Il principio

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Modena, 1895

Il corridoio era oscuro e umido, le candele sembravano fiamme infernali e ferivano la vista. Il pavimento era interrotto da buche e cosparso di macchie rossastre, delicate all'esterno e sempre più cremisi all'interno. Nel silenzio riecheggiavano il gocciolio di un tubo che perdeva e il ticchettio di due paia di scarpe.

All'improvviso un singulto. Contro le sbarre di ferro incrostato, diversi corpi accasciati anelavano la morte. Il sangue rappreso imbrattava la loro pelle nuda e si intrecciava con le vene bluastre in una macabra danza, difficile distinguere i capillari dilatati dalle ferite.

Un esile uomo coperto di soli calzoni bianchi, così in contrasto con la sporcizia intorno, era riuscito a infilare la testa tra le spranghe. I suoi capelli, folti e unti di scarlatto, ricadevano disordinati oltre la gabbia. In un angolo, una donna tremava e si copriva il seno.

La puzza di stantio era soffocante, i vassoi colmi di frattaglie maciullate provocavano violenti conati e l'odore acido di papavero bruciava i polmoni.

«Dobbiamo procedere, non si accontenteranno di sapere che ingeriscono qualche pezzo di fegato» dichiarò la figura più alta, un uomo con indosso un camice da dottore. Sollevò la siringa e osservò le bollicine nel liquido, i piccoli occhi neri luccicarono.

L'assistente prelevò un mazzo di chiavi dalla tasca e ne infilò una nella serratura alla sua sinistra. «Il primo soggetto è pronto, signore» sogghignò.

L'altro scoprì i denti appuntiti in un sorriso. «Versi pure lo champagne, cambieremo il mondo.»

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