Capitolo 3: Minutiae

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Minutiae: I piccoli dettagli che rendono una persona ciò che è.

"Puoi calmarti?"

"No! Non posso! Che figura del cazzo, ripeto, del cazzo!"

Crowley stava girando a caso per il piccolo appartamento che divideva con Beelzebub, brandendo nell'aria una matita di grafite come un'arma mortale.

Era stato preso da una crisi isterica particolarmente intensa e non accennava a volersi calmare.

"E che vuoi che sia? Tanto al massimo lo incrocerai una volta ogni tanto, gli sorriderai con tantissimo disagio e non vi parlerete! È una cosa così impossibile da accettare per te?"

"Sì. E lo sai perché? Mh?"

Beelzebub, che era tutta occupata a cospargere di marmellata di ciliegie la sua fetta di pane, lo guardò storto "Non dirmi che ti sei innamorato."

"Ma che innamorato? - la voce di Crowley si alzò di almeno un'ottava - È solo che è... cioè... l'ho visto. E la mia testa ha fatto... ngk... woosh."

"La tua testa ha fatto woosh." ripeté Beelzebub.

Crowley era tornato in casa da forse un'ora. Aveva avuto il tempo di insultarsi da solo per tutto il tragitto da casa di Aziraphale fino alla propria (vivevano letteralmente a due isolati di distanza, sullo stesso lato della strada. Era una disgrazia, o una benedizione, dipendeva dai punti di vista), cambiarsi d'abito e mettere una maglia nera a mezze maniche, vedere che Beelzebub la sera precedente non era morta ma era tornata a casa (chissà come, perché, quando o con chi...) e avere la suddetta crisi di nervi.

E ora parlava di teste che facevano woosh. Non era innamorato, no.

Si era solo preso una gigantesca, enorme sbandata per il ragazzo con cui aveva fatto la figura del barbone.

"E ora cosa faccio?" chiese Crowley, che ogni tanto gettava uno sguardo al suo sketchbook abbandonato dentro lo zainetto aperto. Avrebbe voluto disegnare, ma le sue mani in quei giorni non gli davano la solita soddisfazione.

Aveva il blocco dell'artista. E forse lo avrebbe avuto tutta la vita.

E sarebbe finito a fare il barbone a un angolo della strada con suo padre che lo guardava da lontano e gli diceva Io te l'avevo detto di andare a fare fisica.

Che luminoso futuro il suo! Gioia e positività erano ovunque attorno a lui!

"Se proprio ti vuoi fare quel tizio - disse Beelz, dando il primo morso alla fetta di pane - Perché non vai da lui e ti scusi?"

E affrontare così il viso di quel ragazzo? Sarebbe rimasto incenerito, o sarebbe stato sparato fino a Truro.

"Non ne sono in grado - disse lui subito - Sarebbe anche peggio."

La ragazza alzò gli occhi al cielo, sbuffando sonoramente "Crowley, onestamente. Tu, perché io ti conosco, parlerai di quel Azira-qualcosa per i prossimi sei mesi. E mi romperai i coglioni con le tue crisi esistenziali. Quindi se c'è almeno una possibilità che tu possa sistemare qualcosa ed evitare che io un giorno prenda la tua testolina e la infili nel forno, ti consiglierei di agire."

Il ragazzo dai capelli rossi aggrottò le sopracciglia e vide nell'espressione dell'altra una serietà spaventosa.

"Beh, se la metti così - disse, deglutendo - Forse potrei..."

"No no. Non è che potresti. Devi, se vuoi vivere."

Beelzebub era bassa. Ma era anche terrificante, quando voleva. Ed è proprio per questo che Crowley camminò verso il proprio zainetto, se lo mise sulle spalle ed uscì di casa con la cautela di chi teme di ricevere una pallottola nel petto.

°°°

Crowley era gay, ma era anche stato single per tutti i diciannove anni della sua vita. Allora, esattamente, come aveva capito di esserlo?

Molto semplicemente lo aveva sempre saputo, in fondo al proprio petto. Era sempre stata una verità che aleggiava sulle sue spalle, quella. Una consapevolezza che aveva iniziato a pesare solo quando aveva capito che per tabti lui era da cobsiderarsi sbagliato alla radice. Non aveva mai guardato una donna come guardava un uomo. Non aveva mai fantasticato e pensato di baciare una donna, stringerla, spogliarla e... tutto il resto.

In compenso la stessa cosa era successa con più di un ragazzo.

Nonostante ciò, appunto, niente fidanzati. Anni di consapevolezza, un coming out in un periodo in cui tantissimi omosessuali non realizzavano di esserlo o restavano nascosti nell'ombra e lui, piccolo sfigatino, non aveva mai dato un bacio a nessuno, anche se non lo avrebbe mai ammesso.

Perché? Perché aveva diciannove anni e al liceo era stato circondato da ragazzi che avrebbero vomitato alla sola idea che due uomini stessero anche un poco troppo vicini.

Crowley non veniva dalla strada. Aveva frequentato una scuola privata, piena di ragazzi che avevano tre cose in comune: erano di buona famiglia, avevano carriere di successo già pianificate e lo disprezzavano.

Ci sarebbe solo mancato che lui ne avesse baciato uno. Sarebbe stato ucciso.

E dunque, anche dopo la fine del liceo, anche dopo il coming out, gli era rimasta addosso la paura. La comunità gay era stravagante, a Kensington, gente sicura di sé, senza paura di essere sé stessa. Crowley non aveva ancora osato tanto, non si truccava, non indossava abiti androgini, non si sentiva parte di quel mondo, di quelle persone. Nonostante ciò, in giro si sapeva che lui era gay. Qualcuno ci aveva anche provato.

Ma lui era vagamente, anzi per nulla vagamente, terrorizzato alla sola idea di fare qualsiasi cosa, con chiunque.

Niente storie, niente fidanzati, niente di niente. E quindi, Crowley non aveva mai neanche comprato dei fiori a un ragazzo.

Quella era la prima volta. Certo, volevano essere dei fiori di scuse e ringraziamento, non certo un modo per provarci, perché Crowley era un inetto nel flirt, non avendolo mai praticato.

Crowley, in total black, occhiali da sole sul naso e panico intriso nel DNA, stava camminando con dei fiori di Croco in mano verso la casa da cui era praticamente fuggito qualche ora prima. 

Avvicinandosi notò però che qualcuno era affacciato alla finestra.
Crowley alzò gli occhi verso il cielo e lo vide. Lontano, no, irraggiungibile, affacciato alla finestra. In quel momento si rese conto che non avrebbe trovato il coraggio di parlargli, ma sapeva già che, tornato a casa, avrebbe riempito pagine su pagine del suo quaderno con schizzi confusi del suo viso, dei suoi ricci biondi, dei suoi occhi così chiari e puliti da far invidia al cielo.

Con i gomiti sul davanzale e un libro tra le mani, sembrava un'immagine irreale, proveniente da un altro universo. Il sole riluceva attraverso i suoi capelli chiarissimi in un piccolo quanto meraviglioso spettacolo di luce. Sarebbe stato un peccato suonare al campanello e rovinare quell'immagine perfetta.

Se solo avesse avuto con sé il proprio sketchbook... che effettivamente, si rese conto, lui aveva per davvero con sé.

Invece che proseguire verso la porta, dunque, si sedette sul marciapiede con la stessa cautela di chi cerca di non fare rumore per evitare di spaventare un cerbiatto che si fa i fatti suoi.

Iniziò a disegnare e disegnò, disegnò a lungo quel viso e quei capelli, le ombre e la luce che giocavano con la sua figura paffuta e delicata. Disegno finché il ragazzo non fu tornato dentro casa, come richiamato da qualcosa.

Allora, senza avere il coraggio, in alcun modo, di andare da lui e dargli quei fiori, sentendosi improvvisamente stupido, corse via, come avrebbe fatto un ladro.

Cosa gli era preso, esattamente?

°°°

"Crowley, io so qual è il tuo problema."

"Sì?"

"Hai bisogno di farti una scopata."

Crowley guardò storto verso la propria amica, che si stava preparando per andare a lezione.

"No, non è quello..." Crowley osservava lo sketchbook davanti a sé. Quegli schizzetti che aveva fatto gli sembravano buoni. Almeno, meno indecenti delle cose che aveva prodotto nei due mesi precedenti.

Beelzebub sbuffò "E invece sì - poi rimase zitta per qualche secondo - Ascolta. Tu come... come hai detto che si chiama questo tizio? Aveva un nome strano, vero?"

"Aziraphale - Crowley annuì - E poi parli tu, che ti chiami come un demone..."

"Senti, lo sai che i miei sono dei tipi strani - la ragazza tentennò, passandosi una mano in mezzo ai capelli - Devo dirti una cosa."

Un devo dirti una cosa se pronunciato da Beelzebub poteva voler dire mille cose, non tutte necessariamente buone. Si poteva variare dal ho dato fuoco al tuo letto perché mi sono ricordata che mi devi ancora due sterline, mentre ero ubriaca al una mia amica vuole uscire con te, le dico che sei etero o infrango i suoi sogni?.

"Dimmi..."disse Crowley, turbato dal suo tono serio.

"Ieri sono sparita perché ho visto una mia... ecco, sì una mia conoscenza."

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia "Conoscenza?"

"E credo che forse questa mia conoscenza potrebbe essere il cugino di Aziraphale perché... insomma, quanti hanno un cugino che si chiama così."

"E... quindi...?"

"Io e la mia conoscenza stasera usciamo."

"Quindi in pratica tu ti scopi uno e non me lo dici? Amica di merda - disse Crowley, annuendo - Però continua."

Beelzebub alzò gli occhi al cielo e gli spinse la testa con due dita, fingendo di essere molto offesa "Potremmo... fare una cosa a quattro. CIOÈ UN'USCITA."

"Una... oh no no no no no. Guarda che sarebbe una pessima idea."

"E perché?"

"Perché non ho avuto il coraggio di bussare alla sua porta, come faccio a mangiarci davanti?!"

"Se vuoi lasciar perdere la tua occasione..."

Crowley abbassò lo sguardo sui suoi disegni. Le linee che faceva, le ombre, avevano preso un senso, una certa bellezza. Come se avesse trovato la persona giusta.

"Forse, ecco, posso provare."




Penso si essere impazzita ma mibsto divertendo troppo a scrivere tutto questo aiuto.

Cosa pensate del capitolo? È ok? È brtt? Non lo è? Tell me!

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