1. GUARDANDO DALLA FINESTRA

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Quel giorno il sole era bellissimo. L'osservai, nascosta dietro alle pesanti tende di velluto bianco. Era affascinante vedere i disegni che creava sull'asfalto. Lanciai uno sguardo alla serie di villette di fronte alla mia. La maggior parte erano ancora chiuse. Probabilmente i loro proprietari stavano lavorando. Sospirai, stancamente. Avevo la nausea. Se solo avessi potuto semplicemente uscire a fare una passeggiata. No, non potevo. Ero carne, ossa, sangue unita con la mia casa. Io ero quelle mura, quel tetto, quelle fondamenta. Non potevo essere altro che quello. Mi spostai ancora un po' più di lato per non essere colpita da uno dei raggi del sole. Certo, il vetro era fatto in modo che la luce non mi danneggiasse, ma non mi fidavo. Avevo imparato negli ultimi due anni di malattia a non fidarmi mai. Bastava così poco a farmi ricoprire la pelle di piaghe. Notai una ragazzina dai capelli biondo scuro che giocava con un pallone e lo faceva rotolare lungo il marciapiede. Poco lontano una coppietta amoreggiava, seduta su una panchina. Sentii una stretta allo stomaco. Una vita normale, quella che io non avrei più potuto avere. Doveva essere bello baciarsi con il ragazzo che si ama sotto il sole. Resistetti a stento alla tentazione di colpire il vetro, di graffiarlo con le mie unghie smaltate di rosso. "Avrei potuto essere un paio di ruvidi artigli che corrono sul fondo di mari silenziosi." Sorrisi, pensando a quel verso. La mia poesia preferita. Avrei potuto essere qualcosa di più. Fu in quel momento che notai qualcuno passare sul marciapiede di fronte. Il mio cuore aumentò i battiti, le farfalle iniziarono a battere le loro ali nel mio stomaco. Cappuccio sollevato della felpa grigia come i suoi meravigliosi occhi -ha davvero degli occhi meravigliosi, non è licenza poetica-, jeans strappati, Converse. Ethan Bryne. Aria da bad boy e cervello da Einstein. Lo sapevano tutti che era praticamente un genio. L'osservai sparire dietro una casa. Il sorriso mi morì sulle labbra. Un po' troppo per una come me. Poco male. Probabilmente alla fine Ethan non era neppure tanto fantastico come immaginavo. Gli idoli lasciano polvere dorata sulle mani non appena li sfiori.

Spostai lo sguardo, desiderosa di una distrazione. Questa volta cercavo qualcosa in particolare. Una villetta dal tetto blu. La trovai quasi subito. La conoscevo molto bene, quasi come la mia. Io e Lauren avevamo passato pomeriggi interi dentro quella casa e in quel giardino. Spesso partecipavamo a delle cacce al tesoro. Eravamo state felici. Ora però Lauren era scomparsa. Da quando era sparita nel nulla la mia vita era cambiata. Avevo perfino creato un nuovo profilo Instagram, quello vecchio, con le nostre fotografie insieme, non riuscivo nemmeno più ad aprirlo. E poi avevo difficoltà a scrivere. Un tempo la scrittura era stata il mio rifugio, ora non riuscivo neppure a scrivere un paragrafo. Un bruciore improvviso alla mano mi fece capire che l'avevo lasciata esposta alla luce. La ritrassi rapidamente e mi fissai la pelle arrossata con una smorfia. Il dottor Brown, il mio medico, sosteneva che la causa fosse psicosomatica, una così breve esposizione di luce, attraverso dei vetri filtrati, non poteva darmi dei problemi. Probabilmente aveva ragione, ma non potevo farci nulla. Odiavo la luce del sole. Era passato molto tempo da quando mi ero esposta l'ultima volta in una giornata di sole, senza che la mia pelle fosse coperta dagli abiti o da uno spesso strato di crema solare protezione totale. Due anni. Sospirai. Preferivo la notte, decisamente preferivo la notte. A guardare una notte piena di stelle puoi iniziare a credere in tutto. Andai a sedermi sul letto, affondando nel copriletto rosa. Da principessa. Beh, io mi sentivo una principessa. Lanciai uno sguardo all'immagine di Cenerentola, eternamente fissa all'anta del mio armadio, mentre perdeva la scarpetta. Al suo fianco c'era una Biancaneve in versione dark, con i lunghi capelli neri che le ricadevano sull'abito bianco. Sorrisi. Erano delle figure confortanti. Ricordai la volta in cui io e Lauren l'avevamo messa lì. Era successo in un giorno piovoso, quando non sapevamo cosa fare. Ricordi finiti per sempre. In quel giorno lontano non sapevo ancora il peso che mi sarebbe caduto addosso.

Mi era stata diagnosticata la porfiria variegata. Non è un nome proprio incoraggiante, eh? La mia forma di porfiria implicava problemi di vario tipo, che andavano dalla fotosensibilità ai disturbi neurologici. Può essere consolante sapere che ci sono stati degli illustri personaggi con questa malattia: il re Giorgio III d'Inghilterra, Kierkegaard, Rousseau e Van Gogh. Onestamente? La cosa non mi è di molto conforto. Alcuni sostengono che perfino la regina Maria Stuarda ne avesse una forma leggera. S'imparano molte cose su Internet. E io avevo tantissimo tempo da passare su Internet. Avevo molto tempo per fare moltissime cose. Mi sentivo come una prigioniera.

Avete presente quel film dove lei non si può esporre a causa di una grave malattia? La mia vita gli assomigliava. Lauren adorava quella storia, io l'ho sempre evitata, perfino prima di ammalarmi. Non avevo avuto una grande passione neppure per Raperonzolo dopo l'inizio della mia malattia. Il pensiero di quella ragazza chiusa nella torre, beh, mi metteva i brividi perché mi ricordava me. Solo che la mia Lady Gothel si chiamava porfiria e non mi avrebbe mai lasciata. La cosa peggiore sono gli attacchi, che possono essere innescati da vari fattori, come lo stress, l'alcol o altre malattie. In cosa consistono questi attacchi? Principalmente nausea, debolezza e dolori. Inutile dire che comunque la mia vita non era proprio perfetta.

Chiusi gli occhi. Mi sentivo stanca. Il giorno precedente ero stata in ospedale per una visita di controllo. Non ero peggiorata, questo era certamente un buon segno. La porfiria è una malattia subdola, fortunatamente io soffrivo di una forma leggera. Avevo visto persone che ne avevano versioni più aggressive, persone che stavano davvero male. Io ero fortunata. E la vita proseguiva, perfino senza Ethan Bryne. Scacciai il pensiero e mi concentrai su quello che avrei dovuto fare. Il ricordo di Lauren con lo sguardo vitreo e le labbra socchiuse m'invase la mente all'improvviso. No, non dovevo pensarci, era solamente doloroso. La nausea aumentò, come l'onda del mare che si solleva. Mi premetti le unghie nei palmi delle mani, per cercare di calmarmi.

Avevo scoperto di essere malata durante una partita di pallavolo. In realtà era già da qualche giorno che provavo una sensazione di malessere generale, ma solo quel terribile pomeriggio ero rimasta esposta alla luce per abbastanza tempo da mostrare i sintomi. Una crisi acuta che mi aveva fatta finire in ospedale. Il modo migliore per diventare una paria. E poi la diagnosi e le conseguenze. Non potermi esporre più come prima alla luce del sole. Una vampira. Buffo, prima di questa storia avevo sempre avuto paura dei vampiri. Esseri che si aggirano di notte, avvolti nel loro mantello, alla ricerca di fanciulle da dissanguare. Ora sono una di loro e ho finalmente compreso. I vampiri hanno solo bisogno di essere amati. Non è questo che in fondo desiderano tutti? Solo l'amore, perfino una parvenza di esso va bene in certe situazioni. Non che abbia avuto un grande numero di corteggiatori neppure prima che la malattia iniziasse. Non avevo mai nemmeno ricevuto un bacio. C'era però una persona di cui ero innamorata. Avvampai al solo pensiero di Ethan Bryne, il sorriso che prometteva guai e gli occhi grigi come la tempesta. Ormai il tempo di pensare a lui era finito. Tutto era finito.

I miei volevano che tornassi in terapia di gruppo. Avete presente il cerchio in cui ognuno parla dei propri problemi? Il dottor Brown era certo che mi avrebbe fatto bene, soprattutto dopo la scomparsa di Lauren. Sostenevano che solo perché ultimamente piangevo quasi tutti i giorni avessi bisogno di aiuto. Folle, no? E poi sarebbe stato un modo per conoscere nuovi amici ed evitare la depressione. Sì, la porfiria e la depressione sono correlate. Suppongo che dover passare molte ore al buio metta di pessimo umore. Non mi piaceva frequentare i ragazzi dell'ospedale. La verità era che con loro l'argomento principale era la malattia. Come sono andate le analisi? Che dieta ti hanno prescritto? Io sono sempre stata una ragazza solare, amante dei discorsi profondi e dell'ironia. Suppongo che in molti credano che la malattia debba trasformarmi nel fantasma di me stessa. Non è così. Io non sono così. L'unica eccezione era Ilary. Noi due avevamo in comune ben due cose, la prima era la diagnosi, per entrambe porfiria, la seconda era il fatto che amavamo sognare. Ilary era l'unica con la quale potevo confidarmi riguardo alla mia vita, senza sentirmi diversa. Per me questo era importante, soprattutto dopo la scomparsa di Lauren.

Sentii dei colpi. M'irrigidii. C'era qualcuno alla porta? Restai in ascolto. Nulla. Era stato il vento? E poi udii nuovamente il rumore. Erano dei colpi, qualcuno stava bussando. Scesi dal letto. Forse mio padre o mia madre avevano dimenticato le chiavi, oppure si trattava di Isabel. Sentii un brivido di freddo, mentre uscivo dalla mia stanza. Mia cugina era il mio peggior incubo. C'era stato un tempo in cui eravamo state amiche, ricordai, scendendo le scale. Isabel aveva perso i genitori quando aveva solo quattordici anni durante un incidente stradale in cui lei era stata ferita. Non siamo una famiglia molto fortunata, eh? Mio padre non aveva avuto dubbi e aveva subito adottato la figlia di sua sorella minore. Io e lei avevamo la stessa età, una cosa che ci aveva unite almeno all'inizio, poi Isabel era diventata per tutti Izzy, l'ape regina del liceo. Mi fermai un istante davanti alla porta d'ingresso. C'era stato un tempo in cui io avevo aiutato Izzy a diventare la reginetta della scuola, poi tutto era finito. Aprii la porta. L'aria calda mi accarezzò il viso. Fuori non c'era nessuno. Cercai di rimanere nell'ombra. Guardai prima da un lato, poi dall'altro. Nessuno. Forse era stato davvero il vento, pensai. L'unica cosa di cui ero felice era che non fosse Isabel. Stavo quasi per chiudere la porta quando vidi che c'era qualcosa per terra. Una lettera. Mi piegai e presi la busta. La mia pelle bruciò leggermente. Rientrai rapidamente, prima di andare a fuoco. Sarebbe stato ironico se fossi diventata cenere sul portico di casa. Chiusi la porta e mi appoggiai ad essa, un vago senso di agitazione che mi metteva di buon umore. Finalmente una distrazione nella mia noiosa vita. Fissai la busta, con un misto di curiosità e di timore. Dubitavo che fosse posta ordinaria, c'era qualcosa di strano. La carta era morbida. L'aprii, le mani leggermente tremanti, il cuore che aumentava i battiti. Ero curiosa, molto curiosa. Estrassi un foglio scritto fitto. La calligrafia era elegante. Poteva essere di Ethan? Un colpo mi fece sobbalzare e voltare prima d'incominciare a leggere, le mani sudate che stringevano forte la lettera.


NOTE DELL'AUTRICE: 

Ciao!

Che ve ne pare della presentazione della protagonista? La tematica è molto delicata, per cui vorrei sapere il vostro parere. Trovate questo capitolo troppo lungo e pesante? Fatemi sapere qualcosa.

La poesia che cito è "La canzone d'amore di Prufrock" di Eliot.

A presto!

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