Rossella

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La notte di Natale...


Rossella sapeva che Babbo Natale, a quell'ora, forse non era ancora passato, ma era troppo curiosa per attendere le prime luci dell'alba. Mancava poco, eppure non riusciva più a restare nel letto e tenere gli occhi chiusi. Il sonno l'aveva ormai lasciata sola, tra le lenzuola attorcigliate tanto si era agitata nelle ore precedenti.

Si districò dal groviglio in cui era incastrata e scese dal letto, con un brivido di adrenalina che le percorse la schiena: si era ripromessa di attendere la mattina per scendere in salotto e scoprire se il suo desiderio fosse stato accolto; tuttavia, ogni volta che giurava a se stessa di frenare la sua curiosità finiva per non tenere fede ai suoi propositi.

Con le pantofole ai piedi, sgattaiolò fuori dalla stanza e scese le scale con la poca luce che proveniva dall'esterno. Giunse di fronte al salotto, con il capo chino: aveva paura a sollevare lo sguardo ed incontrare la poltrona: e se Babbo Natale non avesse esaudito la sua richiesta?

Il coraggio era svanito, scalzato dal dubbio. Aveva atteso per mesi quel momento, e solo ora che lo stava vivendo si rendeva conto di avere davanti a sé un bivio: una strada era la speranza, l'altra la delusione. Affrontare la realtà l'avrebbe costretta a percorrere uno dei due sentieri.

Alla fine, lentamente, si decise ad alzare la testa, con il cuore che infuriava nel suo petto. E...

Vuota.

La poltrona era vuota, così come l'aveva lasciata prima di andare a dormire. I suoi occhi si posarono sull'albero, sotto il quale erano accumulati alcuni pacchetti di varie dimensioni.

Rossella si strinse a sé, come faceva sempre per tenere insieme i pezzi della sua anima che altrimenti sarebbero scivolati via: nella letterina a Babbo Natale aveva espresso la volontà di rinunciare a qualunque regalo, pur di ottenere l'unica cosa che davvero desiderava.

Il suo papà.

Erano passati quasi otto mesi da quando se n'era andato. Non era volato in cielo, questo l'aveva inteso; non aveva però idea di dove si trovasse e, benché avesse capito che non sarebbe tornato, nutriva nel suo cuore lo sciocco desiderio di vederlo varcare la porta. Magari cambiato, addirittura: un papà diverso, che le volesse bene e l'abbracciasse, che le raccontasse la favola della buonanotte e giocasse con lei. Un papà che conservasse i suoi disegni con premura, anziché lasciarli sotto mille altri fogli.

«Babbo Natale...» sussurrò la bambina, con gli occhi lucidi. «Tu sei magico; perché, allora, il mio papà non è qui?»

Si avvicinò alla poltrona, per essere certa che fosse vuota. A nulla valevano i suoi tentativi: la realtà restava immutata, per quanto lei provasse a cambiarla. La sua fantasia non bastava e, malgrado l'ostinazione, nessuno apparve su quei cuscini rosati.

Si arrese all'evidenza, con un nocciolo di delusione e tristezza che si solidificava nel suo petto. Pensò di tornare nella sua stanza per affondare la testa nei guanciali e piangere, ma qualcosa fuori dalla finestra attirò la sua attenzione. Si arrampicò fino a raggiungere il davanzale e spostò le tende, rivelando uno spettacolo inatteso: minuscoli fiocchi di neve, scuri contro il buio della notte, cadevano copiosi dal cielo.

La sua bocca si spalancò per la meraviglia. Con gli occhi seguiva il turbine che danzava disordinatamente fuori dalla finestra e che si depositava a terra. Aguzzò la vista e cercò di distinguere il mare in lontananza, ma la cortina di neve le impediva di cogliere i contorni dell'orizzonte oltre la strada che dalla collina portava alla costa.

Il suo cuore prese a galoppare nel petto per l'eccitazione: da tanto tempo sognava che a Natale nevicasse, e non si aspettava che proprio quell'anno il cielo premiasse la sua perseveranza.

La sua gioia si condensava sul vetro gelido che la separava dall'esterno. Un'enorme appannatura raccoglieva i suoi pensieri: si immaginava a correre sulla neve, non appena la notte avesse ceduto il passo al mattino, pronta a sfidare il gelo dell'inverno con le sue guance paonazze e il cappottino spesso a proteggerla dalle folate di vento.

I suoi occhi verdi scandagliavano la scarsa visuale che le si parava dinanzi, allorché la mente ricostruiva ogni dettaglio che la neve nascondeva: le case arroccate, il porto in lontananza, la città lungo la costa e la spiaggia. La sabbia fine e dorata, ora, era sepolta da un manto bianco e freddo, e il mare avrebbe avuto la stessa sfumatura lattiginosa del cielo.

A Rossella piaceva il mare d'inverno: selvaggio, aspro, quasi furioso. Le onde si schiantavano contro gli scogli senza alcuna pietà, spruzzando schiuma sulla spiaggia. Era facile amarlo quando era bello e maestoso, azzurro e docile; ma in pochi potevano cogliere il fascino di un elemento indomabile, che ruggiva rabbioso e senza controllo.

"Chissà cosa ne pensano le onde, di tutta quella neve. Forse ameranno di più la spiaggia, perché indosserà un abito elegante. Bianco, come un vestito da sposa."

Rossella rivolse un ultimo sguardo adorante alla neve che vorticava in aria. I fiocchi sembravano rincorrersi, alla rinfusa, come bambini che giocano in un cortile.

D'improvviso, la delusione per il regalo tanto desiderato e che non aveva ricevuto si era fatta così lieve da essere svanita. Il suo cuore non era più pesante come un macigno e la tristezza, sciolta dal calore di quel momento, era solo un vago ricordo, già lontano dalla sua mente. Adesso era concentrata sul futuro – un futuro assai vicino: presto, anche se dietro alle nuvole cariche di neve, il sole sarebbe sorto, e un nuovo giorno sarebbe iniziato.

La bimba tornò a letto e si addormentò non appena posò la testa sul cuscino. Sulle labbra aveva un sorriso, dopo tanto tempo.

* * * * *

Le gambe di Rossella dondolavano per l'eccitazione, mentre la macchina procedeva lungo la strada in discesa. Dalla radio, la voce di Bing Crosby intonava una vecchia canzone natalizia, e la bimba e sua madre si erano unite al suo canto.

Giulia osservò la figlia dallo specchietto retrovisore e si compiacque di vederla sorridere serena, con gli occhi rivolti al mare che si delineava alla sua destra. Aveva letto la sua letterina, senza che Rossella se ne accorgesse, e le si era spezzato il cuore all'idea che nessuno dei giocattoli al mondo avrebbe potuto sostituire quell'immenso vuoto che la sua bimba portava nel petto.

Ringraziò il cielo per averle almeno donato un po' di neve. Sapeva che questo avrebbe distratto entrambe dall'assenza di quell'uomo che prima, per quanto già latitante nelle loro vite, c'era.

Giulia voleva dare a Rossella ogni cosa. Se avesse potuto, sarebbe volata nello spazio per prenderle anche la luna, semmai lei l'avesse desiderata. Quel Natale doveva essere speciale, anche se la poltrona solitamente occupata dal marito era vuota.

«Mamma, tu l'hai mai visto il mare con la neve?»

«Solo due volte. Sai cosa ti dico? Oggi è ancora più bello di allora: ha nevicato molto e potremo divertirci sulla spiaggia.»

Rossella batté le mani, felice. Il paesaggio, per quanto familiare, ora ch'era coperto dalla neve aveva l'apparenza di un regno incantato, governato da creature magiche e benevole. Guardando l'orizzonte, immaginò una fata dalla pelle diafana e dai capelli di cristallo.

Descrisse a Giulia le sue fantasie. «Secondo te, la fata della neve è così?» le chiese. Sua madre sapeva tante cose e di sicuro aveva un'idea di come fosse davvero la creatura di cui parlava.

«Penso proprio di sì», confermò, sorridendo della fervida immaginazione della figlia.

Trascorrevano ore a divorare insieme libri e fiabe o a guardare film e cartoni ricchi di personaggi straordinari, dotati di poteri mozzafiato. Rossella sapeva già leggere e spesso Giulia la ritrovava accanto al davanzale, raggomitolata come una gattina, con il naso tuffato tra le pagine di una favola. Eppure, spesso la bambina chiedeva alla madre di leggere per lei, e Giulia non rifiutava mai: amava prendersi cura della figlia e dedicarle tutte le attenzioni che meritava. Sapeva che non sarebbe rimasta piccola per sempre e, prima che quella bimba diventasse una crisalide e si trasformasse in una leggiadra farfalla, voleva godere di ogni momento.

«L'ultima volta che ha nevicato, tu eri davvero piccola», commentò Giulia. «Non te lo puoi ricordare, purtroppo: avevi appena compiuto tre anni.»

«Me lo racconti?» domandò Rossella con curiosità.

Da che ne aveva memoria, aveva visto la neve sfogliando i libri illustrati di sua madre; i film alla televisione, poi, avevano concretizzato quello che le foto non potevano mostrare con pienezza. In lei, era maturata l'idea che vederla fosse magico, un'esperienza mistivs. Ogni inverno fissava lo sguardo al cielo, cercando di cogliere il minimo cambiamento che potesse annunciare un'imminente nevicata.

«Avevi un cappotto molto più grande di te e un cappellino che ti copriva persino gli occhi», ricordò Giulia. «Ti tenevo per mano e tu guardavi con sospetto il suolo innevato sotto ai tuoi piedi. Quando l'hai sentito scricchiolare, ti sei bloccata, ma poi hai preso familiarità e ti sei divertita a giocare.»

Rossella provò ad immaginarsi, e si dispiacque sapendo di non ricordare nemmeno il più piccolo dettaglio di quella prima volta sulla neve.

«Mamma?»

«Dimmi, amore.»

«Questo giorno è speciale. È la mia prima vera neve.»

Non pensava al suo papà lontano, chissà dove e in compagnia di chissà chi – non con lei, che ne soffriva più di quanto mostrasse; non pensava alla delusione che aveva provato quella notte, vedendo la poltrona vuota; quel Natale era solo di Rossella e della sua mamma, e sulla spiaggia innevata avrebbero costruito un ricordo a cui tornare, in futuro.

Raggiunsero il lungomare, dove Giulia posteggiò. Qualcuno passeggiava, sfidando il freddo, ma intorno a loro regnava un silenzio interrotto soltanto dalla risacca melodiosa che ad un ritmo regolare lambiva la sabbia troppo umida perché la neve vi restasse.

Gli occhi di Rossella erano avidi di dettagli. Si lasciava accarezzare dal vento, che trasportava con prepotenza il profumo della salsedine fino alle sue narici. Era una fragranza di cui non si sarebbe mai stancata e che in inverno si faceva più pungente. Respirò a pieni polmoni.

Malgrado il sole si nascondesse dietro a spesse nuvole di un pallido grigio, il candore della neve era abbacinante. Somigliava ad una coperta stesa per riparare la sabbia dalle intemperie.

Il mare era quieto. Rossella pensò che la bellezza doveva aver placato la furia delle onde: accarezzavano la battigia con la dolcezza di un amante. L'acqua, come lei, forse si sentiva in pace dopo tanti tormenti.

Sollevò il capo per scrutare sua madre: sorrideva, con lo sguardo perso oltre l'orizzonte.

La imitò, fissando gli occhi sul punto in cui cielo e mare si sfioravano. Si chiese cosa ci fosse oltre quella distesa immensa e se quel paesaggio a lei ignoto fosse altrettanto straordinario.

"Non c'è posto più bello di casa mia."

La sua casa, là dove dimorava il suo cuore. Non c'era nessun altro luogo in cui avrebbe voluto trovarsi, in quell'istante. Non esistevano Paesi in cui avrebbe sperimentato una felicità simile a quella che provava lì, su quella spiaggia, davanti a quell'elemento mutevole e misterioso.

«Mamma, io vivrò sempre qui. Mi piace il mare, non me ne voglio andare mai», affermò, con l'ingenua sicurezza che bastasse la volontà per vivere a proprio modo.

«Adesso sei piccola. Un giorno potresti cambiare idea.»

Rossella scosse il capo con convinzione. «Io resterò qui per tutta la vita.»

Si sentì come la principessa di un mondo incantato; ma non aveva né regno, né ricchezze: solo la ferma certezza che quel mare fosse suo, e che l'amasse tanto quanto lei amava lui.

Erano simili: mansueti e docili d'aspetto, ma indomiti e ostinati; in profondità, custodivano misteri e relitti, tesori e promesse.

Rossella chiuse gli occhi, percependo sulla pelle la carezza del vento.

«Questo è il Natale più bello del mondo.»

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