2. Il mostro che è in te

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Il sangue ricopriva tutto: la camicia a quadri della vittima, i palmi dei soccorritori, il terreno intorno. La carotide era recisa, la carne del collo maciullata, gli arti erano abbandonati a loro stessi. Le ragazze piangevano addosso ai fidanzati, le sirene della polizia strillavano.

Mi risvegliai con la sensazione di annegare in un fluido carminio, mi sedetti di scatto e strinsi forte le coperte. Percepivo ancora la puzza di letame e quella più rivoltante dei miei succhi gastrici. Ero appassionata di film horror, di scene splatter ne avevo viste a dismisura, eppure non avevo resistito alla realtà. La brillantezza vermiglia di quella linfa vitale mi dilaniava il cervello e rendeva impossibile ricostruire gli eventi con lucidità.

Poncini era... Christian Poncini era... Le sue iridi azzurre distorte dal terrore mi sarebbero venute a trovare ogni sera, a ogni sogno, a ogni incubo. Cos'era accaduto? Non capivo, sembrava... sembrava che...

Un guizzo bianco mi fece trasalire, avevo scordato di essere da Eric e di certo avrei preferito che la nostra prima notte nel medesimo letto non avvenisse dopo un decesso. Non eravamo molto romantici e non avevamo ancora discusso del nostro rapporto, ma questo andava oltre le mie fantasie. Non stavamo riposando, non ci eravamo nemmeno abbracciati. Eravamo rimasti a tremare, a urlare in silenzio, con la luce accesa finché il sonno non ci aveva colti.

Mi avvolsi nel plaid arancione che avevamo sistemato in fondo ai piedi e mi avviai nel corridoio, individuando la sua camicia nel balcone che si affacciava sulla strada. Se ne stava con le mani nelle tasche dei pantaloni che non si era tolto a fissare il cielo. Era una notte di luna nuova, ma c'erano i lampioni a disegnare ombre sul suo viso spigoloso e a farlo assomigliare a un vero vampiro.

«Eric.»

Nessuna risposta, nessun cenno. Avanzai e lasciai che l'aria fredda mi rigenerasse i polmoni.

La città, da là, appariva tranquilla, nulla a che fare con l'orrore a cui avevamo assistito. La villa di fronte con la siepe curata e la veranda colma di decorazioni arancioni e quella di fianco con le galline nell'aia si erano appisolate. Persino i profili delle montagne in lontananza, seppur nella totale oscurità, parevano quieti.

Ma le testimonianze della disgrazia erano sotto il naso. Osservai i solchi delle ruote lasciate nel prato dagli agenti, che non si erano preoccupati delle aiuole della signora Russo, lo scialle della donna che viveva all'angolo della via e che era rimasto a svolazzare alla base di un ciliegio, i bicchieri di carta che nessuno aveva buttato.

Quando mi girai con un brivido verso il biondo, lui mi diede la schiena e un fremito gli scosse le spalle.

«Eric.» Mi avvicinai, sollevai il braccio per sfiorarlo.

«No.»

Sussultai e riabbassai la mano, tenendola chiusa in grembo. Oh, Eric... Lo vidi prendere profondi respiri e alzare di nuovo il volto, come se cercasse di ricacciare indietro le lacrime. Mi si strinse il cuore, non mi era mai apparso tanto indifeso, un bambino davanti alla sua prima morte.

Ignorai il suo rifiuto e gli stritolai il bacino, dandomi della sciocca per non averlo confortato. Ero stata egoista, imprigionata nella mia paura e nel mio dolore.

Di colpo mi ritrovai contro il suo incavo, a tremare insieme a lui. Si ancorò a me come se stessi per sgretolarmi fra le sue braccia. Tremolò, ma non pianse.

«Andiamo dentro.»

Lo tirai e mi assicurai che non inciampasse nel gradino della finestra, lo trascinai sul letto e lo cullai. Gli premetti i polpastrelli sulla fronte affinché la rilassasse, lo baciai sulla bocca calda così che smettesse di contrarre la mascella. Non lo feci mai sentire sbagliato, orribile, un mostro. Sfiorai i capillari che gli adornavano il busto come fossero un'opera d'arte.

«Adesso ci guarderanno male di nuovo» farfugliò a un certo punto contro il mio seno. «Li hai visti gli sguardi dei poliziotti, ci accusavano già. Cazzo, mi sembra di essere tornato al liceo.»

Percepii il suo respiro, che si era appena calmato, accelerare di nuovo e mi mossi per afferrargli il viso. Mi specchiai nei suoi occhi pece, sentendomi annegare nella loro oscurità. «Non succederà, non siamo più bambini.» Comprendevo il suo timore, pure la mia migliore amica era stata sbeffeggiata a causa dei suoi occhi diversi e dei segni rossi che le solcavano la pelle.

Le sue sopracciglia folte si aggrottarono. «È morto un Poncini, un membro della famiglia più anti-vampiri che conosca. Ho paura che la faccenda sia molto più grossa di così.»

Non ebbi il coraggio di insistere contro quella consapevolezza. Non serviva illudersi, eravamo entrambi consci che la teoria che fosse stato un animale a puntare solo ed esattamente il collo non reggesse tanto e che esistessero troppe persone che ancora credevano nella leggenda dei bevitori di sangue.

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro