❥ 𝕴l Genio della Lampada

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Con quelle due paroline probabilmente riuscii a intenerirlo, perché un attimo dopo Bobbi mi guidò attraverso una porta che conduceva a un corridoio. Lo seguii verso la parte più interna della lussuosa villa camminando su un tappeto rosso che in quel momento mi sembrò più una propaggine infernale che un simbolo di sfarzo.

Man mano che proseguivamo, ci lasciavamo alle spalle una lunga sequenza di stanze zeppe di mobili modernissimi e bianchi come il latte o neri come la notte, dove c'erano altre persone, con altri bicchieri tra le mani e altri cliché sulla ricchezza e sugli eccessi da mostrarmi in tutta la loro veridicità. Champagne versato senza sosta, bottiglia dopo bottiglia, una musica che diventava via via più cadenzata, qualcosa tipo house, ma più antico, forse roba anni '70, per vecchi.

Continuai a seguire Bobbi, mentre mi guardavo a destra e sinistra, allibita dalle scene che riuscivo a scorgere attraverso le porte socchiuse o da quelle spalancate, nella maggior parte dei casi. Un carnevale nero, con tratti grotteschi, che non potevo fare a meno di osservare nei suoi dettagli più osceni.

Rispetto alla sala principale, le stanze erano scarsamente illuminate, luci rossastre trasudavano già di per sé istinti foschi e gli occupanti di quella parte della casa si erano portati molto avanti sui festeggiamenti. Una ragazza che avrebbe potuto avere solo qualche anno più di me che se ne stava allacciata al collo di un uomo di mezza età così appesantito che la pancia sembrava sul punto di esplodergli da un momento all'altro; un bel ragazzo, con la camicia fermata solo dal bottone del colletto e con in bella vista addominali che sembravano disegnati, spruzzava Dom Pérignon su un trio urlante di tardone vestite a festa. Dietro una poltrona, una tizia inginocchiata sul pavimento praticava una fellatio a un tale senza capelli e l'occhialino da intellettuale.

Accostata a una delle pareti del lungo corridoio che stavamo percorrendo, una tipa che sembrava appena scesa da una passerella sniffò qualcosa direttamente dallo specchietto del suo portacipria, ripulendosi, con un gesto aggraziato quanto disinvolto del mignolo, il sottile rivolo di sangue che subito dopo aveva iniziato a sgorgarle dalla narice. L'occhiata che mi rivolse mi fece ghiacciare per un attimo il sangue nelle vene per quanto vuoti e spalancati mi apparvero i suoi occhi, due buchi orbitali spenti e bui come abissi senza fondo.

Concentrata a ignorare quella sensazione di panico che premeva contro gli argini del mio raziocinio, mi lasciai traghettare da Bobbi attraverso la cucina, dove cinque, forse sei cuochi stavano tutti intenti a preparare non so cosa, per poi infilarci in quello che aveva tutta l'aria di essere uno studio o una biblioteca. Mi buttai sul piccolo divano posizionato al centro, agitata, e lo fui ancora di più notando tracce di polvere bianca sul tavolino di cristallo davanti ai miei piedi.

I ricchi usavano già la cocaina, all'epoca. Medici, politici e avvocati avevano annusato la nuova droga e avevano ravvisato che così l'arringa diventava più convincente, che dopo otto ore di sala operatoria non erano più stanchi, che nei loro discorsi apparivano più lucidi.

E tutti, la sera, scopavano meglio.

Insomma, la polvere magica era il futuro. Il fatto che fosse costosa e difficile da reperire la rendeva ancora di più uno status symbol.

«Bobbi, questo posto mi innervosisce, e la gente che è qui...»

«Pulce, ti fermo. Sei turbata, lo capisco, ma ti ripeto che quella era solo una battuta fatta da un uomo di settant'anni che vive con una donna che ha sposato più o meno soltanto per reciproci interessi economici. Niente di grave, l'ho sentito dire ben altro ad accompagnatrici che magari stanno al gioco durante le serate.»

«Ma io non ci voglio stare a questo gioco del cazzo!»

«E di cosa hai paura? Che Guerra ti dica che sei cattiva cattiva? Pulce, sei una studentessa dell'alberghiero. Tutti sanno che siete un'armata brancaleone di ignoranza, immoralità e stupefacenti. Dirti "bambina cattiva" era chiaramente una battuta. Stai serena.»

«Non è solo questo. È tutto il contesto. Io non sono così, io... io me ne voglio andare, Bobbi.»

Aggrottò la fronte. Non sembrava indispettito dalla mia richiesta, solo deluso. Si avvicinò e mi prese la mano, accarezzandola dolcemente con la sua. Quel gesto tenero strideva completamente con le scene che avevo appena visto.

«Sono sinceramente dispiaciuto, Pulce. Ci avevo creduto, lo sai? Avevo creduto che insieme avremmo realizzato il nostro sogno. Sono dentro questa cazzo di Fondazione già da qualche anno ormai, ma una cosa come questa, una cosa che va davvero a rompere la catena di degrado del vostro quartiere, non l'avevo nemmeno mai pensata! E adesso che siamo a tanto così dal realizzarla, così vicini, mi si spezza il cuore a dover richiudere il progetto dentro a un cassetto per sempre, credimi. Avrei voluto vederti parte attiva di quella struttura, aiutare i tuoi coetanei a prendere una strada diversa che non fosse sgobbare in qualche fabbrica con uno stipendio da fame e senza garanzie, o peggio. Va bene, però. Se lo desideri, ce ne andiamo. Amici come prima e puoi continuare con la tua vita, potrai tornare a ciondolare con le gambe sul bordo di quella piscina, anche se resterà vuota per sempre.»

Mi si strinse un nodo in gola, e lo stomaco sembrò improvvisamente riempirsi di un pugno di vetri rotti che mi dissanguavano dall'interno. Quasi mi venne da piangere a immaginare quel luogo fatiscente dopo tanto tempo che lo avevo visualizzato nella mia mente messo a nuovo e funzionante. Potevo sentirle, le lacrime, arrampicarsi fino agli occhi.

Sospirai. Bobbi mi sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio con fare affettuoso e si alzò. «Forza, piccolina. Ti riporto a casa.» soffiò senza riuscire a trattenere la nota di rammarico nella voce.

Mi voltò le spalle e aprì la porta. Solo quando si accorse che non lo stavo seguendo, che ero rimasta seduta su quel divano, ad accartocciarmi l'orlo della gonna nei pugni stretti, si voltò a guardarmi da sopra la spalla con le dita già ancorate alla maniglia.

«Dai, Pulce, vieni. Usciamo da questo posto. Mi fa troppo male adesso restare qui, a un passo dal traguardo, senza poterlo raggiungere. Giuro, potrei impazzire per quanto mi fa sentire frustrato. Su, andiamo a recuperare la macchina. Mi rendo conto che qui non è posto per te, mi spiace persino aver insistito» fece un passo per varcare la soglia e fu allora che gridai.

«Aspetta!»

Non si voltò, sulle prime. Così continuai. «Io voglio davvero realizzarlo quel nostro sogno.»

Il silenzio tra di noi, rotto solo dalle note ovattate della musica che proveniva dall'altro lato della casa, sembrò protrarsi per un tempo infinito, al punto che credetti di aver irrimediabilmente rovinato tutto con quel mio comportamento immaturo ed egoista. Poi finalmente Bobbi si girò di nuovo a guardarmi, lentamente.

«Ne sei sicura?»

Annuii quasi di riflesso.

«Sono felice che tu abbia cambiato idea. Lo sapevo che eri una ragazza intelligente. Troppo intelligente per farti scappare questa occasione.» si avvicinò, mi prese le mani e mi tirò a sé per abbracciarmi calorosamente. «Cerca solo di essere un po' più malleabile, Pulce, e soprattutto divertiti. Finché ci sarò io accanto a te, non ti accadrà nulla di male. Affidati e lasciati andare, in cambio ti prometto che realizzeremo il tuo progetto, e anche molti altri. Avrai la vita che hai sempre sognato e ti assicuro che, se ti sciogli un po', non sarà nemmeno un sacrificio ottenerla.»

Mi afferrò il mento costringendo il mio sguardo a scontrarsi con l'intensità del suo e mi baciò, a lungo e lentamente, accarezzandomi lo zigomo col pollice.

«Andiamo a cercare l'Onorevole adesso. È lui il nostro uomo, il nostro genio della lampada. La si deve solo strofinare un po', ma in cambio può davvero esaudire il nostro desiderio. È lui l'unico che può darci il lasciapassare alla realizzazione dell'opera.»

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