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Izuku lo guardava con attenzione, confuso da quel tono improvvisamente riflessivo. Sapeva che Bakugō raramente si mostrava vulnerabile, forse nemmeno con i suoi uomini lo faceva, e, per un momento, si chiese se ci fosse un secondo fine dietro quelle parole. Ma era troppo stanco e provato per analizzare ogni singola frase del contrabbandiere. Forse, in fondo, c'era una parte di lui che voleva davvero capire chi fosse Bakugō e cosa lo avesse portato a diventare il criminale che era.

«Tu pensi che io sia nato con l'intento di diventare un fuorilegge?», continuò Katsuki, con una leggera smorfia di sarcasmo. «I miei genitori non sono persone qualunque. Mia madre è ricca e potente, molto potente. Arrivo da una famiglia fortemente matriarcale e, fin dalla nascita, lei e mio padre hanno deciso ogni singolo dettaglio della mia vita. Perfino il giorno in cui mi avrebbero fatto conoscere la mia promessa sposa. Immagina, Izuku: avevo appena compiuto quattordici anni e già mi stavano preparando per una vita che non volevo, una vita fatta di obblighi e apparenze.».

L'altro lo fissò, incapace di capire dove Katsuki volesse arrivare. «Che c'entra questo adesso?»

Katsuki ridacchiò. «Tutto. All'epoca i miei mi avevano promesso ad una ragazza. Era carina, non lo nego, ma... C'erano i nostri genitori seduti a tavola, discutevano dei nostri futuri come se fossimo bestie da scambiare. Ed è stato allora che ho capito che non potevo vivere quella vita. Eravamo due ragazzini e già dovevamo essere destinati a un futuro di noia e convenzioni sociali. Ma io ho sempre voluto di più. Ho sempre voluto vedere cosa c'era fuori... Capire come funzionava davvero il mondo.»

Izuku, sebbene scettico, non poté fare a meno di essere colpito da quelle parole. «La tua... promessa sposa?» domandò con un filo di voce, come se quella fosse la cosa più lontana dalla realtà che avrebbe mai immaginato per Katsuki.

Katsuki ridacchiò, ma senza la solita arroganza. «Hai presente no? Capelli e occhi castani, un bel corpicino, certo, ma... insipida. Davvero insipida. E con gli occhi persi, quasi quanto i miei. Come perso ero io a quella assurda decisione. Ed era tutto così finto. Tutto così... soffocante.»

Izuku lo fissava, e per un attimo dimenticò la rabbia, la frustrazione e il senso di ingiustizia che provava. C'era qualcosa di tragico, quasi familiare, nel modo in cui Katsuki parlava della sua giovinezza. Anche lui aveva conosciuto una sorta di soffocamento, ma per ragioni completamente diverse.

Il criminale fece una pausa, osservando Izuku con attenzione. «Quella notte, dopo quella cena pomposa in cui i nostri genitori avevano parlato di matrimonio e di eredità, di affari e del nostro futuro, io sono sgattaiolato via. Ho trovato le strade di questa città, le sue ombre. E lì, ho capito che c'era molto di più oltre a ciò che mi veniva imposto. Ho scelto di vivere come volevo, senza regole, senza limiti.»

Izuku rilasciò i pugni e fece un paio di passi avanti, calamitato da quel tono calmo e da quelle iridi vermiglie che osservavano la neve che scendeva piano fuori dalla finestra lercia.

«Così, ho cominciato a sgattaiolare via di casa,» continuò Katsuki, incrociando le braccia dietro la testa mentre parlava con noncuranza. «Di notte. Volevo vedere cosa c'era là fuori, fuori dal mondo dorato che i miei genitori avevano costruito per me. E sai cosa ho trovato? La vera New York. Quella dei vicoli bui, delle strade piene di contrabbandieri, dei bar clandestini. Era sporca, pericolosa, ma era viva. Mi sono trovato immerso in un mondo che mi faceva sentire libero per la prima volta nella mia vita. E così... così ho scelto. Ho scelto quella vita.».

Izuku si appoggiò allo schienale della sedia sgangherata che sostava accanto al letto, torturando il legno con le unghie mentre lo osservava. «Così, da un figlio di papà annoiato sei diventato un contrabbandiere?»

«Non è stato proprio così semplice,» rispose Katsuki con un mezzo sorriso, rivolgendo di nuovo lo sguardo al poliziotto. «Ma sì, in sostanza. Mi sono lasciato trascinare, mi sono fatto strada in quel mondo. E, a differenza di quello che volevano i miei genitori, non mi sono mai sentito più a casa di quanto non mi sentissi là fuori, tra i fuorilegge.»

Il poliziotto restò in silenzio, combattuto. C'era una parte di lui che voleva continuare a vedere Katsuki come il criminale che meritava di essere imprigionato, ma un'altra parte, quella più umana, cominciava a intravedere il giovane dietro la maschera di arroganza e pericolo.

«E tu?» domandò Katsuki, spezzando il breve silenzio. «Non mi hai ancora detto perché te la prendi così tanto con i contrabbandieri. O con me, nello specifico. C'è qualcosa di personale dietro tutto questo, vero?»

Izuku si irrigidì, il cuore che cominciò a battere più forte. Non era pronto per quella conversazione. Non ancora. Ma Katsuki continuava a fissarlo con uno sguardo penetrante, cercando di fargli abbassare la guardia.

E in quel momento, il biondo capì che la chiave per conoscere meglio il suo avversario era farlo parlare di sé, aprire quella corazza che Izuku aveva eretto intorno ai propri sentimenti.

«Perché continui a insistere?» sbottò Izuku, cercando di allontanarsi da una conversazione scomoda. «Non ti basta quello che ti ho detto? Non ti rendi conto che, alla fine, ti sbatterò in prigione?»

Katsuki sorrise, un sorriso ironico e provocatorio. «Forse. Ma tu continui a prenderti cura di me. Continui a darmi una seconda possibilità, anche se non lo ammetti. Quindi, spiegami: qual è il vero motivo per cui fai tutto questo?»

Izuku alzò bruscamente il capo, il viso arrossato, il cuore che batteva troppo forte. «Non è quello che pensi. Non sto cercando di... di...»

Katsuki lo guardava, il sorriso sempre presente sulle labbra, come se avesse appena trovato un nuovo gioco con cui divertirsi.

Izuku sospirò, passando una mano tra i capelli in un gesto nervoso. «Forse si... Forse è davvero qualcosa di personale...», disse a bassa voce, come se avesse paura che, ammettendolo, avrebbe reso tutto troppo reale. Così continuò, cercando di mantenere la voce ferma. «È solo che... senza di te, non sarei mai diventato detective. Ho passato mesi a cercare di catturarti, a rincorrerti per tutta la città. Se tu morissi ora, tutto quello sforzo sarebbe stato vano. E gente innocente non avrebbe giustizia dalla tua incarcerazione.».

Katsuki alzò un sopracciglio, il sorriso che si allargava. «Ah, quindi alla fine non è neppure giustizia! È solo per il tuo orgoglio, eh? Vuoi solo la soddisfazione di arrestarmi tu stesso!»

Izuku strinse i denti, il rossore che gli salì alle guance. «Non è questione di orgoglio!», replicò, forse un po' troppo rapidamente e con troppa enfasi. «È il mio lavoro. Il mio dovere è assicurarmi che tu venga processato, che paghi per quello che hai fatto! Non... Non posso permettermi di fallire, tutto qui!»

Katsuki rise piano, un suono che sembrava più un respiro spezzato. «Ti prendi gioco di me, Midoriya. Sei un poliziotto fin troppo zelante perché io possa crederti. Te l'ho detto: se fosse davvero solo per il tuo lavoro, mi avresti portato direttamente in centrale ieri notte. Ferito o meno.»

Izuku sentì una fitta di rabbia mischiata a imbarazzo. «E invece ti ho portato qui...», disse, quasi tra sé e sé.

«Sei così ossessionato dal tuo lavoro da rischiare la tua vita per salvare quella di un criminale? Non ha senso, Midoriya!». Katsuki non si lasciò intimidire. «Non capisco tutto questo odio verso di noi, contrabbandieri. Facciamo quello che dobbiamo fare per sopravvivere. Non è come se stessimo facendo qualcosa di così terribile!»

Izuku sentì qualcosa spezzarsi dentro di lui. L'odio, la rabbia, il dolore che aveva tenuto segregati per così tanto tempo esplosero, e prima che potesse fermarsi, le parole uscirono in un fiume di emozioni. «Non è terribile?», gridò, la voce incrinata dal dolore. «Non è terribile vendere veleno alla gente? Non hai idea di cosa l'alcol può fare alle persone, a chi sta loro vicino!»

Katsuki rimase senza parole, sorpreso dalla veemenza di Izuku. «Cosa... cosa intendi?», chiese, cercando di capire.

Izuku si prese la testa tra le mani, sentendo le lacrime che minacciavano di scendere. «Mio... mio padre...», cominciò, la voce rotta dal pianto. «Era una brava persona... poi l'alcol l'ha... l'ha rovinato! Capisci?», urlò ancora, le dita ficcate nei capelli che li tiravano in cerca di un dolore diverso. «Poi... Poi è diventato un uomo violento perché beveva! Per colpa del vostro maledetto alcol che non è poi così terribile, no? Picchiava mia madre, picchiava me. E poi è morto. L'alcol l'ha ucciso, Katsuki...», e fece una pausa lunga, torturandosi il labbro tra i denti. «L'alcol ha distrutto la mia famiglia.».

Katsuki restò in silenzio, le parole di Izuku lo avevano come un pugno forte nello stomaco, perché non si era mai fermato a pensare a chi poteva soffrire per colpa del suo lavoro, a chi poteva essere danneggiato dalle sue scelte. Vedeva solo il contrabbando come un mezzo per un fine, un modo per sfuggire alla sua vita precedente, a fare soldi facili nel vendere distillati ai bar clandestini dove altri appartenenti all'alta società si rifugiavano per sfuggire alle loro gabbie dorate.

Non aveva mai pensato ad altre conseguenze.

Izuku si asciugò le sparute lacrime con il dorso della mano, cercando di ricomporsi. «Io... È per questo che sono diventato un poliziotto.», continuò, la voce ancora tremante. «Per fermare la gente come te. Per fare in modo che nessun altro bambino debba crescere come ho fatto io... Per assicurare alla giustizia tutti quelli che vendono alcol, che distruggono vite senza pensarci due volte.»

Katsuki abbassò lo sguardo, sentendo una strana sensazione di colpa mescolata alla compassione. Non aveva mai visto Izuku così vulnerabile, così aperto. Era abituato a vederlo come un nemico, un ostacolo da superare, non come qualcuno che portava un peso così grande.

«Izuku, io...», iniziò Katsuki, ma le parole gli morirono in gola. Non sapeva cosa dire, come scusarsi per qualcosa che non aveva mai davvero considerato.

Izuku si girò verso di lui, gli occhi verdi arrossati e gonfi per lacrime mal trattenute: «Non c'è niente da dire, Katsuki. Ora sai perché faccio quello che faccio. Perché voglio assicurarmi che tu paghi per i tuoi crimini. Non odio te, come persona, ma non posso perdonare quello che fai. Non posso ignorare il danno che causi.»

Katsuki annuì lentamente, sentendo il peso delle parole di Izuku affondare nel suo cuore. «Capisco...», disse piano, il tono più serio di quanto fosse mai stato. «Non posso dire che mi dispiace per quello che ho fatto finora, ma... ora vedo le cose in modo diverso. Non è molto, ma forse è un inizio.»

Izuku annuì, respirando profondamente per calmarsi. «Forse lo è.», mormorò. «Forse lo è...».

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