Capitolo 14

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Quanto tempo era passato? Due. Forse quattro... o addirittura cinque minuti. Non sapeva dirlo con precisione, giacché starsene lì sotto era così rilassante che le faceva perdere la cognizione del tempo.

Accidenti!

Con un gesto rapido si tirò in su col busto, riemergendo dal fondo della vasca colma d'acqua. Si passò una mano sugli occhi, tornando a respirare regolarmente. Strabuzzando le palpebre umide, Amelia si guardò intorno per la piccola stanza da bagno. Niente. Per quanto poteva concentrarsi, riuscire a memorizzare il tempo sott'acqua era praticamente impossibile. Almeno per una come lei che si rilassava in pochissimi secondi, cullata dalla dolcezza e dalla tranquillità che si respirava lì sotto.

Si tirò ancora più su, posizionando il collo fin sopra l'orlo della grande curva della vasca, avvertendo subito il contatto freddo con l'acciaio zincato. Alzò gli occhi al cielo, decidendo di testa sua che prima o poi avrebbe dovuto fare un salto al mare, magari alla spiaggia di City Island. Quel posto le piaceva, le trasmetteva una tranquillità che raramente era presente lì a Riverdale. Avrebbe chiesto conferma più tardi a Raissa. Quella mattina l'aveva vista parecchio agitata, tanto che a malapena aveva risposto al suo buongiorno. Stessa cosa poteva dirsi di Leonard. Non riusciva ancora a parlare in modo serio con suo fratello. Quella distanza, sebbene misera, le metteva una strana angoscia addosso. Era come se avvertiva una crepatura nel loro rapporto fraterno. Non ricordava, infatti, un solo giorno che suo fratello l'aveva ignorata. Si chiese perché non veniva da lei a dirle ciò che lo tormentava, come era sempre successo da quando aveva l'età della ragione.

Liberò nella piccola stanza un sospiro sconsolato. Avrebbe chiesto a Raissa anche questo, più tardi. Dalla sua postazione, intanto, si godette i rami che ondeggiavano fuori dalla finestra, proprio davanti a lei. Il canto degli uccelli suggeriva dei giorni ancora soleggiati, con suo sommo sollievo. Accantonando per un attimo i turbamenti del fratello maggiore, Amelia immaginò la giornata del giorno dopo, desiderando destarsi dalla beatitudine dell'acqua solo al calar della sera del nuovo dì. Il volto di Cameron Mendel le si materializzò davanti agli occhi. Lo vide sulla soglia della sua casa, col berretto in mano e l'espressione composta che solo un soldato può avere, con l'aggiunta della sua sfacciataggine. Ridacchiò da sola, sbattendo un piede nell'acqua facendo alzare alcune gocce.

Il suo corpo sarebbe stato a contatto con il suo, sul monoplano, e avrebbero sorvolato insieme mezza Riverdale. Dove l'avrebbe portata la sua prima lezione pratica? Immaginò la sensazione di vedere ogni cosa dall'alto, la punta degli alberi, i tetti delle case, la gente che camminava, i cavalli, le auto. Ogni minima cosa sarebbe passata sotto di lei. E Cameron avrebbe guidato ogni sua mossa, avrebbe vegliato su di lei e le sue abilità da principiante nell'aviazione. Nuovamente, un calore improvviso le infiammò le guance, con tutto che era sommersa dall'acqua. Lo sentì ancora più vivo e chiaro, stendersi dal viso fino al petto, per poi proseguire verso il basso, avvolgendola completamente. Strinse le gambe con prepotenza, chiudendo con forza gli occhi. Sobbalzò, però, quando udì qualcuno bussare insistentemente alla porta.

"Mrs. Putnam! State bene? Rispondete!" La voce di Adelle tuonò così forte che stavolta fu impossibile non sentirla.

"Sì, sto bene." Urlò di rimando la giovane, sperando di potersi concedersi ancora qualche minuto in solitudine.

"Tra cinque minuti esatti torno da voi e pretendo di trovarvi già fuori di lì. Ordini di vostra madre." Annunciò, prima di sentire i suoi passi allontanarsi sempre di più.

Amelia, stavolta, sbuffò sonoramente.

Era contenta che sua madre iniziava a metabolizzare il dolore, dopo così tante settimane passate in solitudine senza parlare con nessuno, ma era necessario che ricominciasse a darle degli ordini? Ormai non era più una bambina. Anche perché, riflesso nello specchio sopra il cassettone in noce, non era proprio il corpo di una fanciulla quello che vedeva. Aveva diciassette anni e le sue forme avevano iniziato a formarsi già da qualche tempo. Benché il suo volto da bambola di porcellana non era mutato tanto, il suo fisico aveva fatto di testa propria. Era snella, neanche un filino di pancia sotto il piccolo seno. Forse poteva considerarsi un po' piena alle braccia e alle cosce, ma era una pienezza che a lei piaceva. Lei si piaceva esattamente così com'era. Non aveva grandi occhioni azzurri come Carrie, ma il suo taglio si adattava perfettamente al suo viso, alla sua bocca piccola e al naso dalla punta all'insù.

Sorrise nella sua solitudine, venendo nuovamente interrotta da Adelle che stavolta fece irruzione nella stanza da bagno.

"Non si usa più bussare? Non sono passati cinque minuti!" Esclamò irritata Amelia, avvolgendosi con un telo per asciugarsi.

"Perdonatemi, mrs. Putnam. È appena arrivata una missiva per lei da New York."

Sua zia non aveva mai scritto, solitamente prendeva il primo mezzo disponibile e si precipitava lì. Amelia guardò ancora interrogativa la domestica, prima di congedarla. "Grazie, Adelle. Adesso vado."

"È sulla vostra scrivania. Vi ho anche preparato l'abito sul vostro letto, insieme alla biancheria." Disse, prima di lasciare la padrona da sola ad asciugarsi.

Amelia la guardò con gratitudine. Adelle era un angelo e serviva la sua famiglia da molti anni e anche se a volte risultava invadente e troppo autoritaria, svolgeva in modo eccellente il suo lavoro. Mai come Tilla, invece, che sapeva assumere il tono di un generale quando ci si metteva, specialmente se era sotto ordine di mrs. Eleanor Putnam.

Dieci minuti dopo si ritrovò a mordicchiarsi le unghie dinanzi alla missiva inviatale da New York. Aveva letto il suo contenuto più volte, dopo essersi vestita di un abito semplice, del colore della carta da zucchero, con lo scollo a U a coprirle il seno e parte del petto. Due linee bianche, divise tra loro, attraversavano l'intero tessuto per congiungersi all'orlo della gonna, dove vi erano disegnate, su una veletta, delle piccole rose. Le maniche erano state sostituire da dei nastrini bianchi sulle spalline, gli stessi che adornavano i capelli -ancora bagnati- ad entrambi i lati, legando solo due ciocche e lasciando al vento ciò che rimaneva della sua chioma dorata.

Gli occhi chiari si posarono ancora tra le poche righe messe sulla carta. Mrs. Ferrars le chiedeva se c'erano novità e se era riuscita a scoprire qualcosa su Roges e sulla morte di Samuel. In quel momento si rese conto di aver perso di vista il suo vero obiettivo, rammentando a sé stessa che fino a quindici minuti fa fantasticava su come sarebbe stato bello volare insieme a Cameron sul suo monoplano. Avrebbe dovuto farsi dire qualcosa, usare più astuzia, e non pendere di certo dalle sue labbra.

Amelia sospirò, riponendo la lettera in un cassetto della sua scrivania affinché nessuno potesse trovarla. Difficilmente avrebbe potuto dare una giustificazione valida a quella corrispondenza. Cosa avrebbe potuto risponderle? Non poteva scriverle che non aveva trovato nulla, non poteva rifilarle una bugia. Avrebbe preso solo del tempo, quello necessario per trovare le risposte che cercava.

Domani, si disse, le avrebbe avute.

Stava per prendere un foglio di carta nuovo per risponderle, quando sentì suonare alla porta. Curiosa, sbriciò fuori dalla finestra ma non riuscì a vedere nulla.

Maledetto balcone!

Si precipitò fuori dalla sua stanza, incontrando sulle scale Adelle e Carin. Entrambe stavano sgomitando per accogliere gli ospiti alla porta. Scese nell'atrio subito dopo di loro, incontrando la figura di Raissa, splendida in un modello autunnale che avevano comprato insieme, qualche settimana prima, lì a Riverdale. Il rosa pastello si sposava dannatamente bene con il bronzo che disegnava sul corpetto dei fiori. Sulla gonna dei pois piccoli venivano circondati da doppi ricami che formavano delle rose verso l'orlo. Benché la giovane cognata brillasse di fascino straniero, sul suo volto vi era un'ombra cupa che sembrava minacciare la sua allegria.

Le due donne rimasero decisamente sorprese quando, sulla soglia della porta, tre marines fecero la loro comparsa. Il tenente generale Andrew Lovett dominava la piccola fila, entrando per primo col berretto in mano, e fu seguito subito dal maggiore Cameron Mendel e da Rupert Sunford. Due su tre avevano un sorriso a trentadue denti dipinto in volto. Uno di loro, invece, sembrava dannatamente a disagio. Il maggiore colse subito lo sguardo interrogativo di Amelia sulle scale ma non fece alcun cenno. Si limitò a lanciare uno sguardo mortificato, tanto che la giovane scese gli ultimi gradini reggendosi al corrimano per paura di cadere.

Non riusciva a capire perché avesse uno sguardo così perso, a differenza dei suoi compagni che sembravano molto allegri.

"Chiedo perdono, Signore, se siamo venuti senza avvisare." Prese la parola il tenente generale, guardando prima Raissa e poi Amelia. Il suo sguardo, però, tornò sulla prima. "Cercavo mr. Putnam."

"Il Signor Daniel è ancora al giornale. Rincasa piuttosto tardi, verso sera." Rispose Raissa, con un tono non proprio gentile, ma freddo e sbrigativo. Sembrava avere una certa fretta nel mandarli via.

"Oh no, Signora. Mi riferivo a vostro cognato Leonard. Lui è in casa?" Si corresse Andrew Lovett, guardandosi attorno come un avvoltoio.

Raissa annuì, voltandosi verso una delle domestiche. "Adelle, scorta gentilmente i signori nell'ufficio del signor Daniel. Leonard è chiuso lì dentro da questa mattina." Non appena nominò il nome dell'uomo, inevitabilmente sentì una fitta al cuore. La stessa che aveva avvertito quando aveva scorto le figure dei soldati alla porta. Avrebbe dovuto farci l'abitudine, giacché avrebbe visto, tra non molto, Leonard varcare quella stessa soglia con quella stessa divisa che ricordava il colore della terra. Fino al momento in cui, anche lui, non avrebbe più fatto ritorno. Quel pensiero, estraneo fino a qualche mese prima, la investì così forte da doversi reggere alla maniglia della porta della cucina. Fortunatamente notò che i soldati erano stati già scortati nel soggiorno.

"Raissa va tutto bene?"

La russa notò solo in quel momento la figura di Amelia, che la guardava preoccupata. Fece un gran respiro, meravigliandosi di riuscirci ancora. "Sì, Lelia. Va tutto bene. Ora fammi un favore, però. Va nella tua stanza e studia, ti chiamerò io quando potrai scendere."

Amelia strabuzzò gli occhi, non capendo del perché di quella reazione. "Ma io voglio restare." Anche perché, ingenuamente, sperava di poter catturare nuovamente lo sguardo di Cameron, prima del giorno dopo.

Sfortunatamente per lei non fu Raissa a costringerla ad eseguire quell'ordine, ma una voce che le arrivò da dietro, più autoritaria. "Ubbidisci." Mrs. Eleanor Putnam apparì sulle scale, vestita di nero e con un'acconciatura piuttosto inquietante ma che andava molto di moda in quell'anno.

Amelia sbuffò sonoramente, scambiandosi ancora uno sguardo con Raissa prima di risalire i gradini per tornare nella sua stanza. Qualsiasi cosa stava succedendo tra quelle mura non era nulla di buono. Una volta arrivata in camera, si stese sul letto a pancia in giù. Tutti continuavano a dirle di diventare più matura, di essere più responsabile, eppure la tenevano a distanza da situazioni che potessero turbarla. Rimasta da sola con i suoi pensieri, la sua testolina, partorì un dubbio che iniziò a martellarle la testa per tutto il tempo che stette chiusa nella sua camera.

E se avevano scoperto del suo incontro con il maggiore? Non voleva neanche pensarci. Amelia nascose il viso tra le mani, muovendo ritmicamente il ginocchio sul materasso, iniziando a contare.

Il tempo sembrò improvvisamente fermarsi.

****

Non seppe dire con certezza per quanto tempo era durato quel bacio. Ricordava solo la beatitudine di ritrovarsi in un paio di braccia forti, la dolcezza con la quale la sua lingua scavava nella sua bocca, la lussuriosa danza che misero in atto e le mani che si perdevano lungo i corpi di entrambi. Avrebbe voluto spogliarla lì, nelle foglie secche di Glover's rock, e invece fece uno sforzo sovraumano e la lasciò andare, alzandosi per darle le spalle.

Ancora confusa e turbata, Raissa non lo imita, resta lì dov'è e guarda la sua schiena. Leonard non fa una piega e la sua bocca non emette alcun suono. L'improvviso senso di abbandono torna a farsi strada dentro di lei, stringendo il suo già fragile cuore in una morsa ferrea. "Dimmi almeno perché vuoi arruolarti. Chi te lo fa fare? Non hai visto quello che è successo a Sam?"

"È stato un incidente, Raissa." Lo sente deglutire, come se anche lui facesse fatica a proseguire quel discorso che avrebbe portato in una sola direzione. "Io non posso più fare finta di niente. Devo liberarmi una volta per tutte dai demoni che mi tormentano e solo stando laggiù, solo provando ciò che ha provato Samuel, potrò liberarmene e tornare ad essere un uomo libero." Leonard non voleva voltarsi e per alcuni minuti non lo fece. Vedere il volto della donna che amava bagnato dalle lacrime che lui, con la sua decisione, portava era uno spettacolo che non voleva in alcun modo vedere.

Dietro di lui, la sente ergersi ritta nella sua postura. La sente tirar su col naso, singhiozzare e, ancora peggio, la sente piangere con la voce spezzata dal dolore. "Hai per un attimo pensato alle conseguenze? Hai pensato ad Amelia, tua madre, tuo padre?" Raissa incamera aria dalla bocca per non soffocare, non vuole far vincere la sua sofferenza, non vuole mostrarsi debole ancora una volta. "Hai pensato a me?"

Leonard si gira verso di lei, sentendo che le ultime parole sono state la molla a farlo scattare verso sinistra. Avrebbe voluto farla tacere baciando quelle labbra carnose ed umide dal pianto, in modo tale da assorbire la sua tristezza come una spugna. Probabilmente, pensa, un momento così non sarebbe più tornato.

"Sì, ad ognuno di voi." Con poche falcate la raggiunge, attirandola a sé con prepotenza e bisogno. La sente piangere ancora più forte sul suo petto e, a quella vicinanza, sente qualcosa rompersi. Era il suo cuore, assieme a quello della donna, che decidevano in quel momento esatto di cessare di battere per l'amore in generale. "Raissa, smetti di piangere per un secondo. Respira e guardami negli occhi."

La donna esita nell'eseguire l'ordine da lui richiesto. Se un secondo prima, Leonard, non voleva imprimere nella memoria quel volto distrutto dal dolore, ora ci aveva ripensato. Lui esigeva di ricordarla. Perché solo in quel modo avrebbe potuto restare vivo nei turbolenti giorni che l'aspettavano, lontano dalla sua famiglia e, soprattutto, lontano da lei.

Incontrando i suoi occhi, Leonard capisce quanto male deve averle fatto quella notizia. Con una mano accarezza quel volto candido, con un pollice strofina un occhio cacciando via alcune lacrime che non erano ancora uscite. "Io tornerò. Mi hai capito? Io tornerò. Tornerò da Amelia, da mia madre, da mio padre e anche da te. E quando succederà non me andrò più." Non le dice che l'ama, nella sua promessa non c'è traccia d'amore, e forse risultava anche superflua.

Raissa vorrebbe credergli ma le sembrava di rileggere un copione già visto in precedenza. Il volto di Samuel, affianco a quello di Leonard, le sembrava più vivo che mai. Abbassa lo sguardo, deglutendo. Sentiva di non avere più forza nel corpo per proseguire. "Torniamo a casa." E con dolore si separa da lui, riattraversando il sentiero da dove erano venuti. Non lo attende e nemmeno sente la sua voce calda chiamarla. Gli è ben grata, però, quando sulla via del ritorno non vi era alcuna spiegazione aggiuntiva a far compagnia ai loro corpi stanchi, ma solo l'assoluto silenzio.


"Quando l'ho detto al tenente generale non ci voleva credere. Ho pensato di farti un favore, chiedendo un incontro privato senza alcuna formalità." Esordì Sunford, versandosi del whisky in un bicchierino che Carin aveva portato in un vassoio, prima di chiudere la porta del soggiorno, a due ante, per lasciarli parlare in tutta tranquillità.

Leonard sbatté le palpebre, ritrovandosi a stringere il suo whisky in una mano. Ce ne sarebbe voluto più di uno, quel pomeriggio. "Sì. Hai fatto bene." Omise che magari, la prossima volta che gli veniva qualche brillante idea, sarebbe stato meglio avvertirlo.

"Ah, ma io l'ho capito subito, mr. Putnam! Fin da quando l'ho vista alla cerimonia di commemorazione. Sono certo che suo fratello concorderebbe con la sua decisione." Prese la parola Lovett, assumendo una postura più dritta sul divano.

"Se lui fosse qui, tenente generale, non staremo qui a perdere tempo." Ribatté freddo il giovane Putnam. Odiava che suo fratello defunto venisse messo in mezzo.

Andrew Lovett, infatti, sembrò accorgersene. "Perdonatemi, mr. Putnam. Non era mia intenzione riaprire vecchie ferite." Il tenente generale si scambiò due occhiate con i suoi soldati. Il neo-marines Rupert Sunford aveva un largo sorriso dipinto in volto e tracannava whisky come se non ci fosse un domani. Il maggiore Cameron Mendel, invece, assumeva una posizione da spettatore scocciato, poggiato al camino spento e le braccia conserte al petto. Non riusciva davvero a capire quale fosse il suo problema.

"Bando alle chiacchiere, tenente generale. Siete qui per illustrarmi meglio la vita di un marines, immagino." Leonard assunse un tono autoritario. Non era ancora un suo sottoposto e poteva permettersi di parlare in una determinata maniera. Anche perché lui si era posto una regola ben precisa: si sarebbe arruolato solo quando avrebbe saputo, per filo e per segno, com'era morto Samuel.

Lovett sospirò. "Quante impazienza avete!" Esclamò, non nascondendo affatto che, il tono usato dal giovane, gli procurava non poco fastidio. Era sempre stato paziente con i suoi sottoposti ma non tollerava affatto le varie mancanze di rispetto. "Comunque, sì. Come il vostro amico Sunford, anche voi avrete un periodo di addestramento della durata di circa tre mesi ed esso si dividerà in tre fasi." Andrew indicò il maggiore con una mano. "In seguito, il vostro nuovo capo vi informerà su cosa si tratta."

Cameron strabuzzò gli occhi, tornando alla realtà nel momento stesso in cui il tenente generale l'aveva indicato. "Come scusi?"

"Ha capito bene, maggiore. Da questo momento, lei avrà l'incarico di addestrare le nuove reclute. Sunford e Putnam saranno nella sua squadra." Spiegò con un sorriso soddisfatto in volto.

"E questo da quando?"

"Da questo momento, maggiore Mendel, e non discuta un mio ordine." Lo fulminò Lovett, bevendo tutto in un sorso il suo whisky.

"Vedrai, Leonard, starai bene a New York." Gli disse Sunford, alzandosi per dare una pacca sulla spalla all'amico.

"Solo una cosa." Con quelle semplici parole, Leonard smorzò l'allegria dei due marines. Quest'ultimo lanciò un'occhiata ai tre soldati e decise di alzarsi per avere maggiore controllo della stanza e dei suoi ospiti. Era pronto a sapere la verità. "Io devo potermi fidare delle persone alla quale ubbidirò, dal momento in cui sarò ufficialmente un marines."

"Mi pare giusto, mr. Putnam." Concordò Lovett, prestando attenzione a ciò che aveva da dire.

"Quindi, se non vi dispiace tenente generale, vorrei sapere realmente com'è morto Samuel. Questa è la mia unica condizione." Sganciata la bomba, ammirò le varie espressioni passare sui visi dei tre marines.

Lovett e Sunford sembravano incuranti di quel dettaglio, mentre Mendel si irrigidì sul posto, nascondendolo però a regola d'arte.

"Avevo mandato suo fratello a cercare di radunare i suoi uomini, mentre la nave iniziava ad affondare e le persone gridavano attorno a noi, implorando la salvezza. Il maggiore Mendel, dopo il nostro ritorno a New York, si premurò di farmi avere tutti i dettagli aggiuntivi che io non potevo sapere. Vostro fratello è caduto in acqua cercando di salvare degli innocenti, dei bambini per la precisione. Il mare ha fatto il resto." Sebbene fosse stato, da sempre, un marines impassibile, negli occhi di Andrew Lovett passarono dei sottili veli di lacrime. "Sono estremamente orgoglioso dell'operato di vostro fratello, Leonard. Permettetemi di chiamarvi così da oggi." Non appena il tenente generale si alzò, Sunford lo imitò, ma restò fermo dove si trovava quando, il marines più anziano, si avvicinò a Putnam per dargli una amichevole pacca sulla spalla e uno sguardo carico di speranza. "Sono certo che sarete un degno erede e la vostra famiglia sarà fiera di voi."

Leonard scambiò una rapida occhiata con il maggiore Mendel. Era stato silenzioso per gran parte dell'incontro e aveva continuato, più volte, a guardare la porta chiusa del soggiorno. Sembrava aver fretta di andarsene. Le parole del tenente generale contribuirono a rafforzare il suo ideale, il suo obbiettivo per scacciare i demoni di suo fratello. Era fiero di ciò che era stato Samuel e, mentalmente, sperò che lo fosse anche lui, in qualsiasi parte di cielo si trovasse.

Cercando di nascondere l'emozione, il giovane annuì. "Quando potrò trasferirmi a New York?"

Lovett scrollò le spalle. "Anche domani, se per voi va bene. In modo tale da prepararvi meglio alla vostra nuova vita e non perdere alcuna lezione."

Leonard fece due calcoli mentalmente. Era meglio togliersi il dente il prima possibile. Quella sera, a cena, avrebbe chiaramente detto ai suoi genitori e a sua sorella che intendeva arruolarsi nei marines. "Domani andrà benissimo."

"Perfetto. Benvenuto in famiglia!" Esclamò Lovett felice e diede una ennesima pacca sulla spalla del suo nuovo soldato e fratello d'armi. Sunford optò, invece, per un caloroso abbraccio prima di seguire il tenente generale fuori dal soggiorno. Quando toccò a Mendel congratularsi, si limitò a fermarsi davanti a lui per qualche minuto.

"Siete sicuro della vostra scelta?"

Leonard lo guardò con fare interrogativo. Quella domanda se la poteva aspettare dal tenente generale e non da lui. Annuì con convinzione. "Sì, maggiore."

Cameron si rimise il berretto sulla testa, lanciando un'ultima occhiata a quello che sarebbe divenuto il suo nuovo sottoposto entro ventiquattro ore. "Benvenuto in squadra allora, Putnam." Disse, uscendo da quella stanza col cuore pesante. Quando provò a voltarsi verso le scale, però, non vi trovò la sua bambolina dai capelli biondi e lo sguardo angelico. Le uniche presenze che avvertì erano tutte in cucina.

Uscì da quella abitazione col cuore schiacciato da un macigno e il senso di colpa dipinto sul viso. Quella sera avrebbe dovuto sfogarsi nel modo più drastico che conosceva e, domani, avrebbe recitato, ancora una volta, la sua parte da bravo attore.



Wolf's note:

*lucida le canne dei fucili.*

Buongiorno a tutti, followers, e buon Martedì con il nuovissimo capitolo.

La trama inizia sempre di più a delinearsi, così come i sentimenti dei nostri personaggi. Come reagirà Amelia alla notizia che il fratello si arruolerà? E il resto della famiglia? Ma sopratutto... Raissa riuscirà a vedere al di là della decisione di Leonard e a capire realmente cosa prova? Visioni più chiare le avremo solo nel prossimo capitolo, online Martedì 30 Ottobre! In tempo per Halloween ma prometto di non farvi brutti scherzi, almeno per stavolta. <3

Ringrazio, come sempre, tutti voi che avete letto fino a qui, commentato, mandato messaggi e di tutto di più! Un abbraccio ad ognuno di voi! 

Inoltre, vi ricordo che potete seguire aggiornamenti, avvisi, foto, citazioni, video e molto altro sulle mie storie seguendo (o mettendo "like") sulla mia pagina Facebook. Link cliccabile sulla pagina d'autrice qui su Wattpad.

Alla prossima settimana! 

Un abbraccio,

Wolfqueens Roarlion.


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