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Izuku si risvegliò dopo alcune ore, i raggi del sole che filtravano dalle fessure delle imposte chiuse, passando tra la trama lisa e consumata delle tende pesanti alle finestre.

All'inizio, il giovane poliziotto non capì cosa lo avesse svegliato, ma poi udì un gemito debole e il suono di un respiro affannoso. Si girò di scatto e vide Katsuki accanto a lui, la pelle pallida e lucida di sudore, gli occhi semichiusi e il corpo scosso da brividi violenti.

«Cristo!», esclamò Izuku, il cuore che iniziò a battere furiosamente nel petto. Si allungò per toccargli la fronte e sentì immediatamente il calore febbrile che emanava. «Stai bruciando!».

Cercando di non farsi prendere dal panico, Izuku saltò giù dal letto e corse verso il secchio d'acqua che aveva lasciato lontano dalla stufa la notte prima. Immerse uno straccio nell'acqua fredda e poi tornò di corsa da Katsuki, strizzando la pezza di tessuto e posandogliela sulla fronte.

«Dai... Coraggio...», mormorò, più per convincere se stesso che per dare vero sostegno morale all'altro, mentre recuperava un'altra pezza, la bagnava e gli tamponava il viso per abbassare tutto quel calore. Continuò a bagnare lo straccio e a cambiarlo, cercando di abbassare la febbre, mentre il biondino tremava e gemeva di nuovo, cercando di parlare, ma le parole gli si spezzarono in gola.

Izuku capì che aveva bisogno di fare di più. Si alzò di nuovo e si diresse verso l'angolo che aveva allestito accanto alla stufa, come se fosse una piccola cucina, cercando qualcosa che potesse aiutarlo a preparare del cibo per entrambi. Trovò alcune verdure e una cipolla e rapidamente mise tutto a bollire in una pentola d'acqua. Prese un paio di uova e ci fece una frittata strapazzata, abbrustolendo del pane un po' vecchio che aveva conservato e le divorò in fretta, in piedi accanto al fuoco, gli occhi fissi sul ragazzo nel suo letto e le guance gonfie di cibo che a stento riusciva a masticare e mandar giù.

Mentre la zuppa continuava a cuocersi riuscì a lavarsi la faccia, ma la fuliggine era dura da togliere dalle piccole righe d'espressione che vedeva riflesse nello specchio sporco della toletta. Come difficile fu togliere il sangue dalle pieghe delle dita.

Poi, quando lo vide muoversi, tornò da Katsuki con un cucchiaino per dargli di nuovo il laudano. «Devi prenderlo...», disse, aiutandolo a sollevare leggermente la testa e portando il cucchiaino alle sue labbra. Katsuki bevve debolmente, il volto contorto in un'espressione di disgusto, ma non aveva la forza di protestare.

La zuppa ci mise un po' per cuocersi è, una volta pronta, Izuku la versò in una ciotola, assieme a pezzi di verdure tagliate in maniera grossolana, e cercò di farne mangiare qualche cucchiaio a Bakugō, ma il contrabbandiere riusciva a malapena a deglutire e, ogni volta che cercava di parlare, la sua voce era un sussurro rauco e incoerente, la testa che sembrava scoppiare da quanto doleva.

«Shh, non parlare adesso.», disse Izuku, cercando di mantenere la calma. «Devi... Devi conservare le forze. Torno subito, non muoverti, ok?» e lasciò Katsuki a riposare, infilandosi il cappotto scuro e uscì in fretta, dirigendosi verso il droghiere più vicino.

Mentre camminava, la mente continuava a pensare a cosa avrebbe potuto fare per aiutare Katsuki a riprendersi. "Uova... Le uova sono morbide e potrebbero andare bene... E anche un po' di carne...", pensò, sperando che il contrabbandiere avrebbe avuto la forza di mangiare qualcosa di più sostanzioso più tardi. Si frugò nelle tasche, prendendo i pochi spiccioli che stupidamente si era portato dietro, fermandosi in mezzo al marciapiede per contarli. "Pollo. Forse basterà solo del pollo..."

Arrivato nel piccolo negozio del quartiere, comprò rapidamente tutto ciò di cui aveva bisogno: uova fresche, un pezzo di carne magra, alcune verdure e anche dei fiori di camomilla e malva secchi, pensando che avrebbero aiutare Katsuki a riposare, senza eccedere troppo con le medicine del dottore. Pagò il droghiere e tornò velocemente verso casa, il cuore che batteva forte per la preoccupazione.

Quando aprì la porta dell'appartamento, il sangue gli si gelò nelle vene. Katsuki era sveglio, con lo sguardo febbrile e confuso, e stava cercando di alzarsi dal letto, il corpo tremante e debole.

«Che diavolo pensi di fare?!», gridò Izuku, lasciando cadere la sporta con la spesa e correndo verso di lui.

Katsuki alzò lo sguardo, le gambe che gli cedettero sotto il peso mentre provava a sollevarsi e lo fecero ricadere pesantemente sul materasso. «Devo... uscire... non posso... restare qui...», mormorò, il volto contorto dal dolore e dalla frustrazione.

Izuku si piegò su di lui, le mani che tremavano mentre lo spingeva delicatamente giù sul letto. «Non puoi andare da nessuna parte in questo stato!».

Katsuki scosse debolmente la testa, ma non aveva la forza di protestare ulteriormente. «Non ho... bisogno del tuo aiuto... piedipiatti...» sussurrò, la voce che si spezzava.

Izuku lo guardò, con espressione fin troppo seria e determinata. «Lo so che pensi di potercela fare da solo, ma puoi... Morirai di sicuro se vai fuori in queste condizioni...»

«Che... condizioni?»

«Hai praticamente un buco nella gamba! Devi riposare!».

Katsuki abbozzò un sorriso e chiuse gli occhi, il respiro ancora pesante, ma un po' più calmo.

Izuku si alzò, sistemando meglio la coperta su di lui, poi si diresse in quella che neppure poteva definirsi cucina per sistemare ciò che aveva acquistato.

Diede una rapida occhiata al ragazzo che ora si stava mettendo seduto contro la testiera del letto e guardó la zuppa, lasciata a intiepidire accanto alla stufa.

Ne prese una ciotola e la portò a Bakugō, sedendosi sul bordo del letto accanto a lui. «Ecco, forse con le medicine adesso riuscirai a mangiare un po' di più adesso.», disse, spingendo il cucchiaio verso Katsuki.

Il contrabbandiere guardò la zuppa con una smorfia, ma alla fine accettò di mangiare, sorseggiando lentamente il brodo caldo e mangiando qualche patata e carota lessata.

Izuku lo osservava, cercando di capire quali pensieri stessero attraversando la mente dell'altro ragazzo. Dopo qualche istante, prese un respiro profondo e si sedette di fronte a lui, incrociando le braccia, il tono più morbido rispetto alla sua postura. «Posso chiederti una cosa?»

Le iridi sanguigne di Katsuki sembrarono trapassargli il cranio, tanto intenso era il suo sguardo. «Ho la facoltà di dire di no, forse?»

«Perché hai scelto questa strada? Perché diventare un... contrabbandiere di alcol?». Izuku aveva continuato, ricambiando lo sguardo che lui gli rivolgeva con la medesima intensità.

Katsuki, che stava invece cercando di concentrarsi sulla zuppa e sul capire cosa non andasse in quella pietanza così sospetta, alzò lo sguardo con un'espressione che mischiava irritazione e sorpresa. «E a te cosa importa?», rispose bruscamente. «Non sono affari tuoi.»

Izuku non si lasciò scoraggiare. «Forse non lo sono. Credimi.».

«Cos'è? Un interrogatorio?».

«In questo momento sono solo curioso. E non sono in uniforme.»

Katsuki lo fissò per un lungo momento, osservando il maglione pesante e i pantaloni di lana, entrambi di un color marrone caldo, che facevano risaltare gli occhi del ragazzo in una maniera così sfacciata che il criminale pensò che fosse quasi attraente con quell'espressione serafica sul volto. Stava anche valutando se valesse davvero la pena rispondere.

Alla fine, sospirò, passando una mano tra i capelli biondi disordinati, in un gesto che ripeteva spesso inconsciamente quando si sentiva troppo vulnerabile in certe situazioni. « Imiei genitori sono ricchi.», cominciò lentamente, quasi come se le parole gli venissero fuori in modo naturale, non estratte a forza. E non sapeva bene perché aveva accettato di rispondere. «Gente dell'alta società, con tutte le aspettative e le regole che ne derivano.».

Izuku ascoltava attentamente, senza interrompere.

«Da bambino mi sono sempre sentito soffocato da quell'ambiente: tutto era controllato, deciso per me. Non c'era spazio per essere... me stesso.»

Katsuki fece una pausa, come se stesse raccogliendo i pensieri. «Così ho iniziato a ribellarmi.», continuò: «Mi sono messo nei guai... Ho cominciato a frequentare gente che i miei genitori avrebbero disprezzato solo per far loro un torto. Per fargliela pagare, capisci?»

Izuku annuì lentamente, cercando di immaginare quella vita di oppressione mascherata da privilegio. «Capisco. Più o meno...» disse piano. «Deve essere stato difficile sentirsi intrappolato in quel modo.».

Katsuki scosse la testa, con un sorrisetto amaro sulle labbra. «Difficile? Forse. Ma alla fine, ho scelto io di seguire questa strada. Non sono stati i miei genitori, non è stato l'ambiente in cui ho vissuto. Sono stato io.»

Izuku rifletté su quelle parole, poi decise di condividere un po' della sua storia. «Vedi...», cominciò: «Io vengo da una situazione completamente diversa. Sono cresciuto da solo con mia madre. Lei ha sempre lavorato sodo per mantenerci, facendo più lavori per riuscire a tirare avanti... E tutti decorosi, sia chiaro!», precisò, come se lo sguardo affilato di Bakugō nascondesse malevole illazioni. «Non siamo mai stati ricchi, ma ha fatto del suo meglio per darmi una buona vita. Ora... Ora le mando dei soldi quando posso, per aiutarla un po'.»

Katsuki lo guardò, leggermente sorpreso: «E questo cosa c'entra?», chiese, la sua voce meno aspra di prima.

Izuku sorrise leggermente, con un'espressione riflessiva. «Beh, sai, guardando le nostre vite... i nostri ruoli potrebbero tranquillamente essere invertiti. Tu, cresciuto in una famiglia ricca, ti sei ribellato e hai preso la strada del crimine. Io, invece, venendo da una situazione più difficile, ho scelto di diventare un poliziotto, di cercare di fare la cosa giusta.»

Katsuki scosse la testa, il sorriso che si allargava un po'. «Non è così semplice, Midoriya. L'ambiente può influenzare una persona, ma non la definisce. Siamo noi a scegliere chi vogliamo essere. Non importa da dove veniamo o cosa abbiamo subíto. Ognuno di noi forgia il proprio futuro, il proprio destino.»

Izuku annuì, impressionato dalla profondità delle parole di Katsuki. «Hai ragione...», ammise sommessamente. «E forse è per questo che non riesco a odiarti, nonostante tutto.».

«Ah no? Eppure sono uno dei peggiori criminali della città! Lo dicono pure gli strilloni, no?»

Izuku abbozzò un sorriso amaro. «Perché ho capito che c'è di più in te di quanto sembri.»

Katsuki sbuffò leggermente, ma il suo sguardo si ammorbidì un poco. «Non mi serve la tua compassione, sbirro.» disse, ma senza il solito astio. «Solo... fai quello che devi fare. E io farò lo stesso.»

Izuku sorrise, prendendo la ciotola di zuppa ormai finita e alzandosi per lasciare riposare Katsuki. «Va bene...», disse piano. «Per ora, pensa solo a non morire.»

«Basta che cucini meglio e rimarrò in vita.», rispose il biondo con una punta di divertimento.

«Ehi! Certo che sei un ingrato!».

Katsuki ridacchiò e chiuse gli occhi, apparentemente troppo stanco per rispondere.

Izuku lo osservò per un attimo, poi iniziò a preparare il cibo che aveva comprato, determinato a fare tutto il possibile per aiutarlo a rimettersi in piedi.

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