SPRING 2 - Rinuncia al tuo nome, Romeo

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"Alla fine del 1200, il Primo Maestro e Fondatore della Congrega, Ramon Llull, tradusse dall'arabo un testo segreto. Al suo interno veniva riportata e analizzata un'antica Profezia, che preannunciava una immensa sventura che avrebbe colpito la Terra in una particolare data astrale. La sua interpretazione ha occupato gli studiosi della Congrega per decenni, ma senza grandi risultati. Dal momento che non erano in grado di stabilire a quale cielo si facesse riferimento, i Maestri hanno cominciato a interessarsi agli altri versi del componimento, dove si parlava dei Quattro Aspetti naturali come degli elementi che avrebbero potuto contrastare la catastrofe, e di Custodi mortali capaci di controllarli. Così sono andati alla ricerca di individui che, per nascita, mostrassero una particolare sensibilità verso uno degli Elementi. Nel tempo li hanno addestrati per affinare questa caratteristica latente e li hanno fatti sposare tra loro, perché la capacità non si perdesse e venisse invece potenziata. Così sono sorte le Quattro Colonne, le Famiglie che per secoli hanno sostenuto la Congrega, fornendo Prescelti oppure Maestri, e... dannazione, mi stai ascoltando?".

Con un balzo, Raven fu addosso a Phoenix, gli strappò dalle orecchie i mini auricolari nascosti dalle lunghe ciocche rosse e li scagliò sull'antico pavimento di marmo. I dispositivi singhiozzarono, emisero un basso brusio, poi si spensero. Phoenix ringraziò Raven con un sogghigno che somigliava a una tagliola.

"Senti, Pigeon...", scandì tranquillo.

"Raven".

"Come ti pare, Coso".

Con la mano aperta, allontanò da sé l'altro che ancora gli stava addosso, poi si levò piano dalla poltrona in cui era stato seduto per tutto il tempo. Era un po' più alto di Raven e più muscoloso, e si portava addosso quell'aspetto selvaggio che creava attorno a lui una sorta di timore. Raven, però, non era tipo da indietreggiare facilmente, soprattutto nei momenti in cui doveva dimostrare chi era il più forte. I due ragazzi si sfidarono con lo sguardo, poi Phoenix sorrise e proseguì con la stessa calma.

"Adesso te la faccio semplice. I miei genitori ci hanno farcito la testa con queste frottole da quando eravamo in fasce. Quell'idiota di mio fratello si è fatto abbindolare, Phoenix di qua e Phoenix di là... ma a me le favolette per bambini non sono mai piaciute. Sono sopravvissuto per ventiquattro anni in quella casa di matti senza farmi contagiare dalla loro follia, quindi scusami, ma è un po' tardi per convincermi dell'esistenza di Babbo Natale e di Harry Potter".

"Rispettiamo il tuo punto di vista, Phoenix", intervenne Eagle, che fino ad allora era rimasto appoggiato al grande davanzale della finestra, "ma sarebbe tutto più facile se tu cominciassi almeno a prendere in considerazione il tuo potere".

Phoenix si girò a guardarlo e per un istante il suo viso si fece serio, perdendo quell'aria da duello che aveva sempre quando si confrontava con Raven.

"Il mio potere?", replicò.

Cacciò fuori dalla tasca dei jeans uno Zippo argentato e lo fece scattare con il pollice, facendo scaturire la fiammella con uno schiocco.

"Così va meglio?".

Eagle scosse la testa e rivolse lo sguardo altrove, per impedirsi di perdere la calma. Raven si passò una mano tra i capelli e cominciò ad agitarsi per la stanza. Discutere con quel tipo sembrava una sfida impossibile, già persa in partenza. Maledisse Swan per la sua cocciutaggine e se stesso per la propria debolezza.

"Va bene", riprovò Eagle dopo un profondo respiro, "lasciamo perdere la teoria. Magari la pratica sul campo è più nelle tue corde, Phoenix".

Appena ebbe pronunciato quell'ultima parola, il ragazzo mutò repentinamente espressione e quasi gli ringhiò contro.

"Charles!", esclamò con violenza. "Io ce l'ho un nome, e mi chiamo Charles!".

"Ora non più", scandì Raven con aria grave.

Con uno scatto secco della mano, Phoenix rovesciò per terra la pila di libri che Raven aveva sistemato sulla scrivania accanto a loro, li scavalcò senza curarsi di calpestare i preziosi volumi che si erano scompaginati ai suoi piedi e si diresse verso la porta.

"Ne ho abbastanza", gli sentirono sbottare quando era ormai oltre la soglia. "Me ne torno a casa".

Raven e Eagle si scambiarono un'occhiata allarmata nel medesimo istante. Si lessero praticamente nel pensiero e, senza nemmeno una parola, schizzarono via andandogli dietro. Sentirono i suoi passi scendere giù per le scale, diretti all'ingresso principale della villa, e si mossero in quella direzione. Quando Phoenix comprese le loro intenzioni, infilò la porta e si precipitò in giardino.

Il sole era calato e tutto era piombato in una bruma bluastra e indistinta. Guidato solo dal suo istinto, il ragazzo iniziò a correre verso il cancello esterno, tagliando tra siepi e vialetti, e distanziando gli inseguitori di parecchi metri.

Raven cominciò a rimuginare qualcosa e lanciò un grido confuso all'indirizzo di Eagle, che gli stava davanti. Quello si arrestò di colpo.

"Flate!", esclamò.

Una raffica di vento colpì Phoenix alle spalle come una staffilata e lo fece finire disteso sul terreno. Raven raggiunse Eagle, che ancora stava prendendo fiato a pochi metri dal fuggitivo.

"Devi fermarlo, mica ammazzarlo", osservò contrariato.

"Ma dai!", sbottò Eagle in risposta. "Non è mai morto nessuno per un capitombolo".

Come volesse dar ragione a quelle parole, Phoenix si sollevò sulle braccia e cercò di rimettersi in piedi per riprendere la fuga.

"Treme!", ordinò Raven senza esitazione.

Il terreno, sotto le ginocchia e le mani di Phoenix, cominciò a smottare, facendogli perdere la presa. Il ragazzo ruzzolò di lato finendo sulla schiena, mentre Raven e Eagle lo tenevano ormai sotto tiro, fissandolo dall'alto come due divinità adirate.

"Voi siete pazzi!", esclamò Phoenix, tra la sorpresa e il terrore. "Pazzi e pericolosi!".

"Pazzi e pericolosi, sì", ripeté Raven. "Quindi forse è meglio se torni dentro con noi e cominci a collaborare".

Tutta la sicurezza e l'audacia esibite da Phoenix fino a quel momento andarono in frantumi come una maschera di terracotta. La tensione dei suoi muscoli cedette di colpo e il ragazzo si accasciò sul vialetto. La sua espressione si indovinava appena nella penombra che avvolgeva il giardino, ma lui si coprì ugualmente il volto con una mano ancora sporca di terriccio. Il tremore del labbro inferiore e della mascella, però, tradivano ugualmente il crollo nervoso che stava tentando di nascondere.

"Sentite", biascicò, come se fosse quasi sul punto di mettersi a piangere, "io voglio solo tornare a casa mia, alla mia cazzo di vita".

Raven e Eagle lo osservarono in silenzio, senza fiatare.

"La mia cazzo di vita, sì", continuò Phoenix. "Nella mia cazzo di città. Che farà pure schifo e sarà un buco dimenticato dal mondo, ma c'è gente che mi vuole bene là, e gente che mi ama. Voglio tornare dalla mia ragazza, sposarla e farci un figlio. Voglio trovare un qualsiasi lavoro di merda e invecchiare così, va bene?".

Eagle si fece di sasso di fronte all'onda emotiva di quelle parole. Restò con gli occhi fissi sul ragazzo, incapace di muovere un muscolo. Raven, al contrario, si chinò, piegò il ginocchio e si curvò sopra il suo viso, non più nascosto dalla mano ma ancora contratto dalla sofferenza.

"Adesso te la faccio io semplice", scandì con tono stranamente suadente. "Tu sei morto".

Phoenix sgranò gli occhi verdi, che brillarono nel buio come quelli di un gatto.

"Morto?", domandò con sgomento.

"Morto", confermò Raven con quella strana dolcezza nella voce, come se stesse spiegando qualcosa di terribile a un bambino. "Da qualche parte, tu sei morto. Un incidente, un malessere improvviso, fai un po' tu. Hanno grande fantasia, da queste parti, e mezzi altrettanto grandi. A quest'ora la tua bara coperta di corone di fiori sarà stata già calata sottoterra con una bella lapide piena di rimpianti, e tutti quelli di cui tu parli, tra qualche tempo, riprenderanno la propria vita e si scorderanno di te".

"Stronzate!", protestò l'altro, con l'ultima stilla di resistenza che restava nel sangue che gli si era gelato.

Con un'alzata di spalle, Raven si levò in piedi, scrollandosi la polvere dal ginocchio, mentre Phoenix passava uno sguardo sconvolto da lui a Eagle, come cercando un appiglio, come se tentasse di svegliarsi da un brutto sogno che stava durando fin troppo.

"Stai dicendo un mucchio di stronzate. Io sono Charles Byrne e...".

"E non esisti più", concluse Raven.

"Lasciatelo stare".

Raven e Eagle si voltarono all'unisono e persino Phoenix si sollevò puntellandosi sulle braccia. La voce di Swan era calata come un coltello a tranciare di netto la discussione, cristallizzando quell'attimo.

Lei si fece avanti lentamente verso il gruppetto che la osservava sorpreso dalla sua apparizione improvvisa. Senza una parola, Eagle e Raven si fecero da parte, lasciandole spazio. Swan fermò i suoi passi a pochi centimetri dai piedi di Phoenix, si piegò appena come il gambo di un fiore e gli offrì la mano.

"Rebecca", scandì con voce ferma.

"Swan, no!", si lasciò sfuggire Eagle a mezza voce, mentre Raven imprecava piano.

L'altro ragazzo la fissò un istante senza capire.

"Il mio nome è Rebecca", chiarì lei, continuando a offrirgli il palmo aperto, senza tentennare.

Phoenix scrutò i suoi occhi chiari, poi le dita sottili ancora tese verso di lui. Qualcosa, nella voce di Swan, lo aveva placato fin quasi a farlo sentire consolato. In quella notte umida di primavera, per un istante ebbe l'impressione di non avere più freddo. Strinse la mano della ragazza e si tirò su dal terreno. Lei lo guardò senza un sorriso, ma la sua espressione era stranamente dolce a dispetto di quell'assenza.

"Adesso vieni dentro, per favore?".

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