Jason

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12 dicembre...

Jason e i suoi fratelli, con gli zaini ancora in spalla, fissavano Babbo Natale. Sulle sue ginocchia si alternavano bambini di ogni età, giunti al negozio per confidare all'anziano omone gentile i loro desideri.

«Mamma!» esclamò Terence, il più piccolo dei fratelli Kershaw. «Possiamo andare da Babbo Natale, prima di tornare a casa?»

Louise controllò l'orologio che indossava al polso. «Non preferisci fare pranzo?»

«Possiamo mangiare dopo. Io devo assolutamente parlare con Babbo Natale!»

Louise rivolse un'occhiata ai due figli più grandi: Jason, ormai, aveva dodici anni e forse alla storia di Babbo Natale non ci credeva da tempo; ma Mark, che di anni ne aveva dieci, era ancora convinto che a portare i regali fosse quel simpatico signore vestito di rosso.

«Se i tuoi fratelli non hanno troppi compiti da fare, possiamo fermarci per qualche minuto», acconsentì.

Mark e Terence, colti dall'entusiasmo, saltarono dentro al negozio.

Louise posò una mano sulla spalla di Jason, rimasto immobile davanti alla vetrina.

«Andiamo?»

Il ragazzino scrollò le spalle e seguì la madre. Aveva parecchi compiti da fare, ma fingere che gli importasse qualcosa della scuola pur di evitare quel supplizio non avrebbe avuto alcun senso. In fondo, preferiva rendere felici i fratelli, benché ciò comportasse un sacrificio da parte sua.

Terence lo prese per mano e lo trascinò in fila con lui e Mark. Non si oppose, così da non guastare la gioia ad entrambi, ma dentro di sé non riuscì a trovare neanche un briciolo di buona volontà per affrontare quella pietosa messinscena senza l'espressione contrita di un condannato.

Era molto più alto dei bambini in coda davanti a lui, pertanto poteva vedere l'uomo travestito da Babbo Natale che con sorrisi e immancabili "Oh, oh, oh" prometteva regali di cui poi non si sarebbe curato.

Jason sbuffò. Guardò Terence e Mark, i loro occhi luminosi e la trepidante eccitazione all'idea di incontrare quello che, per loro, era il vero Babbo Natale. Anche lui, qualche anno prima, era così: speranzoso ed ingenuo – che forse erano due facce della stessa medaglia, imprescindibili l'una dall'altra.

"A quest'ora potrei essere già a casa", pensò. "Mangerei e poi... leggerei. Voglio finire Ventimila leghe sotto i mari."

Assorto nelle sue fantasie, non si accorse che stavano procedendo e che presto sarebbe stato il loro turno: stava attraversando gli abissi a bordo del Nautilus, al fianco del Capitano Nemo.

Si riscosse nel momento in cui Terence abbandonò la sua mano per saltare sulle ginocchia di Babbo Natale, al quale donò uno dei suoi affettuosi abbracci.

«Babbo Natale, ti voglio bene!» affermò.

"Sarà triste, quando scoprirà la verità", pensò Jason. La delusione era il primo passo da compiere per diventare grandi. "Vorrei tanto che restasse così piccolo e dolce il più a lungo possibile."

Terence chiese un trenino come regalo e Mark domandò all'anziano se potesse portargli un nuovo pallone. Quando anche il secondo fratello Kershaw scese dalle ginocchia di Babbo Natale, Jason tirò un sospiro di sollievo: finalmente potevano tornare a casa.

«Oh, oh, oh, piccolo amico! Tu non vuoi niente, per Natale?»

Jason rimase rigido e fermo sul posto. In cuor suo, sperò che quelle parole fossero rivolte al bambino rubicondo dietro di lui, ma Terence lo incoraggiò a voltarsi.

«Tocca a te, fratellone!»

Jason supplicò sua madre con un'occhiata, ma Louise scrollò le spalle e sorrise.

Si ritrovò faccia a faccia con il suo nemico. Non poteva scappare né rifiutarsi, perché quella sciocchezza infantile si era trasformata in un obbligo dal quale non poteva sottrarsi: era in trappola.

Babbo Natale si colpì le ginocchia, come ad invitarlo a salirci. Jason avrebbe voluto scoppiare a ridere, ma si trattenne: aveva intercettato il severo sguardo ammonitore di sua madre e, con prontezza, aveva valutato che fosse meglio parlare con quell'uomo travestito ridicolmente, piuttosto che affrontare la furia di Mrs Louise Kershaw.

«Allora, come ti chiami?» domandò Babbo Natale.

Il ragazzino dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non alzare gli occhi al cielo. «Jason Kershaw.»

«E quanti anni hai?»

«Dodici.»

«Oh, allora sei un ometto», commentò l'anziano, con tono paterno.

«Io non credo a Babbo Natale», disse subito, in un sussurro, cosicché soltanto il suo interlocutore potesse udirlo.

Spiazzato dall'inaspettata confessione, l'uomo sgranò gli occhi. «E come mai, allora, sei qui?»

Jason sollevò le spalle. «Mi hanno costretto.»

A Babbo Natale sfuggì una risata divertita. «Devo ammettere che apprezzo la tua sincerità. Ma dimmi un po': perché non ci credi?» gli chiese, tenendo anche lui un tono di voce basso affinché Terence e Mark non sentissero.

«Gli ho chiesto molte volte un regalo che non mi ha mai portato.»

Babbo Natale si grattò il mento, con un'espressione assorta. Jason colse l'occasione per studiare meglio il suo volto, accorgendosi che la barba non era finta. Tutte quelle rughe sulla fronte e attorno agli occhi formavano un reticolo di linee simili a strade che, una volta percorse, avrebbero rivelato ricordi del passato.

"Almeno non hanno assunto un trentenne disoccupato", pensò Jason.

«Dunque, non credi in Babbo Natale. Che regalo non ti ha portato?»

Jason rivolse uno sguardo a sua madre. «Volevo una macchina da scrivere.»

L'anziano sembrò sorpreso dalla rivelazione. «È una richiesta curiosa, da parte di un bambino della tua età.»

«Non sono più un bambino», si risentì Jason, incrociando le braccia sul petto per mostrare il proprio disappunto.

«Hai ragione, perdonami.»

«E comunque, la macchina da scrivere mi serve per i miei racconti.»

«Oh, un giovane scrittore. Di cosa parlano i tuoi racconti?»

Jason sorrise suo malgrado: era raro che qualcuno si interessasse alla sua vena letteraria e quasi mai era stato definito uno scrittore; era un appellativo che si riservava ai veri professionisti, e lui, tutt'al più, tentava con passione e ostinazione a raggiungere l'agognato traguardo: l'approvazione dei genitori.

«Di avventure e magia.»

«E perché, allora, non credi in Babbo Natale? Lui è magico, proprio come i personaggi delle tue storie.»

Il ragazzino increspò le labbra e corrugò la fronte, esasperato. «Appunto! Quello che scrivo io è pura fantasia: non è reale», marcò le ultime parole per essere certo che l'anziano ne afferrasse il senso e smettesse di tediarlo con i suoi sillogismi.

«Va bene», si arrese. Jason avrebbe voluto tirare un sospiro di sollievo, ma si rese conto che sarebbe stato troppo sfacciato, da parte sua. «Non proverò a convincerti di essere Babbo Natale, né ti racconterò la solita storia dell'aiutante perché quello vero è troppo impegnato al Polo Nord.»

Jason era già pronto a scendere dalle ginocchia dell'anziano, quando incrociò lo sguardo della madre. Babbo Natale lo imitò e diede una pacca affettuosa sulla spalla del bambino.

«Eppure, c'è stato un tempo in cui ci hai creduto così tanto da affidargli un desiderio prezioso, non è vero?»

Il ragazzino annuì e distolse gli occhi da Louise. «I miei genitori non sono d'accordo. Le macchine da scrivere sono costose, lo so, ma rinuncerei a tutti i regali del mondo per averne una. Solo che...»

«Solo che?» lo incalzò l'anziano.

Jason sentiva il bisogno di affidare la sua delusione a qualcuno, per condividere il peso con delle spalle che potessero aiutarlo a sostenerlo.

«Non vogliono che io diventi uno scrittore.»

Babbo Natale si grattò il mento, fissando il giovane con malinconia. Di storie, ogni giorno, ne udiva parecchie, e non sempre i bambini gli chiedevano giocattoli a non finire: c'era chi voleva soltanto una carezza, un abbraccio o, come in quel caso, la benedizione dei genitori per essere se stessi ed inseguire i propri desideri.

«Se fossi il vero Babbo Natale, ti direi che farei del mio meglio per accontentarti; ma tu sai che non lo sono, e quindi ti dirò questo: non abbandonare il tuo sogno.»

Jason fissò gli occhi dell'anziano: erano buoni e giocondi e il sorriso, sincero e paterno, gli apparve come un invito a non arrendersi.

«Forse, nella realtà di tutti i giorni non c'è la magia, ma tu puoi crearla con la tua fantasia. Lo scrittore non è forse un mago?»

Sorrise di rimando. «Non ci ho mai pensato...»

«Ora torna a casa e continua a scrivere i tuoi racconti. Sei già uno scrittore e un giorno i tuoi genitori saranno fieri di te.»

Jason abbandonò le sue remore e abbracciò Babbo Natale. «Grazie», sussurrò tra la sua barba; dopodiché scese dalle sue ginocchia e raggiunse i fratellini e la madre.

* * * * *

La sera della Vigilia di Natale

Era tutto pronto: Mark indossava la sua armatura di cartone e Terence aveva sulla testa un buffo cappello a punta blu. Dalle sue spalle scivolava in terra una lunga coperta della medesima tonalità.

Cassidy, la loro cuginetta, si stava sistemando una tiara di plastica tra i ricci scuri come l'ebano. Appollaiata sulla poltrona, aveva l'aria di essere un'anima in pena: era perfettamente calata nella sua parte.

Jason attese pochi istanti prima di apparire davanti alla scena per cui lui, i suoi fratelli e la cugina si erano preparati con serietà e dedizione.

Il ragazzino osservò gli adulti accomodati sulle sedie, disposte in fila di fronte a loro. I cuginetti più piccoli sedevano in braccio ai rispettivi genitori, mentre Jason osservava sua madre e suo padre.

"Chissà se quest'anno capiranno..."

Ogni volta, finivano per litigare. Jason non piangeva davanti a loro: non gli piaceva mostrare agli altri le sue lacrime e preferiva bagnare il cuscino, con la testa affondata contro il guanciale per soffocare la rabbia e la frustrazione.

Cosa c'era di sbagliato, nel suo sogno? Essere felici era forse una colpa?

«La scrittura non ti permetterà di guadagnare per vivere. Dovresti pensare a studiare di più e costruirti le basi per un futuro solido», ripetevano in continuazione Louise e Karl.

A casa Kershaw, i soldi non erano mai tanti: bastavano per vivere dignitosamente e concedersi il lusso di non pensare con pessimismo e angoscia al futuro; eppure, in quella casa non troppo grande dell'East End, marito e moglie si sforzavano per garantire ai figli la possibilità di percorrere strade che per loro erano state irraggiungibili.

Ma Jason non bramava gloria accademica, ricchezza e adorazione da parte del mondo: l'unico percorso che avrebbe voluto intraprendere era lo stesso che i suoi genitori lo invitavano ad abbandonare – per il suo bene, dicevano, benché lui stentasse a crederci.

Nella sua testa germogliavano mille storie e altrettanti personaggi. Reclamavano le sue attenzioni, chiedendo soltanto una cosa: di avere una voce propria per vivere concretamente sulla carta.

Quella sera, però, Jason si sentiva forte come il cavaliere protagonista del suo racconto. Le parole del Babbo Natale incontrato al negozio la settimana precedente avevano risvegliato nel suo cuore la tenacia abbattuta dai continui rifiuti: voleva scrivere, ed era pronto a tutto per realizzare il suo sogno.

«Benvenuti in questa storia», proclamò Jason, con un tono teatrale. Indossava un cilindro e, come Terence, una lunga coperta era il suo mantello. «Io sono il narratore e vi accompagnerò in un mondo sconosciuto. Non abbandonatemi, perché chi si perde nella foresta può incorrere in mille pericoli.»

Allargò le braccia e mostrò i suoi attori, pronti per recitare. Tutti gli anni, poco prima di scartare i regali a mezzanotte, i quattro cugini preparavano alcune scene tratte da un racconto scritto da Jason. Quella volta sarebbe stata più speciale delle precedenti, e il ragazzino voleva che tutto fosse perfetto.

Lasciò il posto ai giovani attori. Terence si fece avanti, seguito da Mark.

«Io sono il cavaliere della Landa dei Sogni», proclamò Mark, con un tono solenne. «Amo la Principessa del Regno della Felicità, ma il Mago dell'Incubo l'ha rinchiusa in una torre.» Indicò la poltrona, dove Cassidy si struggeva con gesti plateali e drammatici.

Terence incrociò le braccia e il cappello cadde in terra. Gli adulti risero sommessamente, ma il piccolo recuperò subito il cappello e, superato l'imbarazzo, estrasse dalla tasca un pennarello marrone.

«Questa è la mia bacchetta!» gridò. «Sono uno stregone potente e ti...» Terence cercò Jason, che mimò le parole successive. «Ti impedirò di sposare la Principessa!»

Agitò in aria la sua bacchetta: Cassidy smise di dimenarsi, si accasciò contro lo schienale della poltrona e finse di dormire.

«La Principessa potrà svegliarsi solo se una persona molto coraggiosa supererà tutte le mie prove!»

Terence saltò in un angolo, lasciando Mark sulla scena. Jason si avvicinò, con un cipiglio serio.

«Il cavaliere della Landa dei Sogni si ritrovò solo nei boschi. Il Mago dell'Incubo era malvagio e odiava la gioia. Non voleva che il cavaliere riuscisse a realizzare il suo più grande desiderio.» Marcò le ultime parole, posando lo sguardo proprio sui suoi genitori. «Sposare la fanciulla di cui era innamorato, e che gli avrebbe donato il prezioso tesoro del suo regno: la felicità

Mark estrasse una spada di cartone dall'armatura. La brandì in aria. «Io affronterò le sfide del Mago, per la mia Principessa!»

«Per fortuna», proseguì Jason, «il cavaliere era ben voluto dalle creature magiche del bosco: con un incantesimo, esse resero la sua spada potente e capace di affrontare persino la sfida più ardua.»

Mark si avvicinò alla poltrona. «Sono giunto alla torre dove il Mago nasconde la mia Principessa!»

Terence, in un agguato, apparve alle sue spalle e il fratello finse di sobbalzare, spaventato.

«Non ti permetterò di... di sconfiggermi!» Gli puntò il pennarello contro il volto. «Non mi piace la felicità, tu devi essere triste!»

Duellarono, a suon di incantesimi e colpi di spada. Alla fine, Mark colpì con delicatezza il fratellino, che con gesti drammatici si prostrò a terra, addolorato.

«Il Cavaliere era riuscito in un'impresa tentata da molti, ma in cui tutti avevano fallito», intervenne Jason. «Il Mago, ormai, non poteva più fare nulla per contrastare i sogni del tenace e prode cavaliere e l'amore tra i due giovani.»

Mark si arrampicò sulla poltrone e prese la mano di Cassidy. Lei si svegliò dal suo sonno.

«La Principessa, spezzato il sortilegio, fu tratta in salvo dal Cavaliere, che la condusse al suo castello. Sogno e Felicità si unirono in matrimonio, dando vita ad un futuro prosperoso per se stessi e per i loro sudditi.»

I fratelli e la cuginetta raggiunsero Jason al centro del salotto. Si presero per mano, ed insieme esclamarono: «E vissero per sempre felici e contenti!»

Un tripudio di applausi investì i quattro giovani, che si inchinarono per accogliere con orgoglio quell'ovazione familiare.

«Era una storia davvero molto bella», disse la madre di Cassidy, accogliendo la figlia tra le sue braccia. «Complimenti, Jason.»

Terence e Mark corsero dai genitori per attirare la loro attenzione, famelici di complimenti per la loro esibizione.

Jason rimase dov'era, a scrutare sua madre e suo padre con speranza. Li aveva osservati mentre narrava il suo racconto, pronto a notare qualunque reazione avesse dipinto i loro volti o percorso i loro corpi.

Avevano colto i velati riferimenti metaforici dietro a quella recita apparentemente innocua – Jason lo sapeva: aveva visto i loro occhi, le loro mani, i minimi movimenti. Ogni dettaglio carpito trasudava la consapevolezza che dietro a quelle parole e in ciascuno dei personaggi ci fosse un significato ben più profondo della realtà percepibile.

Mark e Terence liberarono Karl e Louise per togliersi i costumi indossati durante la recita. I due coniugi si avvicinarono al figlio maggiore.

«Era un bel racconto», esordì il padre, posando una delle sue grandi mani sulla spalla di Jason.

«Come sempre», aggiunse sua madre, dandogli un buffetto amorevole sulla guancia.

Jason li fissò, in attesa che parlassero: voleva che, dopo tanti anni, riconoscessero il suo talento per la potenzialità che rappresentava per lui. Sognava di sentirsi incoraggiato ad inseguire la sua aspirazione, anziché essere sempre rimproverato per avere la testa tra le nuvole e le mani sporche d'inchiostro.

"Mamma, papà: ditemelo. Vi prego."

La speranza gli agitava il cuore e lo stomaco. Aveva l'impressione di essersi sganciato dalla realtà e di trovarsi in un'altra dimensione, tanto era intenso quel sentimento.

Ma non accadde.

I suoi genitori si allontanarono, rivolgendogli un ultimo sorriso affettuoso, senza pronunciare una sola parola.

Le illusioni che aveva costruito con maniacale dovizia crollarono, lasciandogli un immenso vuoto nel cuore. Seguì Louise e Karl con lo sguardo, ancora incredulo e sbigottito: aveva immaginato quel momento così a lungo da dare per scontato che si sarebbe svolto nell'esatta maniera in cui l'aveva fantasticato; e ora che la realtà si palesava dinanzi a lui, con tutta la sua crudele apparenza, credette di non essere in sé.

Le voci dei presenti sfumarono e persino le luci intense sembrarono provenire da lontano. C'erano solo lui e il suo cuore spezzato. La gola gli si serrò per la voglia di piangere, ma si trattenne, abituato a sfogare quel nodo di negatività nell'oscura intimità della notte.

Si riscosse soltanto quando Terence lo prese per mano. «Jason, andiamo! Dobbiamo scartare i regali, forza: è mezzanotte!»

Simulò un sorriso e seguì il fratello. L'entusiasmo aveva abbandonato il suo corpo e si trascinava come un fantoccio privo di volontà, ma ancora capace di agire per ingannare sé e gli altri di stare bene.

Guardò i suoi fratelli e i cugini aprire i propri pacchetti e gioire alla vista dei doni desiderati per tutto l'anno. I loro occhi brillavano e Jason, ferito, li invidiò.

Meritava anche lui quella stessa felicità che illuminava gli altri. Perché non poteva avere quel poco che chiedeva?

«Jason», lo chiamò sua madre. Indicò un pacco di modeste dimensioni. «Questo è per te.» Louise e Karl si presero per mano, guardandosi con complicità. «Buon Natale.»

Jason avrebbe voluto gridare e scoprire le sue ferite, ma tacque: lui era il fratello maggiore, ed era abituato a mostrarsi ragionevole, ingannando tutti di essere forte.

Sarebbe stato davvero così sbagliato concedersi un momento di debolezza? Essere meno ragionevole e chiedere quello che, in fondo, gli spettava?

Erano solo pensieri, possibilità: alla fine, seguitava ad indossare la sua maschera ed obbedire al suo ruolo.

«Grazie», mormorò.

Cercò di afferrare il pacco per spostarlo, ma si rese conto che era troppo pesante per lui. Guardò i genitori, perplesso, ma loro non cessavano di sorridere. Non fece domande e si decise a scartare il suo regalo, rivelando una scatola anonima e marrone, senza scritte né riferimenti a luoghi, oggetti od altro che gli permettesse di capire cosa conteneva.

Applicò quanta più forza possibile per rompere il nastro adesivo e aprì la scatola. Dentro c'erano delle palline di carta straccia. Jason iniziava ad irritarsi: le afferrò con foga, buttandole da parte, finché le sue dita sfiorarono una superficie liscia e metallica. Si bloccò, con il cuore a mille.

Altre palline di carta volarono sul pavimento e, ad un tratto, i presenti videro Jason immobile, con gli occhi fissi sul contenuto della scatola.

«Cos'è?» chiese Mark, allungando il collo per curiosare.

Ma il ragazzino restava in silenzio, con le labbra che tremavano per l'incredulità e le lacrime che spingevano per uscire.

La vista non era sufficiente: allungò le mani, per sfiorare il suo dono e assicurarsi di non sognare.

«La desideravi tanto...» accennò Louise.

Jason si morse il labbro e scattò in piedi. Si precipitò tra le braccia dei genitori, con il coraggio di piangere.

«Mamma... papà... grazie!»

«Vogliamo che tu sia felice, figliolo», disse suo padre.

«Perdonaci se ti abbiamo ostacolato per tutto questo tempo. Volevamo il tuo bene e non ci siamo accorti di quanto ti ferisse la nostra indifferenza per la tua passione», aggiunse sua madre.

Jason sciolse l'abbraccio per guardare entrambi. Cercava nei loro volti la conferma delle loro parole e, trovandola, sorrise.

«Quindi... siete d'accordo? Posso fare lo scrittore?»

Louise intrecciò le sue dita a quelle del figlio. «Non ti serve il nostro permesso per correre verso il tuo sogno.»

Stentava a credere che fosse vero. Un attimo prima la delusione lo dilaniava e, pochi minuti dopo, il desiderio che aveva serbato nel cuore si era compiuto.

«Mamma, papà: è il più bel Natale di tutta la mia vita!» 

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