Capitolo 8

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Era come quella di sera di... molti anni fa.

Raissa ormai aveva perso il conto di quanto tempo fosse passato da ché quella bambina spaurita aveva toccato la sabbia notturna di una dormiente City Island. Aveva perso il conto delle volte che aveva pianto, arrivando alla mera conclusione che la tempesta nella sua vita non si sarebbe mai placata. E agli occhi del destino, quel assurdo gioco di tirare il sasso e nascondere la mano, sembrava persino buffo. Ma ora era lei a non voler più ridere, scherzare o giocare.

Nei suoi vent'anni aveva passato la metà a piangere, a rimboccarsi le maniche e a svegliarsi col sorriso più falso del mondo in cui viveva. Ma anche le migliori commedie teatrali, prima o poi, volgevano al termine. Sebbene aveva immaginato un finale diverso, il ruolo che aveva impersonato le obbligava a concludere l'atto in quel modo straziante e senza via d'uscita. Sentiva di non avere più lacrime, come le scelte e i luoghi dove andare. Ne restava uno soltanto: la prospettiva Nevskij, l'unico posto che i suoi genitori non avrebbero mai dovuto lasciare. Sarebbe tornata lì, sì, e avrebbe camminato avanti e indietro per il corso, si sarebbe fermata ad ammirare la fabbrica dove suo padre lavorava al tempo che fu e con un po' di fortuna avrebbe rintracciato qualche parente della madre ancora in vita. Sempre che la guerra non avesse travolto anche il suo paese.

Raissa osservò in lontananza, nel mare, qualcuno avanzare con una canoa. Esattamente come le aveva promesso l'anziano pescatore, era arrivato con il sole ancora alle spalle. Pronto per farla imbarcare in modo semplice su un mercantile diretto a Kronštadt e da lì... avrebbe affidato il suo destino e la sua vita nelle mani di Dio. Le labbra si piegarono istintivamente in un ironico e amaro sorriso. Ammesso e concesso che ce ne sia ancora uno ad ascoltarmi.

Forse non l'avrebbe mai saputo. O forse, come l'allegra Betty le ripeteva sempre, il Signore mandava dei segni dall'alto, segni divini che dovevano solo essere interpretati. Ma aveva smesso di crederci alla luce di ciò che era accaduto negli ultimi giorni.

L'anziano pescatore arrivò alla riva, facendole cenno di avvicinarsi.

Era giunto il momento. E mentre guardava il ristorante, alle sue spalle, dove neanche due settimane prima avevano festeggiato il compleanno della piccola Amelia, Raissa pensò che la famiglia Putnam le sarebbe mancata e avrebbe portato ognuno nel cuore. Così come Betty, Madame, l'anziana indovina che aveva predetto la linea della morte che aveva -nuovamente- spezzato la sua felicità, e tutte le persone che aveva conosciuto dal suo arrivo da bambina lì in quell'isola. Avrebbe conservato un posto anche per quel pescatore che si era offerto volontario per accompagnarla sino al mercantile.

Mentre si avvicinava alla riva e sentiva le onde bagnarle i piedi, doveva ammettere che sembrava la protagonista di un pittoresco quadro. Il tramonto all'orizzonte che l'accoglieva come un caldo abbraccio, il volto sorridente del pescatore sulla canoa e il suo volto che, al pensiero del suo paese natale, riprendeva colore e la sua anima la gioia di vivere. E si convinse che sì, avrebbe ritrovato la giusta forza per ricominciare.

"Raissa!" Si fermò di colpo, sbattendo gli occhi, senza voltarsi indietro.

Leonard. Era lì davvero o lo stava semplicemente immaginando? Non poteva girarsi e scoprirlo, no. Avrebbe finito per complicare tutto, avrebbe ritardato la sua partenza e avrebbe tentato di fermarla, di convincerla che era una pazzia.

Forse se non mi giro va via.

"Raissa!" Urlò ancora la voce del ragazzo.

Buttò a terra la piccola valigia dove aveva raccolto le poche cose che vi entravano. Aveva lasciato i gioielli, spartendoli con le altre ragazze, e parte dei profumi, fermagli e vestiti al bordello. Gran parte dei regali dei suoi clienti, conservando solo quelli di Samuel. Quelli l'avrebbero aiutata a credere che non aveva sognato nulla, che c'era stato un soldato americano che l'aveva veramente amata e non per una sera, ma alla fine di una vita. La sua.

I passi veloci sulla sabbia la misero in allarme. Leonard si stava avvicinando. Risvegliatasi da quel senso di dormiveglia aveva ripreso la valigia e continuato a camminare fino a raggiungere la canoa. L'acqua le copriva la caviglia e gran parte del vestito lillà dai ricami bianchi che aveva indossato. Povero di qualsivoglia gingillo inutile.

"Raissa, torna qui, dannazione!"

Fece appena in tempo a mettere la valigia nella canoa che si sentì tirare verso il suolo, rischiando di finire a terra. Ritrovandosi faccia a faccia con un Leonard furioso, Raissa sobbalzò per lo spavento. "Cos'è? Sei diventata sorda, forse?!" Le urlò quasi, tanto che la donna dovette chiudere gli occhi per il tono alto. Le dava fastidio quando qualcuno inveiva contro di lei.

"Lasciami, Leonard!" Esclamò con tono decisamente più calmo, ma sempre deciso.

"No. Non ti permetterò di commettere un'altra pazzia!"

"Voglio tornare a casa!" Urlò lei stavolta, allo stremo delle forze. Piantò i suoi occhi chiari in quelli del ragazzo, respirando a fatica. "Ti prego, lasciami andare. Lasciami tornare a casa mia." Disse ancora, con tono supplichevole di chi aveva perso tutto.

Leonard rilassò lentamente i muscoli del viso e mollò la presa sul braccio della donna. La guardò nello stesso modo ansioso in cui lei lo guardava. Silenziose preghiere che alleggiavano tra le loro labbra. Quella di Raissa chiedeva di essere dimenticata, di essere lasciata libera di andarsene nella sua terra. Quella di Leonard chiedeva di ripensarci, di restare lì con la sua famiglia.

Ma non furono quelle frasi che uscirono dalla sua bocca. "Hai qualcuno che ti aspetta?"

"No... ma rintraccerò qualche parente di mia madre." Omise di aggiungere se sono ancora in vita, solo perché non voleva che Leonard continuasse a distrarla dalla sua decisione. Non voleva cedere, non voleva restare... non con tutto quel dolore nel corpo e nel cuore.

"Hai già deciso quindi."

"Sì." Sussurrò in risposta la donna, pronta a salire sulla canoa.

"Stai scappando." Le disse in modo duro il ragazzo.

Raissa sospirò. Perché ci teneva così tanto? Non aveva di meglio da fare che tentare l'impossibile? "Forse. Che importanza ha?"

"Ha importanza, invece, almeno per me. Io almeno penso alle conseguenze di un gesto quando lo faccio."

La russa lo guardò di traverso. "Mi stai rimproverando?"

"Prendilo come ti pare. Se hai deciso di andartene, dì al pescatore di partire e iniziare a remare. Se invece non lo sai, resta. Resta e vieni a casa con me." Le prospettive di Leonard promettevano luci e colori. Quei colori che gli eventi le avevano portato via con Samuel. Raissa era sempre stata istintiva, lo sapeva, forse aveva preso quella decisione a causa del troppo alcol, del troppo dolore.

Dannazione!

Perché diamine ci aveva messo così tanto a salire su quella dannata canoa?

Il tono di Leonard sembrava così dolce, così preoccupato, così supplichevole. Sospirò, quasi esasperata. Rimise piede in acqua, fronteggiando il giovane Putnam. "A che scopo venire a casa con te? Con quale titolo?"

Leonard esitò prima di rispondere, temendo che i pensieri e i sentimenti potessero tradirlo. "Come una di famiglia. Perché lo sei. Non hai sposato Sam, ma per me rimani comunque una sorella. E poi gli ho giurato di prendermi cura di te, semmai gli fosse successo qualcosa."

Il cuore della donna perse due o tre battiti. Succedeva ogni volta che sentiva il nome di Samuel, ogni volta che si parlava di lui o di un suo racconto. In quel caso, di un giuramento. Guardò Leonard come se gli avesse appena detto che il sole tramonta a Sud, anziché ad Ovest.

"Sam... ti ha... fatto giur-giurare che..." Non riusciva neanche a pensare, figuriamoci a formare una frase di senso compiuto.

"Ascolta." A dir poco stufo di quei giri di parole, Leonard prese la giovane per le braccia e avvicinò il suo viso a quello di lei. Ad una vicinanza così pericolosa poteva chiaramente sentire il profumo che vestiva la sua pelle dalla tintarella di luna, così simile alla neve del suo bel paese che era la Russia. Sapeva di mare, di passeggiate sulla riva, di pomeriggi passati sotto il sole cocente, di serate perse a fare l'amore. Strabuzzò gli occhi, riportando la mente lucida al suo discorso. "Samuel ti amava, Raissa. Mai e poi mai avrebbe voluto vederti sola e disperata in un paese che, per quanto ti appartiene, ti farà sentire un'estranea. È questa casa tua. E se qui a City Island ti senti di troppo, verrai con me a Riverdale." Mollò nuovamente la presa sulle sue braccia, sospirando. Non era del tutto certo di essere riuscito a farle cambiare idea. "E se sei davvero così cocciuta da imbarcarti su un mercantile e tornare in Russia, vorrà dire che verrò con te. Qui o lì non ti lascerò sola un istante. E non solo perché l'ho giurato a Sam." Ora poteva essere più che certo di avere la sua completa attenzione. Poteva ammirare quegli occhi farsi lucidi, che con la luce del tramonto tendevano ad essere di un leggero verde acqua.

Raissa non credeva che fosse davvero così pazzo da seguirla nell'ignoto della sua terra d'origine. Si ritrovò inevitabilmente a pensare che poteva aver ragione. Mancava dal corso Neva davvero da troppo tempo e con l'avanzare della guerra molte cose potevano essere cambiate. Non sapeva neanche il suo paese da che parte si era schierato e se l'aveva fatto. Non leggeva i giornali, preferiva la pace e il silenzio della casa, e ascoltava di rado la radio che Madame teneva accesa.

"Perché?" Si ritrovò a chiedere. A lui, a lei stessa, a Sam, in qualsiasi angolo di paradiso egli riposava, addirittura anche all'anziano pescatore che assisteva a quello spettacolo come uno spettatore annoiato. Non faceva che girare gli occhi al cielo e muovere i remi della canoa per uccidere la noia e giungere anche lui ad una conclusione.

Leonard non si curò dell'anziano pescatore, ma solo di Raissa. Il modo in cui lo guardava, il modo in cui tentava di aggrapparsi a quella canoa come se fosse la sua unica ancora di salvezza. Ma lui le stava lanciando un salvagente... anzi, un'intera scialuppa di salvataggio. Le stava offrendo un posto per salvarsi, per ricominciare.

Perché ti amo. Avrebbe voluto rispondere ma, anche in quella circostanza, preferì tacere. Non avrebbe mai accolto i suoi sentimenti, non con lui almeno e non in quel momento.

"Perché ti voglio bene. Perché tengo a te come ad una sorella e te l'ho sempre detto." Osservando come abbassava lo sguardo, ricominciò a credere di aver fallito ancora. No, non poteva permetterselo. Preso da una nuvola di panico, prese le mani della donna nelle sue. "Ti prego, Raissa. Rendimi tutto più facile e dimmi che non partirai, che verrai con me a Riverdale. Dimmelo, Issa."

La russa alzò lentamente la testa, guardando intensamente gli occhi di Leonard che scrutavano ogni suo movimento. Aveva sentito bene o se l'era immaginato? Sì, aveva compreso bene. Il suo tono maturo aveva accentuato quel nome. Il suo cuore riprese a battere all'impazzata, tanto che le sembrò di tornare indietro nel tempo, ad uno degli incontri con Samuel. Neanche lui aveva mai osato storpiare il suo nome, non le aveva mai dato un nomignolo.

Una lacrima le scivolò sulla guancia. Non poteva esserne troppo sicura. Doveva avere una conferma. "Come mi hai chiamata?" Sussurrò, lasciando che il vento movesse i suoi capelli sciolti e ondulati come delle onde calme.

"Issa."

Raissa vide gli occhi di Leonard illuminarsi di bene, un bene che era solo per lei. Non riuscì ad essere forte, come si era ripromessa. Non riuscì a salire su quella canoa e far ritorno in Russia, non riuscì a scappare da sé stessa, non riuscì a trattenere le lacrime, di nuovo. Si lasciò cullare fraternamente da Leonard, un ragazzo che comprendeva il suo dolore, che sapeva come prenderla e che le offriva un'opportunità più semplificata di quella che aveva ideato qualche ora prima.

Sentì Leonard dire qualcosa all'anziano pescatore, qualche forma di scusa per averlo fatto aspettare così tanto. Quest'ultimo non sembrò più infastidito e remò fino a toccare la terra ferma e allontanarsi con i suoi remi.

"Leo?" Lo chiamò, come per volersi accertare che non stava sognando. Quando lui emise un verso per farle comprendere che era in ascolto, la donna sorrise contro la sua camicia bianca e il fazzoletto nero legato al collo. "Sono stanca."

Non poteva vederlo, ma ora anche lui poteva sorridere col cuore leggero. "Andiamo a casa." Le disse, lasciandole un bacio nei capelli prima di prenderle la piccola valigia e risalire la spiaggia fino alla strada principale dove c'era la sua auto ad attenderli.

Forse Betty aveva ragione, pensò Raissa, il Signore mandava sempre dei segnali dal cielo. Doveva solo essere abbastanza brava da coglierne il significato. Il suo segno divino si chiamava Leonard Putnam, il fratello maggiore che qualsiasi donna avrebbe voluto avere.

****

Il trasferimento di Raissa nella residenza Putnam era avvenuto nel modo più tranquillo possibile. Ammesso e concesso che qualcuno della famiglia se ne fosse davvero accorto, tra Mrs. Putnam che passava le giornate chiusa nella sua camera da letto a parlare con delle presenze astrali e Mr. Putnam che tornava dal giornale a tarda ora. Inutile dire che la piccola Amelia ne fu entusiasta, sostenendo che la presenza della donna avrebbe riportato un po' di colore tra le mura di quella casa. E non aveva tutti i torti.

Tilla, Carin e Adelle, le uniche tre domestiche rimaste, facevano a gare per contendersi la simpatia di Raissa. La governante cercava di istruirla alle rigide regole della casa, come gli orari dei pasti e l'ora del thè. Abitudini che andavano seguite alla lettera, come voleva la Signora Eleanor.

Raissa si sistemò nella camera da letto di Amelia, facendo portare una branda di metallo in più, delle lenzuola pulite e un cuscino morbido. La piccola Putnam saltellava di gioia, tanto che la trascinò nell'idea di realizzare qualche dolce nel giorno seguente e, puntualmente, Leonard le aveva osservate per gran parte del tempo. Seduto su uno sgabello bianco e le braccia al petto si inebriava nell'odore di frutta cotta, di biscotti appena sfornati e di deliziosi liquori che Raissa stessa aveva realizzato. Le ore in casa Putnam sembravano fermarsi e mentre Amelia era con il suo precettore nel soggiorno, la russa si preoccupava di dare una mano alle domestiche e a nulla servivano le loro lamentele. Nei giorni seguenti andò decisamente meglio.

La malinconia delle ragazze del bordello si faceva sentire, ma l'allegria di Amelia riuscì a scacciarla con molta abilità. Riusciva a vedere Mr. Putnam solo la sera, così come Leonard, giacché quest'ultimo era immerso in una fase di studio per l'università con alcuni suoi compagni. Parlavano di rado e non era più capitato che si ritrovassero da soli. Lo vedeva nei corridoi la mattina presto, intorno alle sette, e non rientrava mai all'ora di pranzo, solo alla cena. Una sera, mentre si dirigeva nella stanza che condivideva con Amelia, le era capitato di vedere una sagoma in fondo al corridoio. In un angolo buio, appoggiata ad una porta, vi era Mrs. Putnam. Le rughe erano ancora più evidenti, il viso era pallido come un fantasma e le ciocche rosse dei capelli erano sparse un po' qui e un po' lì. Le labbra strette in una linea retta e l'espressione contratta in una smorfia di disgusto. Un disgusto nei suoi confronti, Raissa ne era consapevole di questo.

"Vi porto qualcosa, Mrs. Putnam?" Provò a chiedere, ignorando il modo con cui la guardava e provando una via più pacifica. Perché continuare a detestarla? In risposta, comunque, ottenne solo la sua porta sbattuta. Restò lì per qualche secondo, realizzando che forse non sarebbe mai andata d'accordo con la madre del suo defunto fidanzato. Mentre si coricava sotto le lenzuola, Raissa pensò che trasferirsi lì era stata una pessima idea. Ma sapeva anche che era questione di ore e l'indomani sarebbe tornata di nuovo a pensare che aveva fatto la scelta giusta.

Non aveva mai partecipato ad una cerimonia di commemorazione. Non era mai stata ad un evento importante, benché i suoi ex clienti al bordello fossero benestanti e con una posizione sociale invidiabile. Non si era aspettata tutta quella banda, quella musica, quei tamburi che urlavano inni alla vita e gloria ai defunti.

Era il 23 Luglio, due mesi dopo la tragedia in mare. Il colonello Greyson, della base militare dei marines a New York, aveva deciso di organizzare la cerimonia in quel piazzale largo, con i suoi uomini vestiti con la divisa della parata e i volti seri, privi di emozione. O se la provavano, erano così bravi a non lasciarla trapelare. I parenti delle vittime di guerra sedevano in seggiole poco comode dinanzi ad un palco realizzato per l'occasione. La bandiera degli Stati Uniti sventolava al cielo, i soldati svolgevano una coreografia militare, e ogni volto portava una cicatrice dolorosa.

Amelia sedeva in mezzo a Raissa e Leonard, mentre più di là spiccava la figura di suo padre, rigorosamente in nero. Mrs. Putnam non c'era, colta da un malore improvviso, anche se come raccontava Tilla, la Signora era convinta che presto suo figlio sarebbe tornato. La notizia della morte di Sam l'aveva devastata in modo tale da farle credere l'incontrario. Avevano chiamato un medico e quest'ultimo aveva consigliato un riposo assoluto. Una cerimonia, come quella commemorativa che si stava tenendo quel pomeriggio, avrebbe solo aggravato la sua situazione.

Durante le belle parole di rito, dette dal colonello Greyson e, in conclusione, dal presidente Wilson, più volte Amelia aveva stretto sia la mano del fratello che quella della cognata mancata, ora seconda sorella. Entrambi avevano sorriso alla piccola e avevano continuato ad immergersi nel vivo della cerimonia. Discorsi eleganti, saluti militari, fino al punto in cui il tenente generale Andrew Lovett ricordò i suoi uomini, morti nell'affondamento del Lusitania. Una lastra di marmo a forma d'uomo era decorata, alle spalle del militare, con corone di fiori rossi. Impressa in essa vi erano quattro nomi che occupavano quasi un intero spazio. Parker e Sam dominavano le file, senza ombra di dubbio. Il nome di suo fratello per intero, Samuel Putnam, con una data di nascita e di morte a fianco, sembrava brillare in mezzo a quei sconosciuti che condividevano la divisa dei marines.

Un battito di applausi generale contribuì a concludere la cerimonia. Il colonello Greyson, al microfono, invitò tutti gli invitati a desinare le prelibatezze del banchetto, posto sotto le colonne della base militare, appena vicino alla palestra.

Raissa si congedò un momento per rimanere sola con i suoi pensieri e si perse in una conversazione amichevole con una donna che sedeva ad una fila davanti. Scoprirono di avere qualcosa che le accumunava: il dolore per la perdita per l'uomo che avevano amato. Leonard seguì Mr. Putnam in un ringraziamento personale al colonello Greyson e al tenente generale Lovett, circa le belle parole che avevano speso per i loro uomini. Amelia fu l'unica ad avviarsi, con altre persone, al banchetto. Sentiva lo sguardo di suo fratello da lontano e più volte si era voltata verso di lui per fargli un cenno, per fargli intendere che stava bene.

"Avete qualche impegno nei giorni seguenti, colonello?"

Il grassoccio Greyson inclinò le labbra in una smorfia pensierosa. "Dobbiamo ancora riorganizzare gli uomini. Benché di coraggio qui non ci manchi, cinque uomini in meno sono cinque uomini in meno."

Leonard alzò un sopracciglio. "Cinque? Sulla lastra ne sono presenti solo quattro."

"I traditori non sono all'altezza di essere onorati, mr. Putnam." Rispose prontamente Lovett, levando dall'imbarazzo il colonello. "Piuttosto... cosa farete adesso?"

Il giovane strabuzzò gli occhi. "In che senso?"

"Beh, i marines hanno sempre bisogno di uomini in gamba e coraggiosi. Suo fratello era un ottimo soldato, potrebbe essere una cosa che avete ereditato anche voi. Ne parlavo proprio stamani con il colonello. Perché non fa domanda per arruolarsi, Leonard?" Chiese Lovett, con un tono che faceva alludere al fatto che fosse la cosa più normale che esisteva.

Daniel Putnam, accanto a suo figlio, trattenne il fiato per qualche secondo. Il viso dal colorito pallido era dovuto alla paura, al timore che Leonard potesse ambire alla carriera militare che era stata la gloria di suo fratello maggiore. Ma questo, il giovane, lo capì perfettamente. Di sfuggita osservava lo sguardo perso dell'anziano genitore, catturò la figura longilinea di Amelia chiedere informazioni ad una Signora ben vestita con un piatto di funghi arrostiti in mano. La sua famiglia aveva già perso un figlio, non meritavano di vivere nell'ansia e nell'angoscia una seconda volta.

Puntò lo sguardo gelido e deciso verso il tenente generale. "Mio fratello era un ottimo soldato, come lei stesso ha ricordato. Ebbene, in futuro, le consiglio di non fare più determinati paragoni. Samuel era fatto per la carriera militare, io no." Gonfiò il petto, guardandosi un attimo intorno. Doveva cambiare aria subito, prima di esplodere e dire qualcosa per la quale pentirsi. "Ed ora se volete scusarmi, vorrei raggiungere le mie sorelle. A più tardi, tenente, colonello." Salutò in modo frettoloso il giovane, allontanandosi con altrettanta rapidità per raggiungere Raissa, splendida nel suo vestito indaco con ricami neri sul corpetto e cappello di piume in pendant con i colori.

Amelia era intenta a consumare dei funghi arrostiti, insaporiti con delle spezie, e una purea di patate che aveva deciso di accompagnare con gli ortaggi. Poche persone avevano incrociato il suo sguardo e ogni volta vi leggeva la chiara espressione di smarrimento e dolore che aveva dipinto anche lei sul suo bel viso di bambola. Si era ripromessa di non piangere durante la cerimonia e, in parte, ci era riuscita. Versare fiumi di lacrime non gli avrebbe ridato suo fratello ed era certa che lui non avrebbe voluto vederla così addolorata. Forse erano stati gli stessi pensieri di Raissa, ecco perché non aveva pianto neanche una volta. La piccina, però, non sapeva che il cuore della russa sanguinava ed il sangue era mille volte più doloroso delle lacrime. Perché bruciava come l'inferno, un girone spaventoso in cui i membri della sua famiglia navigavano in cerca di una via d'uscita.

Assorta in pensieri che il suo precettore avrebbe definito danteschi, Amelia colse lo sguardo del maggiore Cameron Mendel. Non appena vide i suoi occhi chiari, si risvegliò sul paragone tra sangue e lacrime, giungendo alla conclusione che una non escludeva l'altra. Lo sguardo del marines rimase per qualche secondo ad indugiare sulla figura minuta della ragazza, che sedeva da sola in un tavolo bianco, avvolta da un vestito grigio in tinta con il suo umore neutrale. Non la salutò, non disse una parola. Chiacchierando con un suo compagno si avviò dentro una stanza.

Amelia sentì di aver perso l'appetito all'improvviso. Posò in modo rumoroso la forchetta nel piatto e si alzò. Evidentemente, quel soldato, si aspettava delle scuse da lei. Alla mente gli tornò il ricordo della visita di lui nella sua casa, accompagnato dal tenente generale. Aveva usato un tono troppo alto, un comportamento poco signorile. Se sua madre fosse stata in sé e avrebbe saputo dell'episodio le avrebbe rifilato così tanti schiaffoni. Magari avrebbe dovuto raggiungerlo, scusarsi. Deglutì al pensiero di doverlo affrontare di nuovo, ma decise che alla fine non era così sbagliato ammettere i propri errori.

Alzò i lati della lunga gonna per non inciampare e, con passo rapido, si avviò nella direzione dove lui era sparito. Non appena giunse davanti alla porta, però, venne sorpresa dal colonello Greyson. Tanto che sobbalzò sul posto e piegò involontariamente la maniglia.

"Mrs. Putnam! Che gioia vedervi! Il vostro stomaco aveva reclamato un buon pasto? Come ha trovato la nostra crostata di mirtilli? Mrs. Jordan giura di averla preparata con le sue mani! Mani d'oro le sue!" Tuonò allegro il simpatico trichecone, come l'aveva rinominato Amelia stessa, per via dei canini troppo lunghi che spuntavano non appena apriva la bocca per parlare, senza contare le guance gonfie e i lunghi baffi bianchi dalla punta ricurva.

"Non mancherò di provarla, vi ringrazio." Ricambiò il sorriso in modo gentile.

"Vi siete persa? Cercavate qualcuno?"

Nel mentre cercava di trovare una risposta logica e intelligente da dare, Amelia sentì la porta alla sua destra aprirsi e la figura del maggiore apparire sulla soglia, accanto ad un altro ufficiale. Il suo sguardo passò dal colonello alla giovane Putnam. "Qualche problema?"

"Ho visto la giovane fermarsi davanti alla porta e ho pensato che cercasse qualcuno o qualcosa." Spiegò brevemente il colonello.

"Il bagno. Cercavo il bagno." Si affrettò a rispondere, prima che il maggiore potesse inventarsi qualcosa o, peggio, rivolgerle la parola. Che diavolo le era saltato in mente di alzarsi per raggiungerlo?! "Sapete... il caldo."

"Ma certamente, mrs. Putnam. Non preoccupatevi." Le disse il colonello, sorridendole in modo cordiale per poi indicarle una porta più in là. "In fondo a quella porta troverete delle scale. Primo piano, in fondo a destra. Se volete uno dei miei uomini può accompagnarvi."

"No, grazie. Faccio da sola." Rispose in fretta, deglutendo e lanciando uno sguardo sia al colonello che al maggiore accanto a lei. Detto ciò, si affrettò a raggiungere il luogo indicatole dall'anziano militare, prima che qualcuno potesse cambiare idea e seguirla. La prossima volta avrebbe contato fino a cento prima di fare qualcosa.




Wolf's note:

FINALMENTE C'E' L'ABBIAMO FATTA! 

Finalmente posso darvi il benvenuto nel nuovo capitolo. Abbiate pazienza, followers, ma i problemi tecnici si sono prolungati di qualche giorno in più. Poco male.. così posso riprendere a riaggiornare di Martedì, giorno in cui usciva un nuovo capitolo della storia. Ci tengo a dirvi che è stato un disagio enorme anche per me, farvi attendere così tanto... specialmente per chi magari deve rileggersi il capitolo precedente per il ricordare dov'eravamo rimasti. Vi garantisco che, salvo altri imprevisti che credo non ci saranno, non capiterà più alcun ritardo.

Fortunatamente sono già a buon punto con il capitolo nove e, forse, durante la settimana riuscirò a fare già la bozza del decimo. Riusciremo a scoprire se e sopratutto come sopravviverà Raissa nel clima di casa Putnam, Amelia indecisa sul da farsi e primi dubbi. Capiteremo qualcosa in più su Cam... no, questo ancora no. Però avremo un bel pò di materiale. Lettori che leggete stile CSI rimanete sintonizzati! <3

Vi do appuntamento al prossimo capitolo, in data Martedì 24 Luglio. Segnate in agenda, mi raccomando! *passa un vassoio di biscotti al cioccolato*

Inoltre vi ricordo che potete seguirmi in avvisi, foto, citazioni, video, aggiornamenti sulle mie storie alla mia pagina facebook. Trovate il link cliccabile nella mia pagina d'autrice qui su Wattpad. <3

Infine vi ringrazio per... tutto. I complimenti, le recensioni, le critiche (che sono sempre ben accette per migliorarmi) e i vostri messaggi privati e meno... un grazie col cuore davvero! Vi abbraccio a tutti e vi ricordo di seguirmi su facebook, qui, e vi do appuntamento a Martedì prossimo col capitolo nove!

Al prossimo capitolo!

Wolfqueens Roarlion.

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