8.

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Agosto

Oh, no... ancora.

Nereo aprì gli occhi. La stanza era buia, l'aria afosa gli aveva bagnato di nuovo i capelli. Il cuscino era umido, le lenzuola sparse ai piedi del letto, scalciate via durante il sonno.

Sentì Nadia muoversi sul materasso, e allungò un braccio, «Lascia, vado io.»

«Domani tu lavori», rispose la ragazza.

«Prima sei andata te, ora vado io.»

Troncò la conversazione alzandosi. Sospirò e si diresse verso l'angolo della stanza, dove avevano sistemato la piccola culla. Allungò le braccia e si portò sulla spalla la bambina, dirigendosi nel salottino mentre la scuoteva un po'.

Chiuse la porta e accese la luce, «Sei proprio una piccola rompiscatole tu, eh? Te lo dice mai mamma?» sussurrò alla bambina. Si accostò alla finestra, ammirando la strada sotto il piccolo balcone. Piano piano, le piante stavano sparendo.

Per stare vicino alla piccola, Nadia non le stava più curando come prima. I mugugni infantili rimbombarono per la casa, la testolina si poggiò sulla spalla del ragazzo, che con una sola mano le avvolse quasi per intero la schiena.

Si sentì importante.

Era già padre, aveva un lavoro stabile, si stava facendo degli amici e la sua vita stava andando alla grande.

Cosa voglio di più?

*

Dormire, ecco cosa vorrei.

Il pomeriggio in banca quel giorno era davvero difficile da sopportare. A causa del gran caldo, i condizionatori si erano guastati, e avrebbero dovuto attendere il giorno dopo per avere un po' di refrigerio.

Si passò l'ennesimo fazzoletto sul viso. Per fortuna in agosto giravano pochi clienti.

Aveva così potuto legare i capelli in un codino e arrotolare le maniche della camicia sui gomiti.

La seconda della giornata.

Meno male che ho preso l'abitudine di portare un cambio!

Si alzò per chiudere le tende. Era troppo caldo e il sole aveva iniziato ad abbassarsi, entrando nella sua stanza.

L'effetto serra me lo risparmierei, grazie.

Tornò a sedere, stando attento a non poggiare la schiena sulla poltrona di pelle.

Dovrò portarne quattro di camicie, se non si sbrigano a riparare l'aria condizionata!

Sospirò, e il suo telefono squillò di colpo, furioso come non mai.

In quella una collega si affacciò, avvisandolo che avrebbero chiuso prima l'agenzia a causa del guasto. Esultò nell'intimo e si fiondò fuori dalla sua stanza, dirigendosi verso l'auto.

Si accorse solo una volta avviato il motore che il telefono non aveva mai smesso di segnalare chiamate in entrata.

Devo togliermi il vizio del silenzioso.

Sette chiamate senza risposta da parte di Jean.

Rispose appena poté, «Che succede? Tutto bene?»

«No», era Leon.

La confusione si fece spazio nella mente di Nereo, «Perché hai tu il telefono di Jean? Che è successo?»

«Devi... correre in ospedale. Cioè, vai piano. Ti aspettiamo qui.»

*

Non andò piano, per niente.

In cinque minuti era arrivato e aveva parcheggiato, entrando al pronto soccorso. Vide Cass e Ashley sedute nel corridoio, e vi entrò senza nemmeno chiedere informazioni. Avevano il capo chino, Cass teneva la testa fra le mani e stava singhiozzando. Seth se ne stava appoggiata al muro, struccata e col viso sconvolto. Sembrò non accorgersi di lui, lo sguardo fisso verso un punto indefinito.

«Ehi... che succede?»

Nessuna delle ragazze gli rispose.

«Nereo.»

Si voltò. Leon gli stava andando incontro e gli poggiò una mano sulla spalla. Sul viso aveva l'espressione di un condannato a morte.

«Che succede? Dov'è Jean? Che gli è successo?» Nereo parlò molto veloce, e l'altro lo portò via.

«Ti prendo una camomilla.»

«Si può sapere che suc...»

Il ragazzo sgranò gli occhi: di fronte alla macchinetta del caffè, c'era Jean. In piedi, sano, senza nemmeno un graffio.

Nereo aggrottò le sopracciglia, «Ma... non capisco...»

«Siediti.»

Il ragazzo eseguì l'ordine di Leon, raccogliendo tra le mani la bevanda che Jean gli aveva porto. Non capì cosa stesse succedendo.

«Scusa», disse il ragazzino, «non ce la facevo a dirtelo io.»

«Dirmi cosa? Che è successo?»

Leon trasse un profondo respiro, sedendogli vicino, «Vedi, è... successa una cosa.»

«L'ho capito, ma cosa?» Nereo iniziò a scaldarsi.

«Si tratta di Nadia. E di Alexi.»

Jean l'aveva detto in fretta, come se volesse liberarsene.

«Cosa...? Cosa? Che è successo?»

Il ragazzo sentì l'angoscia agguantare lo sterno, stringergli la gabbia toracica. Il fiato iniziò a mancargli.

«C'è stato un'incidente... e... beh...» le parole morirono in bocca a Jean, e Nereo scattò afferrandolo per il bavero della camicia.

«Che cazzo è successo, perdio, dimmelo!»

«Nadia è morta», mormorò Leon.

Il tempo si fermò.

«No, non è possibile», balbettò Nereo, «mi aspettava a casa, non... non doveva fare niente...»

«Doveva andare con le ragazze a vedere l'abito», spiegò Leon, «voleva farti uno scherzo... farti vedere una cosa addosso, e presentarsi con un'altra.»

Non si accorse nemmeno di aver iniziato a piangere. Le lacrime scesero sulla camicia, silenziose, pesanti come fossero fatte di piombo.

Non è vero.
Non è vero.
Non è vero.

Nereo afferrò il telefono, avviando una telefonata. Il cellulare di Nadia squillava libero.

Adesso mi risponderà.
Sì, mi risponderà. E mi dirà che sono un'idiota.
Che è tutto uno scherzo.

Nessuna risposta. Arrivò al quarto squillo.

Adesso mi sveglio.
Stanotte mi sono addormentato sul divano con Alexi in braccio, e sto solo sognando, è un incubo, solo un incubo.

La linea cadde. Strinse i denti e mugugnò, ricomponendo il numero.

Jean abbassò il capo, tirò su col naso. Si asciugò le lacrime sulla manica a sbuffo.

«Nero...» Leon gli prese la mano occupata dal telefono, abbassandola. I due si guardarono, e Nereo lo vide scuotere il capo.

Oh, Dio...

«Leon... ti prego... dimmi che è una cazzata. Dimmi che non è vero, che mi sta facendo uno scherzo.»

«Nereo...»

«Dimmi che si è solo stancata di me e se ne è andata, ma ti prego, per favore, non dirmi che è morta... qualsiasi cosa, ma non dirmi che non esiste più.»

Una porta scorrevole si aprì, attirando l'attenzione di Jean, che corse verso un'infermiera.

«Posso lasciarla a te?» domandò quella, e il ragazzino annuì.

La donna annuì e gli consegnò la carrozzina. Jean guardò Leon, che ricambiò con gli occhi gonfi.

«Ehi», sussurrò il ragazzo, abbracciando l'amico, «c'è qualcuno che ha bisogno di te.»

Nereo alzò lo sguardo e allungò il collo sulla carrozzina. Alexi dormiva beata, come se nulla fosse accaduto.

Appena quattro mesi, e già orfana di madre.

«Mi dispiace», pianse, «mi dispiace tanto, amore di papà...»

«Nero», Leon lo disse piano, «i genitori devono ancora arrivare. Vuoi vederla prima che...?»

«Sì», Nereo annuì energico, «Sì, cazzo.»

Si avviò per il corridoio, seguito dall'amico che gli indicò la stanza giusta.

«Qualsiasi cosa... sono qui fuori.»

Quella porta gli sembrò la bocca dell'inferno. Al di là di essa c'era la dura realtà, la conferma a tutto ciò che gli avevano raccontato, i fatti che non voleva accettare.

Inspirò tremante, e appoggiò la mano sulla maniglia.

La stanza asettica si presentò davanti a lui, vuota e fredda, appena illuminata dalla luce del tramonto.

Il lenzuolo bianco copriva il corpo immobile sul letto, fin sopra la testa, e in lui si accese la speranza che non si trattasse di lei, che ci fosse stato uno sbaglio.

Per saperlo, doveva solo tirare giù quello straccio.

Ne afferrò un lembo, esitò. Avrebbe sopportato la verità?

Lo tirò via.

Il volto di lei si palesò nel pallore della morte. Bianco, cereo, i capelli biondi sparsi sul cuscino appena incrostati di sangue sulla tempia destra.

Non vi era traccia sul viso della sua vitalità, della prepotenza che aveva conosciuto, della tenacia che aveva amato.

Nadia non era più Nadia. Priva delle sue espressioni, del suo respiro.

«Come... com'è potuto accadere?»

Le accarezzò il viso, e il freddo della pelle gli punse i polpastrelli, inaspettato. Non era abituato. Sembrava fatta di marmo.

Una lacrima scivolò su una gota di lei. A testa bassa, Nereo singhiozzava come un bambino.

«E adesso io che faccio?» mormorò, «Come faccio da solo, te lo sei chiesto? Capisci cosa significa andare avanti? Pensare che io sto qui, respiro, vivo, vedo Alexi crescere, e tu... tu sei sottoterra... e stai già iniziando a decomporti?»

Le lacrime diventarono un fiume, si chinò su di lei, baciandole le labbra ghiacciate. L'ultima volta che l'aveva fatto, appena una decina di ore prima, erano così calde, così vive...

«Che ho fatto di male per perderti così?»

Il rumore della porta che si apriva non lo smosse di un millimetro. Non sentì nemmeno la mano di Leon che gli si posava sulla spalla.

«Sono arrivati i genitori», sussurrò, «Alexi ha bisogno di te.»

Questa è... l'ultima volta che la vedo?

Si scrollò di dosso l'amico e si chinò, abbracciando il cadavere. Pianse nell'incavo del suo collo, e quando se ne separò, non riuscì a toglierle gli occhi di dosso.

Addio.

*

Quattro paia di occhi si posarono su di lui, preoccupati, colmi di lacrime pronte a saltare giù. Cass lo abbracciò, piangendo come una fontana.

Ashley gliela staccò di dosso, facendo spazio a Jean, che gli porse Alexi.

«Nero, lo so che...»

Il ragazzo tirò su col naso, «Vorrei andare a lasciarmi morire da qualche parte. Vorrei andare ad Ariccia a buttarmi dal ponte, fare qualsiasi cosa per sparire, però... c'è lei.»

La guardò. La bambina gli sorrise ed emise un urletto eccitato. Le piaceva stare in braccio al padre, e se la caricò sulla spalla, cullandola come nella notte precedente.

Gli tornò alla mente il momento in cui aveva esortato Nadia a dormire, che sarebbe andato lui a calmare la bambina. 

Non ebbe più la forza di pensare a nulla.



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