Peccati di Caffè

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Come tutte le mattine, avevo preso il caffè al banco e mi ero seduto al solito tavolino. Quello che mi permetteva di vedere bene il locale dall'altra parte della strada. Non sono un abitudinario ma, quella che inizialmente era stata solo una coincidenza, a poco a poco, era diventato un piacere. Di quelli che allietano la giornata e ai quali non si rinuncerebbe mai. L'attesa fu minima. Ed eccola lì. Da togliere il fiato come ogni giorno. Tutte le mattine si sedeva al solito posto, vicino alla vetrata che dava sulla strada e sorseggiava lentamente il suo caffè. Da quella posizione potevo vedere il profilo del suo volto. Credo di averne percorso la linea con lo sguardo innumerevoli volte, senza mai stancarmi. Terminato il suo caffè, aspettava un po', come se si preparasse mentalmente alla giornata. Quindi si alzava, sporgendosi leggermente in avanti. Un movimento che inevitabilmente le evidenziava la curva ampia del suo seno, sulla quale adoravo perdermi. Poi si voltava per dirigersi verso la cassa. Passi lenti. Movimenti misurati. Sembrava che il tempo rallentasse per permettermi di apprezzare fino in fondo la dolce linea che la sua vita disegnava scendendo lungo i suoi fianchi, rotondi e generosi. Ogni volta mi rendevo conto che stavo ammirando qualcosa della quale non avrei cambiato nulla.

Frequentavo quel bar tutte le mattine, un appuntamento al quale non riuscivo a rinunciare. Un rituale. Da quando avevo aperto il piccolo negozietto di arte poco distante, avevo provato vari posti. In questo mi ero trovata bene ed ero rimasta. L'energia che sentivo era buona, mi metteva a mio agio. E poi... c'era lui.
Credeva forse non me ne accorgessi? Era sempre al solito tavolo, quando arrivavo. Come una appuntamento silenzioso, sapevamo entrambi che a quell'ora saremmo stati insieme.
E così, i passi misurati, una cura particolare nel vestire, un attento esame dei gesti e delle parole. Tutto era fatto apposta per sembrare naturale sotto il suo sguardo, perché lui potesse continuare a guardarmi e nello stesso tempo ad accarezzarmi con la fantasia. Ne ero sicura: gli accendevo i sensi. Credeva forse che non l'avessi capito?
Mostravo il mio profilo e bevevo il mio caffè con tutta la calma di questo mondo, assaporandone ogni singola goccia.
Lo percepiva, lui, il sapore che riempiva la mia bocca? Percepiva la morbidezza delle mie labbra sul bordo della tazzina?
Non osavo guardare dalla sua parte, ma sapevo che anche quel giorno non mi aveva deluso: lui, sempre nel solito modo. Sempre ad attendermi. Come io attendevo lui.

Entrando nel bar l'olfatto si pervadeva dell'odore di caffè e di pasticceria appena sfornata. In quel profumo, col tempo, avevo imparato a distinguere delle inconfondibili note di cacao e vaniglia. E ogni giorno quell'odore unico mi risvegliava la voglia di vederla. Lei era lì, sempre. Beveva il suo espresso, assaporandone ogni singola goccia, come se traesse linfa vitale da un nettare. Nell'annusare l'invisibile vapore emanato dalla mia tazzina ancora colma, il mio sguardo si fermava sulle sue labbra carnose, leggermente socchiuse. Vederla chiudere gli occhi mentre beveva era come sentirle descrivere il gusto che provava. Da quando l'avevo notata per la prima volta, il mio caffè aveva assunto un sapore speciale, come se prima non l'avessi mai apprezzato fino in fondo.

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C'era qualcosa di vagamente sensuale nel farsi guardare, nel sentire il suo sguardo addosso. Sensuale era il voler tenere quelle distanze che, sì, erano difficili anche per me; ma erano anche essenziali. Distanze che aumentavano la curiosità, l'immaginazione, la certezza che un giorno sarebbero state colmate. Un giorno. Quello giusto: solo allora non si sarebbe potuto fare a meno di toccarsi con mano e guardarsi, faccia a faccia. I vestiti che fino ad allora mi aveva sfiorato solo con gli occhi, me li avrebbe sfilati di dosso, con la poca grazia che un'occasione come quella costringe ad assumere. Oh, quel giorno! Lo assaporavo mordendo il labbro e stringendo le cosce, in uno spasmo involontario, ancora più eccitante perché sotto gli occhi di tutti. Sorrisi. Quanto tempo sarei riuscita ad attendere, ancora? Quanto tempo a sopportare quell'assurda lontananza? Eppure mi frenai nel guardarlo e accavallai la gamba, sapendo che quel semplice gesto avrebbe detto più di mille parole.

Quella mattina, sentivo che osservarla, mentre bevevo il mio caffè, non era più abbastanza. Il piacere di ammirarla, a poco a poco, si era trasformato in un desiderio che premeva prepotente, forte, allo stomaco. Mi dava un tale malessere che sentivo si sarebbe placato solo se fossi andato da lei. Ma quella pulsione dirompente si scontrava con la mia parte razionale. Del resto, non sapevo chi fosse, se fosse già impegnata, cosa facesse. Non sapevo neanche il suo nome e i nostri occhi non si erano mai incrociati. Non credo che mi avesse mai notato. E se poi un approccio maldestro l'avrebbe fatta allontanare? La paura di poter essere respinto mi bloccava le gambe e, al tempo stesso, la voglia di andare da lei mi spaccava lo stomaco.

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Quella notte feci un sogno, talmente vivido da sembrare reale. Ero nella sua stanza, riconosciuta solo perché lui era lì, nel letto, appena coperto dalle lenzuola. In quel dormiveglia che rende tutto possibile. Lentamente presi il tessuto tra le dita, aveva una consistenza strana, quasi impalpabile, come se non esistesse. Glielo scostai lentamente dal corpo, scivolai su di lui e...

...la sua bocca afferrò voluttuosamente il mio labbro inferiore. Le inconfondibili note di vaniglia e cacao colmarono il mio olfatto mentre l'aroma di caffè si diffuse sulla mia lingua non appena sfiorò la sua. Sentii il morbido del suo seno contrastare con il duro dei suoi capezzoli che puntavano sul mio petto. Feci scivolare dolcemente le mani lungo la sua schiena fino ad assaggiare con le dita la forma dei suoi fianchi fantastici...

...che si mossero lentamente, a volergli dimostrare quanto avevo aspettato quel momento. Il sogno mi aiutava a vincere la ritrosia e mi rendeva più audace di quanto non avrei mai osato fare nella realtà. Quel gioco di vedersi e non toccarsi che era la nostra costante, mi aveva fatto scoppiare dalla voglia di essere lì, proprio in quel momento. E mossi ancora il bacino, lasciando scivolare sulle labbra un leggero gemito...

...un movimento dolcissimo del bacino e il calore umido del suo ventre mi avvolse. Mi stavo sciogliendo, seguendo i suoi movimenti lenti. Dolcemente si alzò su di me. Sentii gli zigomi avvampare, ebbro dei suoi seni gonfi che ballavano al suo scivolare umido e ritmato. Il respiro di lei si fece sempre più profondo e il calore si espanse violentemente sotto il mio diaframma...

...e poi scomparve. Sotto di me non c'era più nessuno, se non una debole traccia del suo corpo che godeva di quello che eravamo. Il letto si svuotò e cercai con le dita quel viso che svanì sotto il mio tocco. E poi il nulla.

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Entrai nel bar un po' prima del solito. Il sogno era stato così intenso da sembrare reale. Era come se l'avessi conosciuta e, magicamente, la paura di qualsiasi approccio fosse svanita. Bevvi il mio caffè al bancone e uscii velocemente per andare da lei. Attraversai la strada, ma una brutta sensazione mi assalì: non la vedevo. Non era al suo solito tavolo. Guardai il telefono. Era la solita ora: il "nostro" momento. Entrai nell'altro bar e chiesi di lei al barista. Quest'ultimo mi guardò strano: aveva un'espressione dura in volto che non riuscii a decifrare. Pensai che non mi fossi spiegato ma seccamente rispose: "Sì, ho capito di chi sta parlando, ma oggi non è qui". Me ne andai deluso, con un senso di rimpianto crescente che cominciava a bruciarmi dentro.

Arrivai troppo tardi: lui non era al bar. Era come se avessi corso tutta la notte. Mi avvicinai al bancone, quasi volando, ma qualcosa mi fece scostare, non riuscendo a raggiungere il barista come avrei voluto. E tutto scomparve.

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Arrivai al bar, con una sensazione mista tra ansia e demoralizzazione. Temevo che non fosse lì e, fino all'ultimo, evitai di volgere lo sguardo al di là della strada. Mi sentii sollevato nel vederla al suo solito posto, che beveva il suo caffè. Poi, quel gesto inatteso. Lei si voltò nella mia direzione, mi guardò e sorrise.

Quella mattina riuscii ad arrivare in tempo. Ero già lì quando lo vidi e finalmente gli sorrisi. Sentii il bisogno impellente di non perdere più alcun tempo e darci questa possibilità.

Mi voltai con il dubbio che stesse guardando qualcun altro. Quando le rivolsi nuovamente lo sguardo, il suo volto si illuminò, a sorridere della mia incredulità. Finii velocemente il mio caffè e mi alzai. Dai miei gesti le fu chiaro il mio intento e i suoi occhi gioirono, letteralmente. Uscii dal bar e in quel momento un furgoncino passò per la strada bloccandomi la visuale. Una volta sfilato mi aspettai di vederla, ma era come se fosse svanita. Entrai nel bar e cercai in giro con lo sguardo, ma senza successo. Attesi qualche secondo e, impaziente, andai fuori, evitando di chiedere al barista. Con la coda dell'occhio la vidi alla mia destra che camminava sul marciapiede. Era quasi arrivata in fondo alla via, quando varcò la soglia di una porta. Mi incamminai subito in quella direzione. Era l'entrata di un piccolo negozio d'arte.

Avevo cercato di attirare l'attenzione di Laura, ma non c'ero riuscita. Il negozio aveva un'aria cupa, mancava qualcosa, l'allegria artistica di un modo variegato e lucente.

Guardai all'interno dal vetro ma non riuscii a scorgerla. Decisi di entrare.

Arrivò lui e tutto cambiò.
Vidi che il mondo brillava di colori diversi, dai toni stralunati di una dimensione che non sembrava neanche la mia. O lo era? Vidi dei cartelli sul bancone, avvisavano di una chiusura che sarebbe avvenuta già nel pomeriggio. Vidi lo sguardo che lei diede all'uomo dei miei desideri e vidi il suo che reagì allo stupore e passava a guardare me. Non capiva. E io meno di lui.

La ragazza bionda che stava di spalle dietro al bancone mi accolse con un saluto senza voltarsi. Poi si girò e, non appena mi vide, sgranò gli occhi e si portò la mano alla bocca tirando un respiro profondo che trattenne oltremodo. Un'espressione di puro stupore si dipinse sul suo volto. Non riuscii a capire quella reazione, ma la mia attenzione fu subito presa da lei, che si trovava alla mia destra e mi sorrideva. Ricambiai il sorriso e d'istinto andai verso di lei porgendole la mia mano ma...

...provai ad avvicinarmi e allungai la mano verso la sua. Lo fissai e il mio volto era il riflesso del suo stupore, la mia paura riverberava con la sua: non riuscivamo a toccarci. Più ci provavamo e più quel semplice atto che avevamo desiderato in quelle settimane sembrava impossibile da compiersi. Sprofondai nella disperazione e lui, il negozio, la mia vita sparirono da sotto gli occhi, il mondo crollò sotto i miei piedi.
Tornai al suo fianco. Gli girai intorno mentre lui mi guardava. Nei suoi occhi lessi tutto quello che aveva visto di me e che aveva provato, sentii il desiderio e la voglia di conoscermi e...

...non riuscivamo a toccarci! Letteralmente la mia mano attraversò la sua e avvertii una sensazione di freddo. Sentii una fitta al cuore, come se fosse stato trafitto da mille spilli. Lei cominciò a girarmi intorno, con espressione mista tra lo stupore e la paura. La seguivo con lo sguardo, non capendo nulla di quello a cui stavo assistendo. Il mio stomaco, serrato dallo sgomento, si distese solo nel momento in cui la sua espressione volse al sorriso. Il volto le si illuminò di una luce che trasmetteva pace. Dai suoi occhi riuscivo a percepire tutto il desiderio che provava per me. Tutto senza scambiarci una sola parola. Poi...

«Mi chiamo Nadine» gli dissi.

«Io Daniel» risposi con un filo di voce. E la vidi scemare poco a poco in una luce sempre più intensa, sempre più calda, lasciandosi dietro quelle inconfondibili note di cacao e vaniglia.


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