2. TRISTEZZA🖤

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Smarrita era ormai la via di casa,
smarrita ero io in mezzo al bosco.

Camminavo fra interminabili file di alberi alti e scheletrici.

I miei nudi piedi scalciavano le foglie secche che frusciavano leggere sul terreno scuro e umido.

La nebbia si era alzata nel cielo plumbeo.

Scrutai intorno a me la rovina della natura.
Non c'era nessuno.
Regnava un pacato silenzio di morte.
Ero abbandonata al mio destino.
Ero sola.
Ero persa.

Vagavo come un cieco, a passo lento.
Non sapevo dove mi trovavo.
Non sapevo che direzione prendere.
Ero sfinita.
Non mi riconoscevo più, ero diventata un estranea perfino a me stessa.

Proseguivo sempre più lenta,
senza forze, senza speranze.

Una sottile velo di pioggia iniziò a cadere dal cielo.
Le piccole gocce trasparenti bagnarono i miei capelli coprendoli in un mantello di fiocchi trasparenti.
Alzai gli occhi.
Stava in realtà nevicando.

Una folata di vento gelido si insinuò tra i tronchi degli alberi, come un ululato di un animale lontano.
Rabbrividii e mi strinsi le braccia attorno al petto.

Solo in quel momento mi accorsi che il mio corpo era strano.
Diverso.
Avevo freddo, ma non sentivo la mia pelle, i miei muscoli e le mie ossa.
Non sentivo più nulla.
Non sentivo più la mia persona.
Mi sfregai la pelle. Mi accarezzi le magre braccia. La mia pelle era diventa un velo diafano.
Mi soffermai con il fiato corto e affannoso.
Le iridi nere si allargarono.
Nel mio volto era dipinta la paura.
Non ci potevo credere.
Ero un fantasma.
Chiusi gli occhi cercando di respingere le lacrime, ma esplosero dentro di me. Rigarono il mio viso stanco e segnato dall'eterno dolore.
Mi accascia a terra e cacciai un urlo disperato.
Si disperse nella tetra foresta. Scosse i nudi rami degli alberi.

Una coppia di corvi, come colta dallo spavento, sorvolò le chiome spoglie, volando via.

Ancora una volta affannavo nella sopravvivenza.

L'amore mi aveva svuotato l'anima, mi aveva strappato il cuore.

Dentro, ora, ero vuota. Un buco nero.

Vado incontro alla mia solitaria rassegnazione, alla mia disgraziata sorte.
Nessuno più mi salverà e io non ho il coraggio di rialzarmi da sola.
Non so perché...
Forse è perché in fondo ho peccato anche io, ho fato del male anche io, è anche colpa mia.
Nessuno mi ha mai provato ad ascoltare tantomeno a capirmi.
Sono un'emarginata. Un'assassina.
Non merito di fare parte della vita degli altri.

Mi rialzò lentamente. Le ginocchia deboli mi tremano forte.

Proseguo ancora tra il bosco verso un sentiero non battuto, verso l'oscuro ignoto, forse verso la mia morte.

Questa tristezza mi rende pesante le gambe, il corpo, gli occhi e la mente.
Quanto desidererei appisolarmi, addormentarmi per non svegliarmi più.
Mi trascino le gambe a fatica, incespicando ogni tanto.
Non ce la facevo più.

Di colpo di arrestai.
Una brezza frigida mi sospinse da dietro, come se volesse aiutarmi, come se volesse incitarmi a muovermi, ad avanzare ancora.

La foresta si era fatta più fitta e il cielo più scuro.

Un'altra folata di vento mi investì da dietro. Questa volta giunse a me come un delicato sospiro ghiacciato.
Rabbrividii.
Percepii una insolita presenza alle mie spalle.
Mi voltai di scatto. Non c'era nessuno.
Lo percepii ancora quel sospiro sinistro che si trasformò in un lamento sofferto e sommesso.
Una manciata di foglie secche turbinarono in circolo davantini alle miei vuote iridi.
«Vieni», mi parve di udire una voce fievole. «Vieni con me.»
Sembrava quella di una donna.

Dalla nebbia che aleggiava nel profondo delle tenebre si palesò un'ombra gigante.
Mi si mozzò il respiro.
Rivelò i suoi occhi ambrati.
Non riuscivo a definire che razza di abominio fosse.
Allungò i suoi artigli e con un semplice gesto mi invitò a proseguire dritta, dentro le sue fauci.

Il bosco diventò più tetro.
Sembrava il crepuscolo.

Avvertii un altro rumore, una specie di sordo cigolio
Era molto vicino, ma non sapevo cosa fosse e da dove provenisse.
Mi ritrovai in uno spiazzo libero circondato da altri alberi scheletrici, ondeggiavano rigidi al vento.

Al centro, sotto una grigia pozzanghera, c'era un'altalena in legno sospesa che dondolava solitaria
Venni ipnotizzata.
Mi avvicinai.
Toccai la sedia scheggiata e accarezzai le doppie corde bianche.

Mi voltai e mi sedetti. Presi a dondolare piano con lo sguardo rivolto verso il basso.
Venni travolta da molti ricordi brutti della mia vita.

Brutte emozioni e pensieri si insinuarono dentro di me.
Mi appoggiai con la testa da un lato.
Una lacrima rigò il mio volto.

Ero immensamente triste.
Triste per essere fuggita via dalla mia casa.
Trite per averlo ucciso.
Triste per aver perso me stessa.
Triste per aver perso la mia linfa vitale.
Triste per il mio infausto e maledetto destino da vagabonda.
Triste per essere fuggita per cercare salvezza,
invece ho trovato solo tristezza.
Triste come il bosco oscuro che mi circonda e mi conforta.

Gli alberi mi tengono compagnia.
Ora sono una di loro, sciupata e senza colore.
Sono una stella che si è spenta. L'hanno uccisa molto lentamente fino a dissipare la sua luce interiore. Non brillo più.

Consapevole che non sarei più ritornata a vivere.
Consapevole di aver perso questa guerra contro di lui.
Consapevole di non ritrovare più la felicità.

Ho perso.
Non ho più voglia di lottare.

Altri gelidi sospiri giunsero dietro la mia schiena.

C'era qualcuno che si lamentava, qualcuno che piagnucolava.
Un'anima in pena.
Incuriosita mi voltai.

Dietro di me, una miriade di fantasmi mi fissavano sospesi in aria come tanti palloncini bianchi.
Erano lì, inermi, che mi osservano con occhi vitrei e tondi.
Erano venuti a tormentarmi.
La personificazione dei miei brutti ricordi e dei miei rimorsi.

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