❥ ?ianconiglio

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Sbiancai, letteralmente. Persi colore come un panno che, tenuto troppo al sole, si era ormai stinto.

A un palmo di naso l'uno dall'altra, rimanemmo a osservarci, immobili. L'aria si fece statica, cristallizzata, sembrava esserci ambra solida tra me e Luca. Mi leggeva negli occhi lo sconcerto di fronte alla sua insolenza, e io leggevo nei suoi quella specie di indifferenza che mi indisponeva, la stessa di chi crede di buttare lì una notizia di scarso interesse, una cosa di poco conto, detta tanto per rompere il ghiaccio.

«Non ti ha fatta venire, ho capito.»

Fu automatico, i miei pensieri volarono a quell' "incontro" consumato senza troppi convenevoli, né preliminari.

Bobbi.

Non era neanche il suo vero nome, sembrava più il nome di un cane che a ben vedere manco volevi appresso, eppure, alla fine dei conti, la sua conoscenza era stata piacevole in un certo senso. Forse era merito di quel capogiro del "tutto, qui e subito" oppure del fascino del proibito, non saprei dire. Non ci avevo neppure riflettuto prima che non fossero proprio le parole di Luca a riportarmi prepotentemente tutto alla mente.

Era stato bello?
Ero venuta?
Ne era valsa la pena?

«Se proprio vuoi farti i cazzi miei, hai mille altri modi meno respingenti.» lo freddai, nascondendo sotto un'espressione di sufficienza tutto il caos che la sua insinuazione tagliente mi stava rimestando dentro. Non avevo proprio voglia di metterlo al corrente di quello che avevo fatto, anche se lui, al contrario, non aveva mai mostrato la benché minima esitazione a spiattellare, in mia presenza, le sue via via sempre più mirabolanti imprese erotiche: prima con le ragazzette del centro che si bagnavano al solo vederlo arrivare pigramente verso i portici delle vetrine firmate; poi con le sue raggrinzite clienti, stoicamente convinte di essere ancora fighe appetibili solo perché il marito non si preoccupava di controllare il conto in banca. Sono certa che i dettagli che riusciva a sciorinare avrebbero fatto arrossire anche Cicciolina, per non dire il suo cavallo.

Al contrario, nonostante condividessi i miei pensieri con Luca dall'alba dei tempi, quella mia fugace esperienza all'improvviso mi apparve come un qualcosa di troppo intimo e personale, un qualcosa da dover proteggere anche a costo della vita. Sapevo perfettamente di non aver aperto le gambe a Bobbi-fottuto-sposo con l'idea di ottenere in cambio dei soldi, ma il fatto che li avessi accettati comunque, subito dopo aver rimesso le mutandine, era altrettanto inconfutabile.

Mi colpì in quel momento l'importanza che Luca aveva per me, mi piombò addosso come le tegole sulla testa dei personaggi nei cartoni animati. Perché io, che me ne ero sempre sbattuta il cazzo delle opinioni altrui, mi ritrovavo a volere con tutta me stessa che almeno lui pensasse bene di me.

E questo Luca non lo doveva sapere. Neanche sotto tortura.

«Essere acide non serve, anzi mi conferma che ho ragione. Ma mica ti giudico.» sorrise, di un sarcasmo malsano e infeltrito. Rigido.

«Esattamente, quale parte della frase "smettila di impicciarti" non ti è chiara?» controbattei, arpionando con le unghie la gomma consumata del manubrio della bici per la stizza. Ero certa che le guance mi si stessero imporporando e Luca non mi aiutò affatto a placare l'agitazione: senza fare assolutamente nulla per nascondere il suo ghigno piuttosto divertito, mi lanciò un'occhiata talmente invasiva da risultarmi intollerabile.

Mi fece sentire nuda, nonostante i vestiti pesanti addosso. Chissà quante volte l'aveva provata, chissà su quante cavie.

«Il mio non è impicciarsi, il mio è un dare consigli utili. Gratuitamente.»

«Oh, sono lusingata di essere l'unica donna a cui dai qualcosa gratuitamente. Ma se permetti, è un argomento in cui me la cavo benissimo anche da sola.»

Luca scoppiò a ridere, buttando addirittura la testa all'indietro. Una risata così spontanea e genuina da lasciarmi interdetta: una parte di me era talmente affascinata da quella visione da desiderare che non smettesse mai; un'altra, invece, voleva solo scendere dalla bici e regalargli un buono per un setto nasale nuovo. Peccato che non lo odiassi abbastanza e, quantunque fosse stato così, non avrei avuto abbastanza forza e sarei sicuramente finita col rompermi io una mano e non lui il naso.

Così, mi imposi soltanto di alzarmi di nuovo il cappuccio della felpa sulla testa e riprendere a pedalare. Alle spalle sentivo ancora risuonare la sua risata, che, anche se non lo avrei mai ammesso a voce alta, ebbe il potere di stemperare la tensione che si era venuta a creare: sentii il nodo nello stomaco che si allentava, pur rimanendo annodato.

Luca ricominciò a inseguirmi, spingendo lo skate con fare ciondolante, e io continuai imperterrita a ignorarlo.

«Dai, Pulce, non fare l'offesa. Sei carina anche quando hai il mestruo mentale, lo sai?»

«Vaffanculo.» risposi.
Mi trova carina, pensai.

«A dire il vero, è un altro il posto in cui vorrei andare insieme a te. Uno molto più divertente.» una scintilla di trepidazione gli attraversò gli occhi ridotti a due fessure. «Dalle borse di quelle vecchie, ho pescato qualcosa di interessante.»

«Cosa? Dentiere in oro zecchino? Creme per la secchezza vaginale? Un briciolo di dignità?»

«Oh, no. Niente di tutto questo.» mi rispose, con quell'aria fintamente indifferente di chi invece sotto sotto anela a sentirsi chiedere spiegazioni più dettagliate.

Non gli diedi la soddisfazione, continuai a pedalare con lo sguardo fisso davanti a me e  a ignorarlo di sana pianta, così come ignorai l'occhiataccia che mi rivolse con un sopracciglio sollevato a causa del mio silenzio.

«Qualcosa che ti piacerà molto di più, garantito. A dire il vero, ti aspettavo già ieri sera a casa mia per mostrartela.»

Con quella faccia furbetta - con quegli occhi perennemente arrossati - non solo riuscì a squarciare quell'indifferenza che mi ero imposta di riservagli, ma avrebbe potuto convincermi a fare di tutto. Come quella volta che avevamo fatto il giro del quartiere dentro a un carrello della spesa arrugginito con il sottofondo delle nostre risate. Eravamo ubriachi e alla fine eravamo caduti vicino a un cassonetto che puzzava di carne andata a male e piscio, ho ancora una cicatrice sul gomito sinistro.

Ne ho tante di cicatrici, per colpa sua. E non solo sulla pelle.

Con quelle poche parole, riuscì ad accendere la miccia della mia curiosità. O, forse, era pura eccitazione, non saprei dirlo con certezza. Fatto sta che fermai la mia corsa che ormai avevo raggiunto Cerullo, la piccola bottega di alimentari all'angolo. Smontai dalla bicicletta con estrema lentezza, lo sguardo che, pur di non posarsi su di lui, si perdeva tra le lettere scolorite della vecchia insegna del negozio, probabile reperto storico dell'anteguerra.

«Facciamo oggi.» ingiunsi dopo una pausa tattica che servì a ricalcarmi sul viso una maschera di imperturbabilità; non volevo che le mie parole o la mia voce o il cambio della mia espressione potessero tradirmi in nessun modo. «Passa da me stasera, mamma prende le sue gocce per dormire alle dieci.»

Luca sorrise di nuovo - sorrideva un sacco, non ero certa fosse umano sorridere così tanto - e a guardarlo così, con l'aria spigliata e divertita, anche leggermente ironica, qualcosa mi si smosse dentro, in un punto indefinito della pancia che a occhio e croce avrebbe ricondotto all'intestino.

Un crampo, forse.
Dovevo mica andare in bagno?

Poi, girò quel suo skate scortecciato e lo guardai allontanarsi con le solite spinte pigre, evitando le endemiche spaccature dell'asfalto.

Per lunghi secondi dimenticai persino per quale astruso motivo ero uscita di casa, poi un potente rantolo del mio stomaco mi fece tornare in mente i Pan Di Stelle. Così scossi la testa e finalmente mi decisi a entrare nel negozio, ancora stordita.

✘✘✘

Trascorrevamo molto tempo in camera mia, nemmeno la pubertà era riuscita a strapparci via quella buona abitudine.

Mi correggo, era una cattiva, pericolosa, pessima abitudine.

Fatto sta, però, che non l'avevamo persa. Aveva resistito persino alle tempeste ormonali, alle vampare di rabbia e fastidio adolescenziale che nel tempo si erano abbattute su di noi. Alla fine ci ritrovavamo sempre distesi sul mio lettino, la sua testa sulla mia pancia, entrambi supini, a osservare pigramente lo spettacolo del passaggio della luce dei fari delle macchine che fendeva il soffitto buio, filtrando dalle fessure tra le imposte chiuse. Ci lasciavamo andare ai pensieri a briglia sciolta, perlopiù stupidi e inconsistenti, ma qualche volta potevano diventare anche estremamente profondi, quasi filosofici, soprattutto dopo aver spento la quinta canna. Lasciavamo che le nostri menti rigurgitassero tutto quello che le attraversava con i freni inibitori al minimo, condividendo l'uno con l'altra mozziconi di parole segrete, plausibili perché ammantate dal buio della notte, solo per quello.

Avevo smesso di contarle, le volte in cui avevo dovuto intrecciare le dita delle mani, mordermi le labbra o serrare le gambe per impedirmi di cedere a quell'impulso che nuotava nei miei recessi più reconditi di toccarlo, baciarlo, spogliarlo. L'istinto mi diceva che solo contro la sua pelle avrei potuto raffreddare quel calore che incendiava pericolosamente la mia ogni volta che Luca mi era a distanza così ravvicinata. E io dovevo continuamente soffocarlo.

Perché era già successo una volta di lasciarmi andare e ancora soffrivo gli strascichi che quel sesso così irrazionale, impulsivo, inconscio quasi, aveva lasciato: a confronto, qualsiasi altra esperienza veniva automaticamente catalogata nella mia mente come vuota, priva di significato. Inutile.

Che me ne facevo della luce anche di mille lampadine, se non potevo avere il sole? Avrebbe anche potuto illuminare il mio abisso per un po', ma sarebbe rimasta una pallida imitazione, un surrogato.

Proprio come Bobbi.

Non era stato lui a comprarmi, conclusi, ero stata io a usarlo per combattere il buio che quel giorno, guardando Luca destreggiarsi nel suo lavoro di vendere il proprio corpo, avevo per l'ennesima volta riscoperto quanto fosse nero, oscuro e pauroso.

Fu con quella nuova consapevolezza che corsi ad aprire la finestra al minimo rumore dei sassolini che picchiettarono contro il vetro quella sera stessa. Affacciandomi, ci ritrovai Luca. Una manciata di ghiaia nella mano libera, l'altra stringeva una busta di plastica e un sorriso criminale interrotto da una sigaretta all'angolo delle labbra.

«Ciao, piccola Pulce. Il tuo bianconiglio è qui.»

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