Terza parte - Capitolo 31

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Terza parte

La battaglia di Verdun


Capitolo 31


"Era il suo amore che tornava, il suo primo bacio che le veniva restituito,

i suoi cari sogni che riprendevano a tessere ore dorate.

Era la bellezza che riappariva.

La gioia di vivere che le penetrava le vene."

(Liala, dal libro "Passione Lontana")


C'erano volte in cui invidiava i bambini. Specialmente i suoi.

Correvano, giocavano, ridevano. Bastava un nonnulla per farli contenti, benché la sua posizione li consentisse di accontentarli in tutto. Volevano un gioco nuovo? Lui glielo comprava. Volevano un pony? Ecco che avevano il miglior equino di tutta la Germania. Volevano un vestito o delle scarpe nuove? Erano affidati ai migliori sarti tedeschi. Per il suo sangue puro, per il buon nome della sua famiglia, era questo ed altro! Era così che gli avevano insegnato a stare al mondo lui ed era così che educava i suoi figli.

"A testa alta, Ilse, Karl, sempre." Ripeteva loro con tono grave, militaresco, specialmente quando disubbidivano ad un suo ordine o facevano i capricci per qualcosa, tipo lo studio trascurato. Ma bastava un'occhiata truce del loro padre per mettere a tacere lagne inutili. Non stava bene per gente dal sangue puro come il loro, perdere tempo a frignare. Era giusto e severo come padre. Ma non poteva fare altrimenti. Ilse e Karl erano i suoi eredi, la garanzia di tramandare il suo sangue nelle generazioni future. Un futuro di militari d'alto rango.

Ma se Brandolf Wagner avesse chiuso i suoi glaciali occhi azzurri per qualche istante, non ci avrebbe trovato che il caos più totale. Non avrebbe ricordato che il giorno del funerale di sua figlia, morta prematuramente a cinque anni per colpa di un medico incompetente dal sangue ebreo che aveva trovato la sua fine, in una fossa scavata da lui stesso, in un bosco vicino Berlino.

E Franka, la sua adorabile e fedele moglie, che la depressione -al seguito dell'evento- l'aveva consumata a poco a poco, fino a togliersi la vita con le ultime forze rimaste. Le uniche donne della sua vita non erano altro che ricordi sbiaditi e fotografie in bianco e nero che aveva strappato in seguito ad una collera improvvisa.

"Vedi, Bran, non sempre la vita va come deve andare." Gli aveva detto una sera Franka, con tono dolce, come si fa con i bambini capricciosi. Perché nell'alto dei suoi venticinque anni, Brandolf Wagner poteva apparire così. Cinico, freddo, spietato, terribilmente ambizioso. Così tanto nell'aver pietrificato il proprio dolore a suo vantaggio, creandosi una carriera militare di tutto rispetto.

Al seguito del funerale della piccola Ilse, aveva ordinato che Karl fosse inserito in una scuola privata, delle più severe. In modo che fosse pronto, quando sarebbe stato il momento, ad entrare in quella militare. Il suo ultimo erede e anche la sua ultima speranza.

I frammenti del suo dolore vennero nuovamente sepolti negli abissi della sua mente, lasciando che fosse come l'acqua ghiacciata che si riversava in quel momento sul pavimento. Li lasciò scivolare via, almeno per qualche ora.

Nella semi oscurità di una vecchia casa abbandonata, in Loison, Brandolf assisteva al risveglio movimentato della falsa infermiera che aveva catturato nel centro ospedaliero di Riverdale. Poteva congratularsi con sé stesso, si disse, se la carriera militare fosse naufragata per un motivo o un altro, avrebbe comunque avuto una speranza nel mondo del teatro come attore.

Ad illuminare di poco la stanza, i soldati, e il suo bottino di guerra in terra americana, c'erano solo alcune candele. Due poste ai piedi della donna e tre appese alle pareti, rispettivamente due alle spalle del comandante Wagner e l'ultima in fondo alla stanza, che illuminava una scrivania in fondo. Le mappe militari tappezzavano la superficie, insieme ad una lista di nomi di soldati francesi da eliminare. Lista che sarebbe finita nelle mani del suo superiore, Erich von Falkenhayn.

Con una spalla poggiata alla parete, sulla soglia della stanza, Brandolf si accese una sigaretta senza alcuna emozione in volto, con una calma che avrebbe fatto rabbrividire più che tranquillizzare. "Wird er sich erholen?" Chiese ad uno dei suoi soldati.

"Ja, Kommandant." Rispose in modo frettoloso quest'ultimo. Era piuttosto giovane, così giovane da non avere più di diciannove anni.

Brandolf tirò una boccata di fumo, prima di continuare. "Sehr gut. Bring den Brief zum Feldmarschall. Lass mich mit ihr in Ruhe." Ordinò il tedesco, guardando come i due, facendo il saluto militare e prendendo la lettera, in poco tempo abbandonarono la stanza con passo da soldato.

L'attenzione, ora, era tutta per la sua sigaretta e la sua prigioniera.

Avanzò a passi lenti ma rumorosi verso di lei, legata a terra tramite un palo di legno che sorreggeva parte dell'abitazione. Anche se, da come era ridotto, sarebbe bastato un leggero tremolio della terra per far crollare tutto.

"Schönheit, wach auf!" Disse a voce alta, inchinandosi appena alla sua altezza per verificare se fosse sveglia o meno. Per l'or più, da come vedeva, era viva. Lo poté costatare dal modo in cui il suo petto si alzava e abbassava. Il vestito da infermiera, durane il viaggio, aveva subito non pochi danni, riducendolo alla stregua di uno da contadina. Anche se aveva il viso sporco, i capelli arruffati e infangati, e un abito più simile ad uno straccio, Brandolf doveva ammettere che era stato fortunato. Il suo bottino di guerra era una deliziosa Russische frau. Ghignò, notando che muoveva le gambe e, lentamente, la testa. Tirò un'altra boccata di fumo, preparandosi a quella che sarebbe stata una notte alquanto divertente.

La prima cosa che Raissa avvertì era la testa pesante, tanto che inizialmente le fu difficile rialzarla. Avvertiva nelle narici la puzza di fumo, l'odore di stivali appena lucidati, mista all'acqua di colonia. Emise un gemito di dolore, dovuto ai polsi legati troppo stretti, e alle gambe che iniziavano a risentire delle fatiche dovute al viaggio. Viaggio? Si domandò la donna, chiedendosi dove fosse e come era arrivata lì. Era uscita dalla residenza dei Putnam in piena notte, con l'uniforme da infermiera di Amelia, e si era recata in bicicletta fino al centro ospedaliero. Emise un altro lamento, più strozzato, ricordando a tratti un uomo riverso a terra e l'odore intenso di narcotico che le era stato messo davanti alla bocca.

Non appena riuscì ad alzare di poco la testa, tra i capelli che le erano ricaduti davanti agli occhi, scorse una nube tossica di fumo arrivarle in viso. Tossì, avvertendo un dolore al petto, e come degli occhi malefici vide brillare quelli glaciali del suo carceriere. Che sciocca che era stata! Avrebbe dovuto pensarci due volte prima di fidarsi così, solo delle belle parole. Tremò, per il freddo ma anche per la paura. Se quell'uomo non era un tenente francese, doveva appartenere alla parte nemica. Il suo ghigno diabolico, quello sguardo tagliente come una lama che passava rapidamente dal suo viso al suo stato pietoso, suggeriva il fatto che fosse a faccia a faccia con la morte.

"Spero che il viaggio sia stato di suo gradimento, mrs. Kovic." Disse l'uomo con fare ironico, marcando alcune parole con un accento duro della sua terra, ma senza sfociare nello stretto dialetto tedesco. Dubitava che la donna l'avrebbe capito.

In risposta, Raissa mosse le mani, scoprendole legate saldamente dietro quel palo di legno che scricchiolava pericolosamente ad ogni suo minimo movimento. Respirò a pieni polmoni, cercando di ignorare il profondo disagio e la reale paura che provava. Non gli avrebbe dato questa soddisfazione. "Dove sono? Che volete da me?"

Brandolf si issò sulle proprie gambe, assumendo una postura fiera e militaresca. "Qui le domande le faccio io, mrs. Kovic." Commentò aspramente, prendendo dalla scrivania in fondo alla stanza dei fogli attaccati tra loro. Raissa avvertì solamente i suoi passi pesanti, non alzò mai lo sguardo sulla sua figura. Un poco per timore, un poco per orgoglio e un altro poco ancora per il dolore che provava alla testa. "Dunque... Raissa Kovic, nata a Pietrogrado, da Anechka e Feliks Kovic, entrambi ebrei della cittadina di Kiev." Brandolf dovette fermarsi un momento, marcando il disgusto quando pronunciò le origini dei defunti genitori della donna. "Emigrata a City Island e divenuta una comune puttana in un bordello della cittadina americana. In pochi anni riesce a farsi un nome, una posizione, e diviene la prostituta preferita di un soldato americano, morto nell'affondamento del Lusitania. Ma il lutto dura ben poco, stando ad alcune voci, visto che si consola facilmente con il fratello minore di quest'ultimo."

"Che cosa vuoi da me?" Urlò Raissa in preda alle lacrime, ad un pianto isterico improvviso, di chi sa di essere in trappola e di non poterne uscire facilmente. Sentire i nomi dei genitori defunti, il breve resoconto delle sue disavventure da quando aveva messo piede sul suolo americano, fino alla morte di Samuel, le avevano procurato dei flashback mentali che si alternavano a momenti felici e momenti tristi. Il modo in cui il tedesco aveva detto tutto ciò, poi, come uno spettatore annoiato, era come un'offesa alla memoria dei suoi cari.

Brandolf osservò con estrema soddisfazione la russa, il modo in cui, lentamente, iniziava a cedere. Presto avrebbe avuto ciò che cercava. "La verità." Pronunciò con una calma spiazzante, tirando un'altra boccata di sigaretta. "Dov'è Samuel Putnam?" Chiese, infine, volendo arrivare alla fine di quella discussione.

"Chi?"

"Non fate l'ingenua o la finta tonta, mrs. Kovic. So che eravate la sua puttana e so anche che dovevate sposarvi, come so che non è morto nell'affondamento del Lusitania." Insistette l'uomo, ben sapendo di essere vicino al suo obiettivo. Ad un uomo come lui poche cose sfuggivano da sotto il naso. E, quando tutta quella storia sarebbe stata solo un brutto ricordo, avrebbe ricompensato adeguatamente Elmira. Si era dimostrata la sua seguace più fedele, nonché abile a fare un doppiogioco ancora più pericoloso di quello di Cameron Mendel.

"Lui è... vivo?" Provò a fingersi sorpresa, esattamente come quando se l'era ritrovato davanti, nella sua villa a Golden Falls. Ma se voleva essere proprio realista, dubitava fortemente che un uomo come quello, spietato come lo erano tutti i tedeschi, sarebbe caduto facilmente nella sua menzogna.

Fu allora che Brandolf rise. Una risata nervosa, amara. Tutto in lui era di pietra, persino la risata che le rifilò come risposta. Non avrebbe mollato facilmente. È ammirevole come voi ebrei sappiate mentire così bene. Ma ora, bambolina, non ho più voglia di scherzare." E detto ciò, di scatto, fece tre grandi falcate per arrivarle nuovamente vicino e, da sopra, impugnò i capelli mossi e sfatti, alzandola leggermente da terra.

Raissa urlò di dolore, avvertendo ogni ciocca essere tirata in su in una ferrea presa.

"Dimmi dov'è! Dimmelo!" Le urlò lui di rimando, timbrando in modo forte l'accento tedesco, come se stesse impartendo ordini ad un suo sottoposto.

"Io... non lo so. Lo giuro! Non lo so! Lasciami andare!"

Brandolf ghignò, mollando di colpo la presa e facendola ricadere a terra. La sentì tossire, piangere, implorare la libertà attraverso i singhiozzi. Provò persino a rannicchiarsi su sé stessa. Almeno, in parte, aveva ammesso di sapere che era ancora vivo. Si disse il tedesco, riassumendo una postura eretta e controllando nuovamente il tono della sua voce. "Sapete, è buffo. È stata la stessa cosa che mi ha detto suo fratello, prima che io lo uccidessi."

Il cuore di Raissa non mancò un battito, ma tre. Pregò di aver sentito male, che non fosse vero, che quello non era soltanto che un bluff del soldato. "No." Sussurrò più a sé stessa che al suo interlocutore.

"Oh, sì." Le rispose lui, gustandosi l'espressione impaurita e disperata della donna. "Io e i miei uomini ci siamo divertiti a tirare lui e alcuni cani francesi in una imboscata, nel bosco vicino Verdun. Sono caduti come pere e li abbiamo fatti secchi ma, lui, l'ho lasciato per ultimo. L'ho fatto legare ad un albero e poi, sentendo che non mi dava informazioni preziose, l'ho trivellato di colpi fino a che non era rimasto più nulla." Nel sentirlo parlare, sembrava che stesse descrivendo un evento mondano che l'uccisione di un uomo.

Raissa chiuse gli occhi con forza, scuotendo la testa, con tutto che sentiva dolore in ogni parte del corpo. "Basta! Basta!" Urlò, piangendo e singhiozzando. Buttò la testa all'indietro, dando sfogo al suo dolore, anche se nel modo più umiliante possibile. Sotto il suo ghigno, sotto il suo sguardo compiaciuto, sotto quegli occhi che brillavano di luce diabolica. Il petto si alzava e abbassava, ritmicamente al suo respiro non proprio regolare. "Uccidimi." Riuscì a dire, quando fu certa di non far tremare più la voce. Leonard. Il suo bel Leonard... era morto. L'uomo che aveva amato, l'uomo che le aveva fatta tornare a vivere, non c'era più. Che senso aveva, allora, continuare in una esistenza di sofferenze?

Brandolf, sempre più compiaciuto del suo stato, scosse la testa con un'espressione fintamente contrariato. "Ucciderti? No, bambolina. Non quando posso godermi a pieno il mio bottino di guerra." Tuonò come un fulmine, marcando a fondo la parola godermi come se fosse pronto a divorare una pietanza succulenta. Buttò la sigaretta fuori dalla finestra, ormai consumata, e iniziò a togliersi la giacca, poi la cintura, poi gli stivali.

Raissa guardava un punto fisso davanti a sé per evitare di piangere ancora, per evitare di pensare a ciò che sarebbe accaduto. Ben conosceva il tono che il tedesco aveva usato, ben conosceva cosa significava essere prigioniera di un nemico. Chiuse gli occhi, focalizzando la mente ad un ricordo felice con Leonard. E le lacrime, copiose e silenziose, ripresero a scorrere lungo le guance fredde. Raissa non oppose resistenza quando il tedesco si chinò a prenderla, ad entrare in lei. A che sarebbe servito sopravvivere se l'uomo che amava era morto? Tanto valeva fare la sua stessa fine, sentirsi umiliata, sporca e danneggiata. Guardava i pezzi del vestito che le aveva strappato, senza alcuna emozione. Sentiva i muscoli contrarsi ma anche lì non emise alcun lamento, se non mordersi il labbro quando il dolore era troppo insopportabile. Pregò solamente che quell'agonia, l'ultima della sua vita, terminasse in fretta. Sapeva, come un libro già letto, che non sarebbe mancato poi molto. Fatti i suoi comodi, il tedesco l'avrebbe uccisa. Solo in quel momento, sarebbe stata finalmente libera.

Leonard. Raissa continuò a tenere gli occhi chiusi, lasciando che la mente realizzasse che non avrebbe più rivisto il suo bel viso e non avrebbe più goduto del suo amore. La sfortuna, imperterrita, continuava a piombare nella sua vita come una cattiva stella.

****

Nel primo pomeriggio, insieme al sergente Fournier, Leonard si era recato a Fort de Douaumont, provvisoria base operativa francese per le riunioni. Il clima era stato dalla loro parte, come dichiarò Joseph Joffre. Le condizioni atmosferiche avevano messo i tedeschi in condizioni sterili, nascosti nelle loro difese. La battaglia, però, era solo rinviata e non vinta, come ricordò il generale francese. Quest'ultimo, allora, decise di formare una squadra composta da quattro uomini, una squadra piuttosto sobria per un attacco a sorpresa all'esercito tedesco. Questa squadra ebbe a capo Fournier, seguito subito dopo dal soldato semplice Putnam e da altri due soldati semplici francesi. Il loro obbiettivo sarebbe stato infiltrarsi nei pressi di Loison, in parte conquistata dai nemici, e carpire qualche informazione su un prossimo attacco.

Quando fu il momento di partire, appena due ore dopo, Nicholas Fournier trovò il suo nuovo amico americano seduto alla scrivania, intento a scrivere l'ennesima missiva da inviare alla sua bella.

"Bon Dieu! Ringrazio Dio di non essere un rammollito innamorato come te." Lo prese in giro, marcando il suo accento francese. Succedeva quasi sempre che i due si scambiavano frecciatine a vicenda. Da quando avevano fatto quella piccola perlustrazione insieme e avevano fatto la conoscenza di mademoiselle Coralie, i due soldati avevano iniziato a parlare sempre di più, a giocare a carte fino ad orari impensati, e a bere come spugne. Quando Fournier lo invitava ad accompagnarlo nel bordello di mademoiselle Coralie, però, Leonard rifiutava sempre. Era in guerra, questo era vero, ogni minuto che respirava poteva essere l'ultimo, ma mai e poi mai avrebbe tradito Raissa. La sua bella russa che, sapeva, essere in ansia per lui.

"Certo che no, Fournier. Come potresti? Ho sentito che sono molte le donne che ti inviano missive. Sarà stancante stare dietro a tutte loro!" Lo riprese con quella nota ironica che aveva trasentito nel suo tono, poco prima. Leonard ripose la penna nel proprio calamaio e piegò la missiva, sigillandola in modo che fosse pronta per la partenza. Notizie quotidiane, domande su come fosse l'umore lì in America, e il suo profondo amore tra le righe. In effetti, ora che ci pensava, la risposta alla sua prima missiva doveva essere già arrivata. Ma, quasi sicuramente, per via delle guerra, le lettere tendevano a ritardare.

Nicholas agitò una mano in aria. "Una passeggiata, in realtà." Dichiarò scherzoso. "Comunque, quando hai finito, noi saremo pronti per partire."

"Arrivo subito." Rispose Leonard, riponendo la missiva sotto un tomo e prendendo una foto dalla tasca della sua giacca. Una foto che ritraeva Raissa, il giorno del matrimonio di Amelia, abbracciata a sua sorella davanti il portone di casa sua. Era raggiante in quel suo abito color ruggine, con i capelli ricci acconciati tra loro e gli occhi scuri, che brillavano di felicità.

Un fischio, alle sue spalle, lo riportò alla realtà. Voltando di poco la testa, vide Fournier indugiare con lo sguardo sulla fotografia. "Devo farti i complimenti, Leonàrd. La tua fidanzata è un vero gioiello. Siete davvero fortunato!"

"Grazie, Nicholas. È tutto ciò che amo di più al mondo." Mormorò in risposta il soldato, dando un ultimo saluto ad una Raissa sorridente, prima di riporla con cura e gelosia nella tasca della sua giacca.

"Vedrai che la rivedrai presto." Disse il sergente, a modo di incoraggiamento, mentre li rifilò una amichevole pacca sulla spalla. "Ora andiamo. Abbiamo dei crucchi da sistemare!"

Il piano del generale Joffre era quello di infiltrarsi alla radice dell'esercito. E, per farlo, era saggio attaccare silenziosamente e dal fianco dell'offesa tedesca. La cittadina di Loison, non del tutto conquistata dalle forze nemiche, aveva un bosco dove quasi sicuramente parte dei tedeschi si era rifugiato. Il loro obiettivo era passare proprio da lì e, nella nebbia serale, dargli una scossa che non avrebbero dimenticato facilmente. Se il Dio delle stagioni era dalla parte dei francesi, tanto valeva approfittarne in fretta!

Alle prime ore della sera, intorno alle 20, la nebbia era del tutto calata su Loison. La piccola cittadina, contenente pochi abitanti, era stata rasa al suolo per metà. La squadra composta dai quattro soldati, infatti, nell'attraversarla incontrò case distrutte, vetri rotti, persino dei cadaveri in via di decomposizione. I tedeschi erano passati a saccheggiare ogni casa che avevano incontrato sul loro cammino. Nel passargli vicino, Fournier arrestò per un secondo il passo per farsi il segno della croce e pregare in modo rapido per quelle povere anime. "Que Dieu ait pitié de cela!" Sussurrò più a sé stesso che agli altri.

Che Dio abbia pietà di tutto questo! Era lo stesso pensiero che attraversò la mente di Leonard in quel preciso istante, mentre imitò il gesto della preghiera del suo superiore e continuò ad attraversare la cittadina fantasma.

Il bosco circostante Loison, però, non fu dei luoghi migliori. La nebbia donava agli alberi un aspetto spettrale, quasi da cimitero. I quattro soldati cercarono di confondersi tra la vegetazione, gettandosi a terra su ordine del sergente per fare il minimo rumore. Ogni mossa poteva essere fatale per essere scoperti. Quando Leonard, strisciando appena dietro il sergente, vide Fournier fermarsi, trattenne il fiato. Non disse nulla, per evitare di fare una mossa azzardata, e lo vide solamente prendere il binocolo per guardare attraverso, in un punto ben preciso.

"Cannoni da marina Krupp." Riferì semplicemente il sergente, a voce bassa, in modo che i tre soldati dietro di lui potessero prendere quell'informazione e immagazzinarla nel proprio cervello. "Intendono attaccare anche da qui. Procediamo." Ringhiò il sergente, quasi irritato da quel particolare.

"Mi scusi, sergente, ma non sarebbe meglio tornare indietro e avvertire il generale Joffre?" Chiese a voce bassa uno dei soldati semplici francesi.

All'istante, Nicholas fulminò con lo sguardo quest'ultimo, che strisciava appena dietro Leonard. "Soldato semplice Duval, ti sembra questo il momento di contestare un mio ordine? Ti ricordo che sei sotto il mio comando!" Ringhiò il sergente e Leonard fu quasi certo che, se non fossero stati costretti al silenzio dai nemici in agguato, si sarebbe messo ad urlare.

"Mi scusi ma... se ci vedono e ci uccidono?" Insistette Duval, avvertendo qualche goccia di sudore cadergli dalla fronte.

"Sta sicuro, Andre, che se non ti uccidono loro, ti uccido io se non chiudi quella bocca!" Lo minacciò Fournier, stringendo la mascella per mantenere un controllo che la situazione richiedeva. "Ora procediamo."

"Aspettate, sergente!" Sibilò Leonard, allargando il suo udito, più di quanto poteva. Non molto lontano, poté udire benissimo delle foglie calpestate.

"Che c'è?" Chiese spazientito Fournier.

"Sta arrivando qualcuno!"

"Presto, soldati, nascondetevi nella vegetazione e fate fuoco solo su mio ordine, sono stato chiaro?"

Ma non riuscirono a rispondere, né a fare qualsiasi altra cosa, che videro qualcosa piombare a terra, sotto i loro occhi. Qualcosa che esplose nell'aria, avvolgendo i soldati in una nuvola di fumo bianco, così intenso da oscurare vista e udito. Leonard avvertiva solo un fischio lontano, seguito da dei colpi di mitragliatrice, di pistola. Solo una voce, quella del sergente, riuscì a rompere quel silenzio ovattato con un urlo. "Shrapnel!"

All'udire quel nome, Leonard iniziò a girarsi con il corpo verso sinistra, dove gli era parso di scorgere una vegetazione abbastanza fitta. I proiettili Shrapnel erano tra i più diabolici, perché esplodevano a mezz'aria e mutilavano i visi da renderli deformi. Uccidevano, quasi sempre, e quando non potevano... marchiavano le loro vittime. Quando l'udito tornò lentamente alla normalità, come così anche la vista, Leonard strinse a sé il fucile d'assalto e, uscendo dalla vegetazione, prese la mira per far fuoco su tre tedeschi che avevano preso di mira Duval e l'altro soldato semplice. Quando li uccise, però, notò che per loro non c'era più nulla da fare. Con le facce deformate dai proiettili esplosi e con delle chiazze di sangue sul petto, non davano più segni di vita. Volgendo lo sguardo verso destra, vide il sergente impegnato a far fuori ben cinque tedeschi e, in lontananza, stavano arrivando i rinforzi nemici.

Senza perdere tempo, Leonard sganciò dalla cintura di un soldato tedesco una granata dall'aspetto alquanto strano, di un colore più intenso. La sganciò contro i cinque soldati che stavano cercando di far fuori Nicolas Fournier. Neanche il tempo di toccare il suolo che si udì uno scoppio e una pioggia di schegge metalliche destinate ai nemici, nonché un gas verde petrolio che si espanse brevemente per tutta l'area. Gas velenoso. Trattenendo il respiro per non inalarlo, Leonard scattò verso la figura del sergente e, prendendolo per una spalla, lo allontanò da lì nel breve tempo possibile, in modo che non potesse respirare il veleno.

Quando tornarono nella piazza principale di Loison, Leonard iniziò a tossire, seguito a ruota dal sergente. Con il fiatone e la morte a pochi passi da loro, cercavano entrambi di riprendere il proprio respiro regolare e di scacciare qualsiasi strano odore dalle proprie narici.

Quando Nicolas tornò a guardare Leonard, accasciato vicino a lui e privo di forze momentanee, ne fu quasi lieto. "Mi hai... salvato la vita, soldato americano." Li fece notare, con visibile gratitudine nella voce. Una cosa non proprio da lui, ma quando c'era bisogno di riconoscere coraggio e valore, doveva farlo.

"Dovere, sergente. State bene?" Chiese Leonard, aiutando l'amico a issarsi su per poter continuare a camminare verso Verdun.

"Diciamo che ho visto momenti migliori. Credo di essere ferito ad una spalla." E infatti, dalla spalla sinistra fuoriusciva del sangue.

"Sì. Venite vi do una mano, prima che i nemici ci raggiungano!" Esclamò Leonard, prendendo per un braccio il sergente e facendolo appoggiare a lui per poter camminare.

Fournier accettò di buon grado l'aiuto del soldato e amico, rivelandosi sempre più sorprendente. Avrebbe potuto lasciarlo a marcire lì, in quel bosco, in balia dei nemici. Del resto, lui era un americano! Non c'entrava nulla con la guerra dei francesi! E invece, era rimasto e, sacrificando la sua vita, aveva salvato la sua. Non era certo che una promozione fosse stato abbastanza per ringraziarlo ma, sicuramente, avrebbe avuto per sempre la sua stima e amicizia profonda.



**Traduzione dialoghi**

Wird er sich erholen? = Si riprenderà?

Ja, Kommandant = Sì, Comandante.

Sehr gut. Bring den Brief zum Feldmarschall. Lass mich mit ihr in Ruhe. = Molto bene. Porta la lettera al feldmaresciallo e lasciami solo con lei.

Schönheit, wach auf! = Bellezza, svegliati!

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