Capitolo 28

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Ormai aveva perso il conto delle volte che aveva attraversato quel piccolo corridoio e, altrettanto, il conto di quante volte aveva posato lo sguardo sul tappeto blu cobalto che decorava il pavimento del secondo piano di casa Putnam. Ogni volta che lo faceva, Raissa lo vedeva sempre più consumato. Ma non era una novità. Tutto, in quella casa, sembrava presentare segni d'usura, come quando si ritrovavano delle vecchie fotografie, ingiallite dal tempo e macchiate dalla polvere, dalla muffa. Così come i più comuni oggetti, anche i loro abitanti sembravano presentare i segni degli eventi che colpivano tutti, nel bene e nel male.

Più degli altri, mrs. Putnam aveva assorbito, in così poco tempo, troppe ferite, troppi pensieri, per una donna in tarda età come lei. Dopo la morte del suo primo figlio, la vecchiaia si era impadronita del suo corpo, parlando sempre meno e pregando sempre di più. Da quando era rimasta sola in quella casa col marito, però, la situazione era peggiorata, specialmente con la partenza di Leonard per la Francia.

Ed ora lo vedeva, mr. Putnam, seduto su una sedia in fondo al corridoio, vicino alle scale. L'unica occhiata amichevole, Raissa, poteva scambiarla solo con lui e le domestiche. Perché mrs. Putnam non era cambiata affatto nei suoi confronti, specialmente dopo averla beccata in atteggiamenti intimi con Leonard, il giorno delle nozze di Amelia.

La porta della camera da letto padronale venne aperta, dopo i primi due passi dietro di essa ad annunciare qualche movimento all'interno della stanza. Il dottore del centro ospedaliero di Little Italy, Stephen Smith, uscì dalla camera con una valigetta nera di pelle e gli occhiali sul naso, dietro di essi un'espressione indecifrabile.

"Dottore, non ci tenga sulle spine. Come sta la Signora?" Chiese Raissa, visibilmente allarmata, ancor prima che Daniel -balzato in piedi come un saldato- potesse proferire parola. Anche se tra le due donne non scorreva buon sangue, la russa aveva sempre mantenuto una buona dose di rispetto nei confronti di mrs. Putnam. Rispetto che non meritava, a detta delle domestiche, visto come veniva trattata dalla stessa Signora. Per Raissa, però, si trattava pur sempre della madre dell'uomo che amava. Un particolare che era capace di cambiare le carte in tavola.

Il dottor Smith unì le labbra in una linea dritta e guardò dapprima mr. Putnam e poi Raissa, rivolgendosi a quest'ultima. "Mi dispiace dovervi dare questa notizia, signori, ma mrs. Eleanor soffre di una grave patologia alle vie respiratorie. Non è la classica ansia, in più la dissenteria non si è calmata da quando ha avuto il primo malore." Rivelò il medico, piuttosto giovane per esercitare una professione così seria come quella. In altre circostanze, Raissa avrebbe anche ammesso a sé stessa che fosse di bell'aspetto, biondo, occhi verdi, carnagione abbronzata tipica dei cittadini di Riverdale... eppure, l'unica cosa che la russa riuscì a pensare, era che la madre dell'uomo che amava stava per essere inghiottita da una spirale infernale.

"Non c'è una cura, dottore?" Chiese mr. Putnam, con un tono calmo... o così sembrava. In qualità di capofamiglia doveva sforzarsi per apparire il più calmo in assoluto anche se, con un po' di attenzione, si poteva scorgere la paura e il timore impossessarsi del suo viso tramite un pallore improvviso.

"Il corpo umano, spesso e volentieri, è un labirinto insidioso e ancora da scoprire. Persino per noi medici. L'unica cosa che posso darle sono dei farmaci, da prendere mattina e sera dopo i pasti. Le rifarò visita la settimana prossima e vedrò... di diagnosticare meglio la malattia." Concluse il medico, porgendo a Raissa un flacone di vetro color petrolio, vuoto ma con una targhetta con il nome. "Una la mattina e una la sera, mi raccomando, non una di più." Le ricordò, guardandola con i suoi grandi occhi verdi. "Può andarle a prendere al centro ospedaliero di Little Italy."

"Molte grazie, dottore." Rispose Raissa con un filo di voce, stringendo la mano all'uomo.

"Venga, l'accompagno alla porta." Aggiunse mr. Putnam, salutando a sua volta il giovane medico e accompagnandolo all'ingresso.

Rimasta sola, Raissa strinse a sé quel flacone di vetro con le medicine, voltandosi verso la camera da letto padronale. Quasi irriconoscibile ad un estraneo, la russa scorse la figura di mrs. Putnam sotto le coperte. I capelli rossi, di una tonalità scura come il sangue secco, erano sparsi sul cuscino in morbide onde. Il viso, segnato dall'età che avanzava, appariva più bianco e imperlato di sudore. Aveva le palpebre chiuse e il suo corpo veniva scosso da spasmi improvvisi dovuti ad un sonno inquieto.

Se solo sapesse, mia cara Signora. Se solo sapesse che suo figlio è vivo.

L'immagine dell'eterno generale di casa in quelle condizioni, mosse in Raissa un impeto di pena. Così tanto da non rendersi conto di star già piangendo. Quella donna gli aveva regalato appellativi che neanche a City Island si era mai ritrovata addosso, tra i quali donnaccia o arrampicatrice sociale. Eppure, piangeva. Sentiva una gran pena. Per Samuel, che non poteva farle visita, per Leonard, troppo lontano per correre dalla madre. Avrebbe dovuto avvertire entrambi. Solo che... non sapeva dove trovare Sam. Non sapeva dove si nascondeva e non poteva di certo bussare di casa in casa alla ricerca di un soldato che gran parte della popolazione credeva morto.

Senza contare che qualcuno avrebbe dovuto avvisare Amelia. Povera piccola! Riusciva quasi ad immaginarla... lei che correva lì, al capezzale della madre, che le stringeva la mano e le sussurrava un sacco di promesse con la speranza che si sarebbe ripresa. Conosceva bene quel metodo infantile e inutile. Strinse gli occhi, cercando di scacciare dalla mente il ricordo della morte dei suoi genitori. Non voleva ricordarli, non ora.

Mr. Daniel Putnam riapparì sulla soglia delle scale. Le mani nelle tasche e la catenina d'oro dell'orologio da taschino che faceva capolino in un'elegante gilet grigio perla dai bottoni neri. "Ora puoi andare, Raissa. Avrai da fare un sacco di cose alla villa e non è necessario che tu stia qua."

La russa strabuzzò gli occhi, guardando mr. Putnam come se fosse pazzo. "No, non me ne vado. In casa una mano in più fa sempre comodo, specialmente ora che la Signora sta così." Come a ricordarsi della commissione affidatale dal dottore, Raissa strinse maggiormente la presa sul barattolo vuoto con solo il nome delle medicine. "Faccio un salto a Little Italy a rifornirmi di queste e torno subito." Aggiunse, avanzando verso le scale per scendere al piano di sotto.

"Raissa." La chiamò Daniel, fissando la schiena della giovane che venne, in seguito, sostituita con la sua attenzione.

"Si? Vi serve qualcosa?"

Mr. Putnam scosse la testa, rivolgendole il più amichevole e teneri dei sorrisi. Simili a quelli di un padre verso una figlia che esegue una buona azione. "Grazie per ciò che fai per mia moglie. Sono certo che, quando si sarà rimessa, saprà ricompensarti con il rispetto che meriti."

"Non mi interessa il rispetto, Signor Daniel. L'unica cosa che chiedo è che la Signora si rimetta al più presto. Per voi, per i vostri figli. Ma non per me. So che mrs. Eleanor non mi sopporta e preferirebbe che ci fossi io al posto di suo figlio, lì in Francia. E, credetemi, lo vorrei pure io." Rispose sinceramente la donna, non nascondendo una profonda angoscia verso l'ultima frase. Da quando Samuel era ricomparso nella sua vita, i suoi sonni erano ancora più tormentati e irrequieti.

"Non dire così. Tu sei molto cara alla nostra famiglia e lo sai."

"Siete sempre troppo buono con me. Grazie." Facendo un gran respiro, Raissa scese le scale. "Torno subito." Annunciò verso la cucina, in direzione delle domestiche che si davano da fare con la cena, sorvegliate dalla severa Tilla che non accennava a lasciarle respirare.

****

L'ultima invenzione di Maurice si chiamava bicicletta. Non che fosse proprio sua quella invenzione. Era semplicemente riuscito ad unire due modelli, uno italiano e uno americano per rendere unico uno dei regali per una cara amica come lei. Raissa aveva sempre creduto che li piacesse burlarsi di lei, ma sempre con una vena giocosa e questo le faceva solo che bene.

Inizialmente aveva montato sul sellino un po' timorosa, soprattutto per la paura che la gonna del vestito potesse intrecciarsi alle ruote o nei suoi ingranaggi e quindi rischiare di strapparla. Per questo optava sempre abiti vecchi o cercava di accorciarsi le gonne. Ora che ci aveva preso la mano, però, doveva ammettere che non c'era sensazione più bella di quella del vento invernale tra i capelli.

La neve era finalmente riuscita a dare tregua ai cittadini e il tempo cercava di lasciar spazio ad una nuova stagione che si poteva sentire già nell'aria. La primavera. Raissa avrebbe voluto che Leonard tornasse in tempo per poterla vedere insieme. In serata gli avrebbe scritto, anche perché doveva informarlo delle condizioni di sua madre, mentre per quanto riguardava Samuel... avrebbe avvertito Cameron, ci avrebbe pensato lui a fare da tramite.

Little Italy rimaneva comunque un angolo di mondo dove italiani e americani si incontravano. Panettieri, sarti, fruttivendoli... si trovava davvero di tutto! I giornali per le strade si alzavano, spinti dal vento, in una danza che li faceva volteggiare, rimbalzare, volteggiare e rimbalzare ancora. A volte venivano spinti persino sui muri, come se fossero stati affissi da qualcuno. Nei vicoli, invece, si potevano trovare ancora dei barili con del fuoco all'interno, per i passanti che volevano riscaldarsi prima di riprendere il viaggio verso le loro case o chi si fermava per fare due chiacchiere.

Passando davanti le varie attività ancora aperte, Raissa fu inebriata da un odore di pane appena sfornato, con gli occhi fu catturata da una torta alla cioccolata esposta alla vetrina. Era quasi un ingiustizia che loro, lì al sicuro dalla guerra, potevano godersi quel panorama con gli occhi e con la bocca, mentre per i francesi quello era oro.

Maledetti tedeschi!

E neanche a tornarle indietro come un boomerang, quella imprecazione, Raissa soffocò un urlo sorpreso, cadendo a terra. Gemette dal dolore, cercando di rialzarsi dall'asfalto dove era caduta. "Ma che diavolo..." Iniziò a dire, voltandosi indietro per vedere una buca. Colei che aveva provocato la sua caduta, tra l'indifferenza dei passanti che continuavano a camminare come se niente fosse.

La russa si fece forza con i palmi, sentendo le gambe doloranti rispondere molto lentamente per via della caduta. Smise di sforzarsi quando vide un paio di scarpe di buona fattura entrare nel suo campo visivo e fermarsi proprio davanti a lei.

"Posso aiutarla?" La voce profonda e gentile giunse a lei come un aiuto divino.

Raissa alzò lo sguardo fino a scorgere, con difficoltà per via del sole, la figura di un uomo ben vestito. Per un attimo le era parso di riconoscere il dottor Smith, ma poi dovette ricredersi. Erano molto simili, stessi capelli biondi, stessi occhi verdi, ma c'era qualche differenza. I capelli erano più chiari e gli occhi apparivano di una tonalità di verde ancora più vitrea. Incutevano quasi terrore. Apparenza che veniva tradita dalla gentilezza e dal sorriso bianchissimo che le stava rivolgendo. Tanto che la russa si sentì quasi a disagio, rimproverandosi poi mentalmente.

Accettò la mano che le offriva, issandosi in posizione eretta. "Grazie mille. Devo essermi distratta." Pensò a ripulirsi la gonna del modesto abito che indossava, di color carne mezzo usurato, mentre con la coda dell'occhio vide l'uomo rialzare la bicicletta da terra e rioffrendola nuovamente alla proprietaria. "Grazie."

"Non ringraziatemi. Altri al mio posto avrebbero fatto..." Poi si fermò, scoppiando in una gradevole risata che coinvolse anche Raissa stessa. Stava per dire: altri al mio posto avrebbero fatto lo stesso, ma non era stato così. Molti dei passanti si giravano a guardarli ma procedevano dritto, stessa cosa che era successa anche quando lei era caduta. "Perdonatemi, stavo per dirla grossa."

"In effetti." Concordò la russa, annuendo. "Gli Americani sanno essere ospitali a loro modo."

"Su questo vi do ragione, mrs."

Raissa si prese del tempo per osservare l'uomo, senza farsi scoprire. Si sentiva come una bambina intenta ad origliare una conversazione privata, con il timore di essere scoperta da qualche domestica.

Studiò il suo tono. Così giovane rispetto all'età che doveva avere. Quanti anni? Ventisette? No... trentadue magari. Che lavoro faceva? Lavorava in uno studio legale, costatò la donna. L'abbigliamento lasciava intendere qualcosa di importante. Giacca grigio topo, camicia bianca, cappello da uomo all'ultima moda. Eppure, sebbene solo per un istante, quel tono così giovane ma a tratti autoritario gli aveva ricordato Samuel. Non sapeva bene perché ma aveva avuto questa sensazione.

Strano. Sì, si sentiva così in presenza di quell'emerito sconosciuto.

"Andavate da qualche parte?" Chiese l'uomo, indicando qualcosa a terra.

Raissa strabuzzò gli occhi, prestando orecchio alle sue parole. Perché era venuta lì? Ah, ora ricordava! La russa allargò le pupille, passandosi una mano sul viso spossato dagli avvenimenti. Quando poi guardò a terra, vide il flacone di vetro a pezzi, completamente rotto. Fortunatamente, però, si leggeva ancora l'etichetta del nome. Lo raccolse, maledicendosi nella sua lingua madre. "In verità sì. Mia... la Signora dove lavoro si è ammalata ed ero venuta qui a Little Italy per andare al centro ospedaliero. È più rifornito di quello di Riverdale." Spiegò brevemente, riprendendo possesso del manubrio della bicicletta nera.

"Mi dispiace. Se volete, posso accompagnarvi." Propose l'uomo senza nome, sistemandosi il cappello sulla testa in un gesto nervoso.

"Non vorrei distogliervi dai vostri impegni." Non riusciva davvero a trovare un altro modo per far intendere che non si fidava. Chi lo conosceva? Era un estraneo venuto dal nulla! Gentile, sì, ma pur sempre un estraneo.

"Al contrario. Mi stavo recando proprio lì." Disse, tendendo una mano davanti agli occhi della donna. "Horace Renard, tenente dell'esercito francese."

Nel momento in cui Raissa strinse la mano al tenente Renard, qualcosa dentro di lei iniziò a formicolare, ma non era una sensazione positiva. Affatto, era una sensazione di paura, di timore. Un tenente francese? Non sembrava avere un accento che potesse ricordare la romantica e bella Francia. E poi, domanda ancor più importante, che ci faceva lì se nella sua terra si stava combattendo una guerra?

Ancora dubbiosa, la russa studiò il tono da usare. Non voleva sembrare spaventata o cose del genere. Dannazione, era solo un uomo! "Raissa Kovic."

Stavolta, fu il tenente ad essere dubbioso. "Kovic? Non è un nome prettamente americano o sbaglio?"

"Non sbagliate. Provengo da un paesino della Russia."

"Oh, già!" Un luccichio malizioso apparve negli occhi del tenente. "Il vostro nome mi dava la sensazione di qualcosa di nordico."

Raissa deglutì, stringendo con maggiore forza il manubrio della bicicletta. "Ma voi cosa ci fate qui in America? Non si combatte una guerra da voi in Francia?"

"Oui, mademoiselle Kovic. Sono stato mandato qui dal generale Joffre per richiedere al tenente generale Lovett un sostegno medico. Lì, sapete, i nostri uomini muoiono come mosche. Un vero massacro!" Spiegò l'uomo, gesticolando.

Se il suo improvviso accento, marcata in uno stretto francese, l'aveva leggermente rassicurata, il suo breve racconto di come morivano gli uomini in Francia decisamente no. Sentì un fremito alle gambe, mentre gli orrori dei suoi incubi tornarono ad essere più vivi che mai.

"E i marines sono giunti in vostro soccorso?" Chiese, non riuscendo a trattenere a freno la lingua.

"Sì. Ma molti di loro si stanno decimando. Mi pare che una squadra, in particolar modo, sia stata tratta in un'imboscata durante una operazione di spionaggio. Uno dei quali mi pare provenisse proprio da Riverdale... o giù di lì. Ma, madame, vi sentite bene?" Nel mentre Horace aveva preso a raccontare particolari più dettagliati, ad ogni parola, la sua interlocutrice sembrò spegnersi come una candela.

I pensieri della russa si arrestarono di botto e l'immagine del suo Leonard, immerso nel suo stesso sangue, tornò prepotentemente a bussarle alla mente. Doveva vederlo, doveva parlargli. Non poteva attendere che arrivasse la risposta di una missiva dopo settimane o magari mesi... o peggio ancora, correre il rischio che sia intercettata da qualcuno.

"Scusate." Riuscì a dire poco dopo. "Ho qualcuno che è partito per salvare la vostra terra. Qualcuno di caro al mio cuore."

"Ah, capisco. Perdonatemi, forse dovevo tenere la bocca chiusa."

"No, va bene. Levatemi solo una curiosità, tenente Renard."

"Ditemi pure."

"Quando partirà il soccorso medico per la Francia?" Ancor prima di formulare quella domanda, nella testa di Raissa iniziò a farsi largo un'idea che aveva come obiettivo solo uno: vedere il suo Leonard. Vederlo e accertarsi che sia vivo. Era certa che l'avrebbe rimproverata a morte per essere giunta fino a lì ma... era pronta a correre il rischio. Dopo tali notizie non poteva più aspettare.

"Una volta che il tenente generale mi ha autorizzato, in serata penso. Perché? Volete offrirvi volontaria, madame?"

"Sì. Ho fatto un corso da infermiera." Mentì, ricordandosi del libro che era stato regalato ad Amelia il giorno del suo compleanno. Se aveva la fortuna di trovarlo ancora alla residenza Putnam, poteva considerarlo già un buon inizio. Era certa che, con la fretta del ricevimento, Lelia avesse scordato qualcosa.

"Meraviglioso! Allora posso contare su di voi. Facciamo così, presentatevi questa sera al centro ospedaliero di Riverdale, portando tutto ciò che potete e vestitevi con il camice. Vi servirà." Le consigliò, annuendo nel mentre gli occhi verdi brillavano di una luce speranzosa. Particolare che a Raissa non fece più alcun timore. Un tipo strano, quel Renard, ma di buon cuore.

Se prima era stata timorosa e diffidava di quel tipo, ora poteva essergli riconoscente per il resto dei tempi. La speranza di rivedere Leonard tornò a riaccendersi di luce calda e vera. Avrebbe dovuto solo mantenere un basso profilo in casa Putnam, frugare nella stanza di Amelia alla ricerca della sua uniforme, indossarla, prendere quel libro che avrebbe letto durante il viaggio e lasciare una lettera al Signor Daniel con le medicine per mrs. Putnam. Il piano, così delineato, nella sua mente sembrava perfetto. Così perfetto da non fare alcuna grinza.

La speranza, in lei, non era mai morta.



Wolf's note:

Come promesso, eccovi anche il secondo aggiornamento!

Ormai ci avviciniamo sempre di più a quello che è il vero conflitto, la fatidica data della battaglia di Verdun.  Ma ora abbiamo un bel pò di dubbi, giusto? Del tipo: Raissa riuscirà a infiltrarsi nel corpo medico? Questo tenente francese.. dirà la verità? E Amelia? Se ne resterà con le mani in mano dopo che ha origliato il piano del marito e del fratello? Tutto questo... nel prossimo capitolo previsto per Mercoledì 25 Settembre! <3

Colgo anche qui l'occasione per ringraziare tutti voi lettori! Davvero... grazie infinite! Vi abbraccio tutti!

In seguito, vi ricordo che se volete essere aggiornati su avvisi, quote da condividere, aggiornamenti, foto, video, booktrailer e molto altro... potete seguire o mettere un bel "Like" alla pagina Facebook dedicata alle mie storie: Le memorie di Wolfqueens Roarlion. Link cliccabile dalla mia pagina d'autrice qui su Wattpad! 
N.B*: Ho aggiunto un nuovo capitolo (che troverete prima della prima parte) con tutti i volti con la quale ho immaginato i personaggi della storia!**

Un abbraccio e alla settimana prossima con un nuovissimo capitolo!

Wolfqueens Roarlion.

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