Epilogo

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"Caro Leonard,

sono lieta di ricevere, dopo mesi di pianti e angosce, una tua lettera e di sapere che le comunicazioni si interromperanno sempre meno. Questo mi permetterà di scriverti più spesso e di sperare che veramente ti giungano a destinazione. Mi chiedi come sto, come sta tuo padre. Vorrei davvero non darti per lettera queste brutte notizie, figlio mio, ma devo. Circa un mese fa, tuo padre ha deciso di abbandonare questo mondo per ricongiungersi con tuo fratello, nell'aldilà. Sì, figlio mio. Tuo padre non c'è più. Un brutto infarto l'ha colpito poco prima che si recasse al giornale. Non c'è stato nulla da fare. Ricordo ancora le sue ultime parole, quelle che ad oggi, posso dirtelo a cuor aperto, mi hanno cambiato molto. La famiglia, Eleanor. La famiglia è la cosa più importante. Era come se avesse il presentimento di andarsene, da un momento all'altro.

Non immagino come tu abbia sofferto, con tutte le perdite che hai dovuto affrontare. La scomparsa di tua sorella, poi, è stata una pugnalata dritta al cuore per me. E Raissa... oh, Leonard mi dispiace tantissimo! Tuttavia, non vedo l'ora di riabbracciarti, figlio mio. Ho la sensazione che questo Natale sarà diverso, che da oggi tutto sarà diverso. Voglio avere ancora un po' di fede e speranza. Dopo la vostra riconquista di Fort Douaumont, tutto può davvero succedere. E quando giungerai qui, te ne renderai conto.

Un bacio immenso,

la tua mamma."


Leonard rialzò lo sguardo da quella lettera per l'ennesima volta, mentre il camion che lo trasportava coglieva un'altra buca nel terreno che lo portò, inevitabilmente, a sobbalzare. Non lo infastidiva più ormai, come la maggior parte delle cose. Ripiegò con malinconia quella lettera colma di affetto e nostalgia. Quante cose si era perso andando in guerra? Decisamente troppe. Si sentiva in colpa per non aver potuto dare un ultimo saluto al genitore, si sentiva in colpa per aver dovuto rifilare a sua madre la menzogna della morte di Amelia, nonché quella vera della dipartita della sua Raissa.

Si passò una mano sul viso stanco. Un viso che avevano visto orrori troppo vivi per essere solo un ricordo. Neanche il panorama delle strade innevate della sua Riverdale poteva rasserenarlo. Niente avrebbe potuto, in verità, solo qualcuno che non era più nel mondo dei vivi. Aveva passato notti su notti, negli ultimi mesi, a guardare il cielo stellato e a rivolgere un bacio o un pensiero alla stella più luminosa, credendo fortemente che fosse un segno del suo angelo più bello che li implorava di continuare, di non arrendersi, di vincere. E ci erano riusciti. Lui e i suoi compagni francesi.

Dopo essersi ripreso dalla ferita da arma da fuoco e risvegliato nella tenda medica, Leonard aveva rivisto l'infermiera Jennifer Kelly. Era stata lei a curarlo e a rimetterlo in forze. Insieme ai compagni francesi avevano riconquistato Fort Douaumont il 24 ottobre dell'anno corrente, il 1916, e alla fine di Giugno era stato mandato, dal generale Joffre, a Somme, dove da lì a poco sarebbe scoppiata una nuova battaglia. Dal generale francese sarebbe stato l'ultimo ordine che aveva ricevuto, visto che dopo era passato agli ordini di un nuovo superiore, Robert Georges Nivelle. Un uomo con la quale Leonard aveva subito stretto una confidenza amichevole, mai come quella che lo legava al sergente Fournier, ma abbastanza da farlo congedare e rimandare nei marines, in America. I suoi servigi non erano più richiesti in Francia.

La prima cosa che aveva fatto, non appena aveva rimesso piede alla base militare di New York, era stato organizzare all'istante un'udienza con il colonello Greyson. L'anziano militare l'aveva ascoltato con attenzione e aveva compreso la sua decisione di ritirarsi dalle armi. Ma non la condivideva.

"Beh, tenente Putnam, questa vostra decisione mi lascia sorpreso e mi delude. Sapete, si narra che ormai è solo questione di tempo prima che l'America entri ufficialmente in guerra. Un soldato come voi, un tenente del vostro calibro, sarebbe oro per noi. Ho ricevuto il rapporto fatto dal generale Nivelle sul vostro conto. Sono molto orgoglioso di voi, e lo sarebbe anche il tenente generale Lovett, se solo fosse qui." Disse Greyson, lasciandosi andare ad una nota triste nel menzionare il collega militare esploso in aria.

Anche Leonard si rabbuiò nel ricordare l'ultima volta che aveva baciato e parlato con la sua Raissa. Ma li bastò gonfiare il petto d'orgoglio, fissare l'anziano colonello negli occhi, e restare fermo sulla propria decisione. L'aveva promesso a Raissa quando era ancora in vita, intendeva mantenere la parola data anche ora.

"E' la mia decisione, colonello."

Greyson annuì, un poco sconsolato, e aprì il cassetto della sua scrivania per estrarre fuori qualcosa. Una chiave un poco arrugginita, che posò sotto gli occhi dell'ormai ex tenente. "Come volete. Questa è per voi, comunque."

"Cos'è?" Chiese Leonard, prendendo la chiave dalla scrivania e rigirandola tra le mani.

"Era nel rapporto che mi ha inviato Nivelle. La chiave era nelle ultime volontà del vostro amico, il sergente Nicolas Fournier, modificate circa una settimana prima della sua morte. Nella lettera faceva riferimento ad una casa a La Villette. Il sergente ha voluto che l'aveste voi, tenente." Spiegò Greyson, unendo le mani sulla scrivania.

Leonard fu colpito da quella rivelazione. Strinse la chiave nella sua mano con forza, ringraziando mentalmente il suo superiore, quello che non c'era più. Non era certo di trasferirsi così lontano da sua madre, l'unico componente della sua famiglia ancora presente nella sua vita, ma ci avrebbe fatto un pensiero più in là. Del resto, Riverdale le ricordava Raissa in modo troppo doloroso per restare.

"Siamo arrivati, tenente."

La voce di un soldato semplice, al posto di guida del camion, lo riportò alla realtà. All'istante, Leonard ripiegò la lettera con la chiave della residenza francese e la mise nel borsone che conteneva dei cambi d'abbigliamento e qualche arma. Saltò giù dal camion con un gesto abile. Era così magro che quasi ci ballava nella divisa. Fece il saluto militare al soldato che l'aveva accompagnato e lo ringraziò.

"Grazie, soldato. Ti auguro una buona giornata."

"Anche a voi, tenente. Arrivederci."

Addio. Pensò mentalmente Leonard mentre, con un sorriso amaro, aprì il cancello di casa Putnam ed entrò nel cortile che non calpestava ormai da troppo tempo. Si concesse il lusso di fermarsi un attimo, sentendo il camion ripartire alle sue spalle sulle desertiche strade innevate del suo quartiere. Sotto il manto bianco era tutto come lo ricordava. Fece vagare il suo sguardo su ogni finestra, su ogni punto che richiamasse a lui un ricordo felice. Come la porta d'ingresso, sfondo di una foto che aveva portato sempre con sé. Il matrimonio di Amelia. Dove c'erano lui, Raissa, sua sorella e Cameron. Un ritratto ingiallito dal tempo che conservava sia sulla carta che sul cuore.

Il suo ricordo felice venne ben presto sostituito da una figura che giunse sulla soglia. Una figura femminile, vestita di un abito blu e un elegante acconciatura. Appariva decisamente più anziana di come la ricordava. Inevitabilmente, nell'incrociare il suo sguardo cristallino, Leonard ebbe un tuffo al cuore, specialmente quando si sentì chiamare.

"Leo."

L'ex tenente dei marines eliminò la distanza che lo separava da sua madre con uno scatto, abbracciandola e tenendola ben stretta.

"Il mio Leo!" Ripeté Eleanor, accarezzando la testa del figlio. I capelli perfettamente tagliati a spazzola, ma la barba decisamente più lunga di quando era partito. "Ma fatti guardare!" Esclamò la donna, sciogliendo dopo alcuni minuti quell'abbraccio e osservando bene il figlio. Fu decisamente sorpresa di vederlo in quelle condizioni. "Oh, mio Dio! Ma sei così magro! Ti faccio preparare qualcosa. Hai fame?"

Leonard annuì, non volendo offendere la madre nel dirle che aveva lo stomaco chiuso da mesi. E specialmente omise nel riferirle che aveva, spesso e volentieri, ingannato la fame con missioni affidategli dai superiori. Per non pensare, per non fermarsi. "Sì."

Eleanor sorrise, accarezzando la guancia del figlio con una mano rugosa. "Bene. Ti faccio preparare un buonissimo stufato. Vieni!" Gli disse, invitandolo così ad entrare in casa. "Adelle! Adelle! Prepara una porzione di stufato per il nostro eroe che è tornato a casa."

Neanche il tempo di dirlo che, la domestica di fiducia di casa Putnam, era già sulla soglia della cucina per salutarlo. Lei sembrò esattamente come l'aveva lasciata. Fu stupito, però, di non vedere né Carin, né tantomeno la governante Tilla.

"Oh, signorino Putnam! Che piacere rivederla sano e salvo!" Esclamò Adelle, precipitandosi tra le braccia del giovane padrone per abbracciarlo.

Leonard ricambiò con gentilezza, stringendola a sua volta. "Anche io sono molto contento, Adelle. Grazie." Quando si sciolse dall'abbraccio, la vide tornare in cucina pulendosi gli occhi. La osservò con fare interrogativo, mentre posava il borsone su una sedia nella hall. Luminosa e splendida come sempre.

"Lasciala stare. La conosci. È di lacrima facile." Le disse sua madre, scrollando le spalle.

Leonard sorrise appena, annuendo. Vedeva davvero un gran bel cambiamento in sua madre. Tutta quella superiorità, quella boria, quella compostezza... erano spariti. E avevano lasciato spazio ad una donna provata dalla perdita dei suoi figli, di suo marito, ma sicuramente più consapevole di ciò che era davvero la vita.

Preso da un grande senso di angoscia dal momento che vide il salone da pranzo completamente vuoto, prese dal borsone un pacchetto di sigarette e ne infilò una in bocca, quando un rumore di passi, su per le scale, colse la sua attenzione. Anche quella di sua madre, visto che la vide guardare in quella direzione con uno strano sorriso sulle labbra. Quando Leonard fece lo stesso, li parve di avere un'allucinazione. Forse un effetto collaterale di ciò che aveva visto e vissuto in Francia. Però... no. Un'allucinazione non poteva essere così perfetta, così tremendamente vera. Strabuzzò gli occhi, avvertendo la sigaretta che stringeva tra le labbra cadergli, e gli occhi inumidirsi. Quando si voltò di scatto verso sua madre, capì che era tutto reale. Lo comprese da ciò che gli disse.

"Era una notizia troppo bella per dirtela tramite una lettera."

A quel punto, Leonard fissò nuovamente su per le scale. C'era Raissa, vestita di un bellissimo abito color pesca a maniche lunghe e i capelli mossi lasciati liberi sulle spalle, molto più lunghi di come li ricordava. Ma quel sorriso luminoso e leggiadro era ancora lo stesso. Sorrideva proprio come nei suoi sogni, proprio come nei suoi ricordi. E non era mai stata più bella di così.

"Leonard." Sussurrò lei, iniziando a fare qualche passo verso di lui. Ma non ne ebbe il tempo. Perché Leonard salì le scale, quei pochi gradini che la separavano da lei, e l'abbracciò con forza, bisogno, disperazione. Più la stringeva e più realizzava l'idea che non stava sognando, ma stava vivendo una cosa reale. Quando la baciò, dopo, ogni dubbio si dissolse nell'aria come una nuvola di fumo. La baciò a lungo, quasi per paura che potesse svanire da un momento all'altro.

Quando ciò non successe, posò la sua fronte contro quella della donna. "Ma come hai fatto a...? Fournier mi ha detto che tu eri..."

"Morta, lo so." Concluse per lui, notando com'era in difficoltà. "E lo credevi anche tu, amore mio. Quando il camion davanti al nostro è esploso, sono riuscita a salvarmi. Non ti so spiegare come è successo, fatto sta che sono stata balzata fuori dal finestrino. Mi sono rialzata e ho raggiunto Verdun. E loro mi hanno messa su un velivolo per l'America, scortata da un soldato francese." Spiegò breve la donna, stringendo la mano del suo Leo. "Ma va tutto bene adesso. Siamo insieme."

"Sì, lo siamo. E lo saremo per sempre." Aggiunse Leonard, stringendo nuovamente Raissa al suo petto. Il suo profumo, in quei lunghi mesi, li era tremendamente mancato. Così come le sue labbra, quei suoi occhi luminosi e pieni di vita, anche nei momenti più bui. Tornando a perdersi nei propri sguardi colmi d'amore l'uno per l'altro, i due presero nuovamente a baciarsi, con molto più ardore e passione stavolta. I mesi che li avevano allontanati andavano recuperati, sotto ogni aspetto. Mentre Leonard le baciava il collo, la spinse delicatamente sulla seconda rampa di scale, e poi a destra, dove ricordava avere la sua stanza da letto.

"Leo? Leo, aspetta." Lo fermò Raissa, un poco a malincuore.

Leonard la osservò con fare interrogativo. "Cosa c'è?" Il suo cuore tornò nuovamente ad avere paura. Era l'ennesimo sogno destinato a svanire? Niente di tutto quello era reale? Lui non era giunto a Riverdale ma stava dormendo ancora sul camion? Magari si sarebbe risvegliato a Verdun, nella sua tenda, circondato da morti e spari.

Osservando, però, il sorriso di Raissa farsi sempre più largo e un poco imbarazzato, si diede dello sciocco. "C'è qualcuno che vorrebbe fare la tua conoscenza." Si limitò a dirgli, prendendolo per mano prima che potesse fare qualsiasi domanda, e lo portò nella stanza che la donna aveva condiviso con Amelia, prima del matrimonio di quest'ultima.

Leonard la vide decisamente diversa. I colori erano mutati. Erano più pacifici. C'era del celeste, del bianco e del verde. Non c'erano più due letti, ma uno. Probabilmente quello dove dormiva Raissa. E dove una volta c'era il letto di Amelia, ora c'era qualcos'altro. Una culla. La donna lo portò proprio lì. Tra le coperte celesti e bianche, merlettate, Leonard vide un grazioso fagottino dormire beato. Ancora per poco. Perché questo si svegliò sonoramente dal momento in cui Raissa lo prese in braccio. Sbadigliò e poi mise un'espressione assonnata in volto, nel mentre guardava sia la donna che l'uomo. Si soffermò su quest'ultimo con particolare interesse, prima di sorridere e ridacchiare come i bambini della sua età.

Leonard osservò Raissa con espressione sorpresa e felice al contempo. "Lui è...?"

"Sì, Leo. Lui è tuo figlio. Nostro figlio." Precisò la donna, sorridendo dinanzi l'espressione spiazzata dell'uomo. Era stata contraria di rivelargli qualcosa così importante tramite lettera, così come la falsa notizia della sua morte. Voleva vedere con i propri occhi la sua reazione ed era esattamente come l'aveva immaginata.

Con gli occhi ancora lucidi dall'emozione, Leonard tese le mani verso la donna. "Posso?"

"Certamente." Rispose Raissa, passando delicatamente suo figlio in braccio al suo uomo.

Era una scena indescrivibile, fatta di emozioni uniche, che commosse anche lei personalmente. Raissa aveva pregato giorno e notte, affinché Dio li riconsegnasse il suo Leonard sano e salvo, che potesse gioire nel conoscere suo figlio. Ed ora che li vedeva, insieme, felici e sorridenti, avrebbe voluto piangere di gioia. Ma decise, almeno per il momento, di lasciar stare le lacrime. Il bambino sembrava divertito dalle facce buffe del padre, tanto che continuava a ridacchiare.

"Come si chiama?" Chiese all'improvviso Leonard, tenendo lo sguardo ancora fisso sul figlio.

"Ho avuto qualche idea, quando ho scoperto di essere incinta. Avevo pensato a Samuel, o a Daniel, come tuo padre. Ma poi, nella notte successiva al parto, ho avuto un'idea che ho trovato subito migliore." Iniziò Raissa, avvicinandosi a loro di qualche passo. "Nicolas. Nicolas Samuel Putnam."

Leonard e Raissa si scambiarono uno sguardo amorevole e pieno d'intesa, nell'istante in cui la donna li rivelò il nome del figlio. L'ex tenente annuì pochi minuti dopo, trovando anch'esso perfetto quel nome. Tornò quindi a guardare il piccolo Putnam che aveva tra le braccia. "Nicolas. Papà è contento di fare la tua conoscenza e ti promette che non se ne andrà più." Rialzando lo sguardo sulla russa, sorrise a quest'ultima. "Mai più." Precisò ancora.

Con alcune lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi, Raissa si accoccolò sulla spalla del suo uomo, osservando il figlio ridacchiare con l'innocenza dei bambini e tutta una vita ancora da vivere. Il tempo sembrò fermarsi, in quella stanza, e Leonard pensò che era stata la scelta più giusta quella di deporre le armi. Non li serviva la gloria, il rispetto, la fama di eroe. Perché tutto ciò che li serviva era proprio dentro quella camera da letto. La sua famiglia esisteva ancora e poteva sperare in un domani migliore.

Era il 23 dicembre del 1916. La neve cadeva lenta fuori dalla finestra e tutto era assolutamente perfetto. 



Wolf's note:

Vi avevo detto che non tutto era come sembrava, no?! 

Ora non vorrei prolungarmi troppo qui, perché c'è un altra parte ancora da pubblicare che è quella dei Ringraziamenti... ed è tutta per voi quella!<3

Quindi... restate ancora un altro minuto perché non è finita qui.

Un abbraccio,

Wolfqueens Roarlion.

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