Capitolo IX

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ՑՑՑ


           Quello che ha stupito di più Joshua, a dire il vero, non è tanto la reazione esageratamente spaventata da parte di entrambi, ma l'enorme differenza che intercorre tra Janine e tutti i morti con cui ha avuto a che fare fino ad ora. Non c'è mai stato un fantasma così poco fantasma come lo è lei, ora che la guarda bene. È pallida, pallidissima, ma a guardarla sotto la luce del sole che irradia la stanza dalla finestrella di vetro, Joshua può vedere le sue guance rosse, bagnate da una spruzzata intensissima di lentiggini. I capelli corti, seppure di un colore opaco, sono rossi, e forse è quella tonalità così intensa che, malgrado il tempo, la fa sembrare così viva. Sotto gli occhi castani ha due piccole borse viola, ma sono molto meno intense di quelle che ha visto in altri defunti – tra cui la raccapricciante versione di se stesso cadavere - nel corso della sua vita e infine, le labbra ancora aperte – ma ora da cui non esce più alcun suono, sottili, rosa, anche se un po' secche e screpolate.

Janine sembra un essere umano come tutti gli altri e se Joshua dovesse usare un termine per definirla, direbbe che sembra cagionevole, tutto qui. Non ha idea di come sia morta, e da quello che Maria gli ha detto non lo sa nemmeno lei, eppure sembra tutt'altro. Non ha paura di lei, sebbene avverta un leggero timore dentro di sé che gli ha rovesciato lo stomaco per un attimo. Forse è anche per colpa di quell'urlo che Robin ha tirato, che è bastato a sciogliere lo stress di entrambi.

Si volta a guardarlo. È ancora seduto a terra, con la schiena contro il muro, che osserva la bibliotecaria, anch'ella impegnata a osservarli entrambi, immobile, ancora accanto alla scrivania. Nessuno rompe il silenzio, nessuno osa dire una sola parola, finché non è la ragazza a parlare, indicando entrambi con un dito tremante.

«Voi... mi vedete?», chiede, e Joshua non sa dire se quello dipinto sul suo viso sia terrore o meraviglia. O forse, a guardarla bene, sembrano entrambe le cose.

«S-sì. Sì, io ti vedo. Anche Robin ti vede», dichiara, poi si volta verso il giovane che annuisce; è sudato, spaventato, ma almeno non urla più. Il suo petto si alza e si abbassa, e Joshua sente il suo sguardo addosso. Si sforza di fingere di non essere l'unico all'apparenza con la situazione sotto controllo. Il che è paradossale. Lui, con una situazione del genere sotto controllo? Ridicolo. «Sei Janine, giusto?»

«Sì», annuisce la giovane, poi fa un piccolo passo avanti, tremolante. Tra i tre sembra quella più intimorita. «Sì, come fate a conoscere il mio nome? Ve lo ha detto qualcuno?»

Joshua apre la bocca e la richiude immediatamente. Si volta verso Robin, facendogli cenno di alzarsi almeno in piedi, visto che sono lì sotto le direttive di sua madre e, sillabando solo con le labbra un «Alzati in piedi», alla fine ottiene per lo meno la sua presenza viva di fianco.

«Sua madre... penso tu la conosca, si chiama Maria Soria. Ci ha mandati qui, per... provare ad aiutarti, anche se non sappiamo ancora riguardo a cosa.»

«Maria!», esclama lei, e ora fa un altro passo avanti, decisamente più sicura di sé e annuisce di nuovo con vigore. Stringe le labbra verso l'interno. Poi sorride. «Sì, la conosco! Era l'unica, almeno fino ad ora, a potermi vedere. Quando è entrata qui e mi ha chiamata, ho reagito più o meno come adesso. Scusate, di solito non mi vede nessuno, sentirmi chiamare dopo così tanto tempo è stato scioccante.»

«Lo è stato anche per noi. Cioè... per noi è la prima volta che interagiamo con qualcuno come te.»

Janine fa un altro passo avanti. Joshua vede chiaramente Robin accennarne uno indietro; gli scocca un'occhiata in tralice e lui si ferma immediatamente. «Capisco. Quindi potete vedere i fantasmi. È una bella notizia, per una come me che se ne sta sempre da sola qui, in biblioteca, a sistemare i libri che le persone non hanno la decenza di mettere a posto!»

«Puoi spostare gli oggetti?», chiede Robin, e a Joshua quasi viene da ridere all'idea che, la sua prima domanda, sia così stupida. Non riesce ancora ad inquadrarlo ma, almeno questo lato così infantile e puro, lo diverte.

Janine sposta lo sguardo su di lui. «Beh, con le mani. Non con il pensiero o con chissà quali capacità. Se mi concentro tantissimo posso toccare le cose solide. Posso anche toccarti la guancia, vuoi provare?», chiede.

Robin sussulta. «No, no, ci credo!»

Joshua assiste a quella scena passando lo sguardo dall'uno all'altro come se stesse guardando una partita di tennis, poi si sofferma a guardare la ragazza, che gli restituisce lo sguardo e sembra sempre più radiosa. È chiaro che abbia passato troppo tempo in solitudine e, per quanto lui ne capisca di psicologia umana, pensa che non debba averle fatto troppo bene all'umore. Perché sì, a quanto pare anche loro provano delle cose, nella loro mole invisibile. Dopotutto non era così anche per George o per altri personaggi assurdi con cui chiacchierava da bambino?

«Hai detto che siete qui per conto di Maria. Come sta? È tantissimo tempo che non viene a trovarmi, mandatele i miei saluti quando la vedrete. È ancora viva, vero?»

«Sta bene ed è ancora viva.» Robin sembra a disagio, nel parlare così di sua madre e si massaggia il collo, imbarazzato. «Non so perché abbia smesso di venire.»

«Penso che abbia a che fare col fatto che non è riuscita ad aiutare Janine», risponde Joshua, poi si rivolge proprio alla giovane bibliotecaria. «In cosa ha fallito? Puoi dircelo?»

Janine esita. Si tartassa le pellicine delle mani, e guarda altrove. Sembra confusa, per un secondo un velo di tristezza le attraversa il viso, poi tenta un sorriso che sa di paura e Joshua la sente tutto dentro.

«Non ricordo come sono morta. Non ricordo chi ero, non ricordo cosa facevo. Mi ricordo solo il mio nome e ho qualche vago ricordo di questo luogo, per il resto non ho altre informazioni a riguardo. Maria voleva farmi passare oltre ma se non ricordo il motivo che mi tiene qui, non ci riuscirò mai.»

«Mi chiedo se magari non sia semplicemente il fatto che non te ne vuoi andare da qui. Forse vuoi restare.»

«Come ti chiami?» Janine incrocia le mani tra loro, sotto al ventre.

«Joshua.»

«Joshua, ascoltami. Se tu vivessi da solo, in un posto dove nessuno può vederti, nessuno può parlarti e non puoi interagire con nessuno, saresti felice?»

Ci pensa un po', perché la risposta sembra semplice. Diavolo, chiunque direbbe che no, non sarebbe felice ma, dopotutto, non è forse quello che ha fatto lui fino ad ora: isolarsi, stare lontano da tutto e tutti, chiudersi in sé stesso e nella sua cameretta, interagendo poco col mondo esterno, con le sole eccezioni di Fred e della nonna? Non è forse la vita che conduce lui ogni dannatissimo giorno? Studia, lavora, cerca di tirare avanti, ma non fa niente per cambiare le cose perché; semplicemente, gli fa comodo che sia così.

Vorrebbe di più, vorrebbe una vita diversa, ma alla fine cosa ha fatto per rovesciarla e darle un senso? Nulla.

Nulla a parte accettare il colloquio con Maria, la compagnia di Robin per quella missione e cercare di sbarazzarsi di quella maledizione che ha addosso sin dalla nascita, che gli permette di vedere gente morta.

«No, non sarei felice», non sono felice.

Lei sembra aver sempre saputo quella risposta, e lascia andare un sospiro che per un attimo le fa alzare il petto, poi fa un altro passo verso di loro e stavolta Robin non indietreggia.

«Abbiamo provato a ricordare chi ero, cosa facevo, chi sono. Non risulta che abbia mai lavorato nessuno qui, con il mio nome. Non ricordo il cognome, non ricordo la mia famiglia, non ricordo assolutamente nulla. Non riesco nemmeno a vedermi riflessa nello specchio, perché quando sei come me non ti restituisce l'immagine.» Janine sospira, poi si volta verso Robin. «Tua madre ha fatto un disegno, per farmi vedere come sono. È sempre stata molto carina con me, portale davvero i miei saluti quando la vedrai.»

Robin non risponde. Annuisce e basta, ma è sempre così cupo quando si parla di sua madre, specie in quei termini così positivi. Joshua lo nota e sceglie la via migliore: virare di nuovo l'argomento sul problema che devono risolvere. Che deve risolvere per ritrovare quel luogo chiamato libertà.

«Un disegno? Ha provato a farlo vedere in giro per capire se qualcuno ti conosceva?»

«Oh, sì», esordisce lei, «Ha provato a farlo vedere a chiunque, specie da queste parti, anche alla nuova bibliotecaria.»

«C'è una bibliotecaria?»

«Non l'avete vista? Di solito è all'entrata che dorme come un ghiro. Non entra quasi mai nessuno, qui.»

«E perché?»

«Dicono che succedono cose strane, che è una biblioteca infestata. Così se ne tengono alla larga», spiega Janine e, di riflesso, guarda verso l'altra ala della stanza. Joshua e Robin fanno lo stesso, e in effetti notano, seduta a una scrivania, una donna piccolissima, con un sacco di capelli bianchi e ricci, rannicchiata e con le braccia conserte, che dorme.

«Sarà ancora viva?», chiede Robin.

«Ti assicuro di sì. Dorme sempre, poi alle sette stacca e se ne va a casa, deduco a dormire ancora. È vedova, suo marito è morto tantissimi anni fa. Nel sonno, sapete? Racconta sempre che vorrebbe morire allo stesso modo.»

«Beh, se continua a passare la vita a dormire è probabile che succederà», commenta Robin, con un grado di tatto così basso che nemmeno Joshua riesce a trattenere un sorriso, ma l'asta dello stupidometro di quel ragazzo si alza ogni volta di più, non appena apre bocca.

«Quindi, c'era una vecchia bibliotecaria. Cosa è successo a quella precedente?»

«Non lo so. Non abbiamo indagato. Penso sia semplicemente andata in pensione o forse è morta, chissà.» Sembra che questo sia tutto ciò che Janine sa su di sé e, in effetti, è molto vago. Non ci sono altre informazioni che la riguardano, a parte un disegno – che chiederà alla signora Soria non appena tornerà per fare rapporto e il fatto che si è risvegliata in quella biblioteca.

«Come mai l'altra area è così in disordine, e questa invece sembra immacolata?», chiede Robin, ad un tratto, lanciando un'occhiata all'ala da dove sono entrati, e Joshua si rende conto che ha ragione. La zona dove si trovano è in ordine; ogni libro è al suo posto, ogni cosa è messa in ordine di genere e di colore, in modo meticoloso. Quasi maniacale. L'altra parte invece è un cumulo di libri accatastati sugli scaffali, messi alla meglio. Ci sono alcune pile di tomi appoggiati per terra, altri su delle sedie. Le scrivanie di studio per i visitatori sono quasi invisibili, pieni di cartacce e oggetti di cancelleria, tra cui delle lampade rotte.

«È vero. Come mai questa differenza.»

«Non ho molto da fare, qui. Così, per passare il tempo, mantengo in ordine questa ala», spiega Janine.

«E l'altra? Di notte, quando la signora se ne va, potresti occupartene. Tanto, se già pensano che il posto sia infestato – e oltretutto non è nemmeno tanto scorretto da dire, puoi passare il tempo così.» Una giusta osservazione, quella di Robin e Joshua si gira a guardarlo, complimentandosi tacitamente per l'ottima domanda ma, il sorriso intenerito che vede sul volto di Janine, quando torna a guardarla, gli fa cambiare subito idea.

«Sarebbe magnifico. Se solo ne avessi la possibilità, metterei a nuovo questo posto. Lo farei brillare, gli darei una nuova identità ma, purtroppo, questo non è possibile. Vi faccio vedere.» Janine inizia a camminare verso di loro e, quando si avvicina, Joshua sente il freddo sulla pelle. È sempre così, quando i morti sono così vicini a lui. Sente il gelo della loro anima, l'assenza del calore umano che hanno perso una volta che la vita è cessata, per loro. Rabbrividisce, si stringe nelle spalle. Robin si abbottona anche l'ultimo bottone della camicia bianca; ha freddo anche lui, anche se non vuole darlo a vedere.

Janine non frena la sua marcia verso l'altra ala della biblioteca solo che, quando sta per superare la soglia dell'arco, si ferma.

«Guardate.» Alza un braccio e lo spinge verso l'altra parte ma, come se una forza invisibile l'avesse colpita, indietreggia barcollando.

Joshua alza le sopracciglia, mentre Robin sussulta. Manca poco che cada di nuovo a terra terrorizzato, proprio come è successo poco fa.

Janine non può oltrepassare quell'area, è prigioniera della zona in cui si trovano, come se un muro invisibile, fatto solo per lei, la obbligasse a restare dove è.

«È assurdo.»

«Gli altri morti possono muoversi dove vogliono?», chiede Robin, e Joshua si rende conto che, in effetti, tra i due è lui quello con più esperienza a riguardo, anche se la cosa non lo tira su affatto.

«Sì, almeno quelli che ho visto io, si spostavano. A volte li vedevo anche in luoghi diversi, io e George ci davamo appuntamento in giardino, a volte fuori scuola... e lui era sempre lì, non mancava mai un appuntamento», ammette.

«George?», domanda Robin, alzando un sopracciglio.

«È una lunga storia.»

«Non ho mai visto nessuno come me, a dire la verità, dunque ho sempre pensato che fosse normale ma Maria mi ha detto che non le è mai successo di vedere una cosa così. Secondo lei c'è qualcosa che mi tiene legata a questo luogo ed è per questo che non posso andare oltre. Non solo nell'aldilà ma anche fuori da questo posto. Mi piacerebbe moltissimo riuscirci ma dubito che se non scopro qualcosa su di me, la cosa sarà presto fattibile, no?», chiede Janine, e in quella domanda c'è quasi una speranza che, uno dei due, le dica che non deve preoccuparsi, che sono lì per risolvere l'arcano e che ci riusciranno. Joshua vorrebbe dirglielo e, egoisticamente, vorrebbe anche riuscirci. Che quella missione vada in porto è di vitale importanza per lei, ma soprattutto per lui. Sarà felice di fare una buona azione ma, se veramente poi sarà libero, la prima cosa che farà sarà cercare di dimenticare tutte quelle assurdità, quella vita perennemente legata tra il mondo dei vivi e quello dei morti.

Ammette che l'incontro con Janine sia stato meglio di quanto potesse credere. Aveva previsto un disastro e invece sono lì, sia lui che Robin, a parlare con un fantasma come se fosse una persona vera.

«Janine, forse ci sarà bisogno di un po' di tempo per indagare ma... riusciremo a trovare una soluzione, d'accordo? Siamo qui per questo.»

«Sì, sono d'accordo. A piccoli passi. Magari potremmo appunto cercare di capire prima perché sei bloccata proprio qui e cosa non ti permette di oltrepassare quell'arco», Robin annuisce tra sé e sé e sembra davvero intenzionato ad andare a fondo a quella storia. Questo un po' lo conforta e un po' gli mette qualche dubbio. Se ha deciso di affiancarlo in quella ricerca, significa che dovrà parlare anche lui con Maria, ammettere di vedere i morti e spiegarle cosa si sono detti con Janine.

Avrà davvero il coraggio di fare quel passo?

«È una buona idea!», esclama Janine e Joshua pensa lo stesso, così si rivolge a Robin.

«È qualcosa. Almeno abbiamo una base da cui partire. Hai qualche idea?»

Robin rivolge ad entrambi un sorriso sornione, poi tira fuori il cellulare e, digitando frenetico sullo schermo, lo gira verso di loro, e mostra un nome e un numero di telefono che ha salvato in rubrica.

Padre Richard.

Il prete di cui gli ha parlato. Il prete. Joshua reprime con difficoltà la necessità di alzare gli occhi al cielo. Quelle figure religiose non gli sono mai piaciute ma, a quanto pare, Robin nutre una fiducia cieca in quell'uomo, dato che è stato il primo a sapere che aveva acquisito la stessa capacità di sua madre. Un uomo di chiesa, qualcuno su cui Joshua non farebbe mai affidamento nemmeno sotto tortura. Ha dei traumi, legati alla religione. Ha dei ricordi orribili di cose che ha visto in chiesa, spesso durante i funerali a cui ha dovuto prendere parte per forza – per esempio quando è morto il nonno, o la zia Sarah.

Non è facile mettere di nuovo piede in un posto così tanto legato alla morte, e spera vivamente di non doverlo fare. Spera che ci pensi Robin, da solo, a fare da mediatore, se davvero questo signore può essere loro d'aiuto.

Dio, fino ad ora, non gli è mai servito a niente, nella vita.

«Parleremo con padre Richard. Lui se ne intende un po' di questa roba. Ha studiato da un prete esorcista.» Robin lo dice come se quello potesse essere un motivo per cui fidarsi quando, invece, l'idea che si stiano per rivolgere all'ennesimo ciarlatano, non lo alletta per niente ma, dopotutto, non sanno davvero da dove iniziare e se almeno uno dei due ha una mezza idea, tanto vale metterla in pratica.

«D'accordo. Allora parleremo con lui e poi torneremo qui, d'accordo?», chiede, e Janine sembra una bomba atomica di emozioni pronta ad esplodere. Sembra elettrizzata ma, allo stesso tempo, triste all'idea che se ne stiano andando e che rimarrà di nuovo sola.

«Va bene, vi aspetto. Tornerete, vero? Anche se non avrete nulla tra le mani?»

Joshua e Robin si guardano e, infine, annuiscono.

«Torneremo. Qualunque cosa accada.»

Così, voltando le spalle alla ragazza, dopo averla salutata – lei ha solo alzato una mano e li ha guardati speranzosa - tornano di nuovo nell'area disordinata della biblioteca. La vecchia alla scrivania ronfa ancora, completamente ignara di quello che si è appena svolto nella sua libreria. Escono, si chiudono la porta gialla alle spalle e sembra quasi che siano tornati nel mondo reale. Difficile credere che, quello che è appena successo, sia successo.

Joshua sente lo sguardo di Robin addosso e glielo restituisce, enigmatico.

«Abbiamo davvero parlato con un morto?»

«Mi fa strano. Si è definita più un fantasma. E sì, abbiamo parlato con un morto.»

«È andata meglio di quanto potessi credere! Alla fine non è stato male.»

«No», sorride Joshua, prima di incamminarsi verso la metropolitana che li riporterà a Bank. «Non è stato male.»

Non lo è stato davvero solo che, ora, ha paura di fallire e di non riuscire a soddisfare il volere dell'entità nello specchio, perdendo la possibilità di sentirsi libero, di ricominciare a vivere e di lasciare, dietro le spalle, quel muro di incubi che lo segue senza mai lasciarlo solo. 

Fine Capitolo IX

(Questo capitolo partecipa al COWT12 (M2) indetto da Lande di Fandom con il prompt "Un luogo chiamato libertà")

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