tecnico: nessuna arte marziale, solo una furia cieca. Sembrava essere l'unica cosa in grado di calmarla.

Anche in quel momento, la sua mente si perse in una di quelle fantasie. Si immaginò tempestare di pugni un volto ignoto, scorticandone la pelle sino a trovarne le bianche ossa. In qualche modo, permettersi di immaginare a briglie sciolte contribuiva a farla sentire una pericolosa malata di mente. Ma dal momento che sono già in un manicomio, non fa alcuna differenza.

Fu il sussurro della porta a distrarla da quei sogni scarlatti. Il pannello di metallo cromato si aprì di scatto, giusto il tempo di permettere alla stanza di inglobare la figura di un uomo vestito di bianco. Sembrava avere uno sguardo acquoso ma arguto, e una barba canuta gli riscaldava un volto da quasi-Concluso.

La porta si chiuse dietro di lui, lasciandoli soli nel tempo di un respiro. La donna registrò la nuova presenza con una certa svogliatezza. Avrebbe volentieri lanciato qualcosa contro l'uomo, ma i libri erano messi a riposare sul pavimento, e i tranquillanti le impedivano di muoversi con rapidità. Spostò nuovamente lo sguardo verso il cortile, rivolgendosi al vetro.

– Va' via. Non voglio parlare con nessun dannatissimo medico.

L'uomo stette in silenzio, muovendo qualche passo all'interno della stanza. Nonostante volesse ignorarlo, la donna non poté fare a meno di osservarlo con la coda dell'occhio. Lo vide inginocchiarsi accanto alla pila di volumi addossati al muro, passando le dita sulle costine sgualcite. Ne saggiò i titoli in bassi mormorii, prima di accasciarsi su uno dei due materassi messi per terra.

Quell'atteggiamento la irritò più del dovuto. – Allora? Sei sordo?

L'anziano si sgranchì le ginocchia stirandole verso l'esterno. I suoi capelli bianchi oscillarono assieme alla sua figura, simili a denti di leone nel vento.

– Come mai dorme per terra? – le chiese, prendendo la parola.

La donna rimase leggermente spiazzata. – Non credo siano affari tuoi – rispose, risentita. – Vattene.

Nonostante il suo tono grondasse disprezzo, l'uomo non fece una piega. Lo vide far spaziare lo sguardo sulle pareti, osservando le orribili litografie di Malthesia che le decoravano. – Lo farei se potessi, signorina. Ma a quanto pare siamo nella stessa situazione.

La donna incontrò i suoi occhi castani, leggendovi una certa sincerità. Tuttavia, non bastò a spegnerle l'irritazione. – Vuoi dire che non sei un medico?

L'uomo sospirò, agitando una mano. – Lo ero, sì. Ma adesso come lei sono un... "Ospite" di questa struttura. E a quanto pare, da oggi starò nella suite. Anche se nessuno mi aveva avvisato che l'avrei trovata occupata, dev'esserci stato un disguido alla reception.

La donna alzò un sopracciglio, discendendo una gamba dal davanzale. – Mi prendi in giro?

– No, affatto. Dirò loro anche di portare qui un letto decente, o dovranno vedersela col mio fisiatra.

Per un attimo ebbe l'impressione che l'uomo soffrisse di una qualche forma di mitomania. Tuttavia, lo vide allargarsi in un sorriso sardonico, tornando a sgranchirsi le gambe con movimenti legnosi. – Sto scherzando. Sdrammatizzo –, disse. – Sono solo contento di non essere più da solo coi miei pensieri.

La donna sbuffò, sollevandosi nuovamente accanto al vetro. Si accorse di aver contratto i muscoli sino a quel momento; li rilasciò di colpo, sentendoli sciogliersi nel torpore dei tranquillanti.

– Non mi sembra ci sia molto da ridere, qui.

L'anziano conservò un'espressione mite, perso nei suoi allungamenti. – Ridere può essere un'ottima medicina, lo sa?

Lei sentì quelle parole rimbombarle nel petto, schiudendo le pieghe di un ricordo. Una biblioteca. Lei in cima a una scala, intenta a passare libri a un uomo dai folti capelli ricci, qualche metro più in basso. Lui che cercava di tenere il ritmo coi suoi lanci veloci, reggendo i volumi in equilibrio come un giocoliere. Quella volta aveva desiderato di essere avviluppata allo stesso modo da quelle braccia delicate. Tuttavia, la catasta di libri era irrimediabilmente finita sul pavimento, lasciando l'uomo con un'espressione talmente inebetita da averla fatta ridere per mezz'ora.

Delle lacrime indesiderate le pizzicarono le ciglia. L'anziano parve non accorgersene, o finse di non farlo.

– Quando uscirò da qui mi farò una grassa risata, allora.

Un luccichio si fece strada negli occhi di lui. – Sembra fiduciosa. Ha qualche asso nella manica?

La donna serrò i pugni, ricacciando indietro l'ultimo accenno di pianto. – Al momento sono a corto di idee – gli disse, – e di materiali. Ma non guardare quella mensola, non si sposta di un centimetro.

Il barlume dell'uomo fiorì in una certa curiosità. – È per questo che la sua suite è così minimalista? Ha smontato tutto quanto?

– A quanto pare.

L'uomo si sollevò lentamente, lasciando un solco nel materasso. Lo vide avvicinarsi alla finestra, con passi ponderati. – Ma un po' di fai-da-te non basta a finire in isolamento.

– Già. Non basta.

– E allora potrei sapere cosa le ha fatto guadagnare la zona VIP?

Senza volerlo, la donna si lasciò sfuggire un sorriso. Le stravaganze di quell'uomo stavano inaspettatamente iniziando a divertirla. In qualche modo, le ricordavano i discorsi che faceva con lui sul Regime.

– Diciamo che ho lasciato qualche livido come mancia ai camerieri.

– Oh – disse l'anziano, mettendosi a fissare l'esterno a sua volta. – Interessante. Mi sembra un buon metodo di pagamento.

– Proprio così – continuò lei, sentendosi lievemente orgogliosa. Spostò gli occhi sul viso gentile dell'uomo, ricoperto da profonde rughe. – Anche se ho ancora un bel po' di rate da saldare.

Lui si fece una breve risata, contento di quella risposta. – Ottimo, davvero ottimo – disse. Anche la donna stirò le labbra in una smorfia. All'esterno, l'uomo col bastone sembrava essere stato distratto dal passaggio di una farfalla, che gli volteggiava svogliatamente accanto.

– E tu, invece? – decise di chiedergli, prima di pentirsene. – Cos'hai fatto di bello per meritare l'isolamento?

Lo vide portare una mano a grattarsi il naso, imbarazzato. – Nulla di eclatante. Ma non ne vado particolarmente fiero.

La donna sbuffò. – Puoi risparmiarti questi preamboli. Nessuno di loro merita la nostra pietà.

Lui si gettò a osservare le proprie scarpe, rispondendole a mezza voce. – Ho provato a ipnotizzare un paio di infermieri.

– Tutto qui?

– Beh, l'uso di tecniche volte a danneggiare la mente altrui va contro la mia etica. Ma suppongo che un uomo recluso senza alcun motivo possa finire per provarle tutte.

Quelle parole la illuminarono. – Allora anche tu non sei stato segnalato. Anche a te non hanno detto perché sei qui.

– Nessuna denuncia – confermò l'uomo, alzando le spalle. – Ma mi sono comunque fatto qualche teoria. Per il resto, niente medicine e niente terapie. L'unica interazione significativa che io abbia ricevuto è stata la comunicazione che sarei finito in isolamento. A quanto pare sono un po' arrugginito con l'ipnosi... Non che io l'abbia mai considerata professionalmente valida.

La donna ascoltò quelle parole focalizzandosi su un singolo dettaglio, sorvolando impudentemente sulle ultime frasi. Qualche teoria.

– Parlamene – gli disse, di colpo. Lo osservò guardarla smarrito, e quasi si vergognò della propria rudezza. – Delle teorie, dico. Di quello che pensi ti abbia fatto rinchiudere.

L'uomo si passò una mano tra i capelli canuti, accasciandosi sul muro di fianco alla finestra. – Teorie... Diciamo anche certezze. Era da qualche tempo che la Chiesa non gradiva il mio operato. Troppo discordante con le versioni ufficiali del comitato dei Neuropsichiatri.

La donna notò che si era rabbuiato, sfarfallando come una lampadina fulminata. – Sin qui ci sono arrivato. Per quanto riguarda l'indifferenza, suppongo sia da imputare al fatto che non abbiano ancora deciso la mia sorte. Altrimenti, sarei già tra i dolci guizzi degli elettrodi.

Sollevò gli occhi su di lei, sorridendo mestamente. – Siamo nella stessa barca, signorina. Se non le hanno fatto nulla, è perché non sanno cosa farle. Questo è un purgatorio.

Lei si sentì sconquassare da un brivido, e si strinse le ginocchia al petto cercando di tenerlo a bada. Non sai perché sei qui. Non sai cosa ti faranno. – Vuoi dire che ci hanno semplicemente abbandonati in questo posto?

– Per quanto ne so, potremmo anche rimanerci per sempre. Qualcuno ha voluto che noi "sgraditi" sparissimo dal palcoscenico della società. Siamo i figli deformi del re, sottratti allo sguardo dei sudditi. Chissà che il prossimo passo non sia quello di scaraventarci da questa alta torre. Sarebbe quasi liberatorio.

– No – disse lei, risvegliandosi all'improvviso. – Saranno quei bastardi a sfracellarsi al suolo. Non noi.

L'uomo sembrò abbandonare il proprio cipiglio malinconico, osservandola con interesse. – Cosa le dà tanta fiducia?

Lei si guardò le mani, un po' tremanti. – Nulla –, replicò. – Possiamo solo darne a noi stessi.

Il silenzio fu la sua risposta. La donna notò che l'anziano stava nuovamente osservando l'esterno, e le parve quasi di scorgere un sorriso fare capolino sul suo volto grinzoso, rischiarandolo. Lo vide puntare un dito, indicando l'uomo con il bastone di legno che percorreva il cortile claudicando.

– Si chiama Adam – gli disse lei. Non aveva idea di come o dove lo avesse appreso, e quasi si stupì di averci fatto attenzione.

– Che nome peculiare.

Lei poggiò il naso sul vetro, mettendo a fuoco il viale. – A me sembra normalissimo.

Sentì un risolino leggero provenire dall'anziano, che si accostò alla finestra, avendo cura di non sfiorarle le ginocchia. – Lo è. Ma se si spostano le lettere, viene fuori "a mad", "un pazzo". Non lo trova divertente, signorina?

La donna si portò le mani dietro alla testa, sgranchendosi il collo. Ci mancava l'appassionato di anagrammi. – Forse. Un po'.

Spostò gli occhi verso il secondo materasso che stava per terra, nudo e sin troppo sottile. Quando l'avevano messa in isolamento, aveva notato che i posti letto erano due, ma non si era mai soffermata sull'idea che un giorno avrebbe potuto ricevere compagnia. Per sua natura preferiva la solitudine, ma era anche vero che i pensieri non avevano fatto altro che falciarle il sonno e inquinarle la veglia. Osservò ancora una volta l'anziano, dubbiosa. In definitiva, non sapeva bene come sentirsi al riguardo.

– Comunque potresti smetterla di chiamarmi "signorina". E anche di darmi del "lei".

Pardon – disse lui, prontamente. – Cercherò di farci attenzione. Deformazione professionale.

Lei ricordò qualcosa, un'informazione che si era persa nel resto del discorso. La recuperò a fatica, scavando tra le nebbie dei tranquillanti, che avevano la pessima abitudine di intorpidirle il cervello. – Hai detto di essere un medico.

– Sono uno psichiatra. – L'uomo fece un breve inchino, abbassando il capo. – Mi chiamo Nicholas Brenner, tanto piacere. E tu, signorina?

La donna cercò di sorvolare su quell'ulteriore "signorina", mettendosi più dritta sul davanzale. Nel cortile, l'uomo col bastone di legno stava facendo l'ennesima passeggiata in tondo, seguendo la fila di mattoni incastrati nel terreno. Gli fece una smorfia, piantando i propri occhi azzurri in quelli castani dell'uomo.

– Mi chiamo Dianne.







Angolino

Ebbene sì! Avevate smesso di sperarci? Oppure la storiella dell'allucinazione di Ian era stata abbastanza convincente? Sono curiosa! (Certo, non aiuta quando un certo Jonas, personaggio apprezzatissimo, intercetta gli appunti del tuo psichiatra, tra le altre cose appassionato di anagrammi, e li usa contro di te... Ma d'altronde non amereste Jonas così tanto, altrimenti).

E salutiamo anche un altro povero personaggio perseguitato dal Regime - il buon vecchio Nicholas, uno dei pochi medici decenti in questa storia. Lo avevate riconosciuto? E chissà cosa riusciranno a fare questi due, unendo le forze (-:

E con questo si conclude la lunghissima seconda parte di questa storiella. Ci vediamo dall'altra parte, folli aficionados.

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