2. Visioni di angeli nel Paradiso

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Dei passi lenti e incerti timbrarono il fango di orme fresche. Le gambe piene di schizzi di melma sudicia. Le braccia piegate verso l'alto e le mani sporche di cenere messe a pugno. Lo smalto scorticato sulle dita ornate di anelli da ragazza. Dalla bocca spalancata colava un rivolo di saliva calda e schiumosa e i denti presentavano numerose carie doloranti. Davanti agli occhi cerchiati di nero di Eva si prospettava un paesaggio di macerie e di intrichi di corpi bruciati.

Nulla era stato risparmiato dalla furia della devastazione. Nessun negozio, nessun palazzo, nessun appartamento. Tra le rovine vi erano le carcasse carbonizzate di molte automobili. Tutte le mura delle abitazioni abbattute. Tutte le cucine svuotate. Tutte le ante degli armadi spalancate. I quadri buttati a terra, i vetri sfondati, i piatti ridotti in mille pezzi.

Le piante crescevano rigogliose tra le crepe dell'asfalto e s'insinuavano tra i mattoni. Gli alberi continuavano a crescere verdi e lussureggianti insieme ai cespugli spinosi di more. Anche l'edera si allungava in virgulti abbondanti con lunghe foglie verde scuro dai contorni giallastri. I cadaveri sui viali e sui marciapiedi erano coperti di terra, erba e grano; stavano mettendo radici.

Madre natura era impassibile a qualsiasi calamità umana: niente era distrutto sulla terra; davanti a quegli occhi stanchi non vi era alcuna traccia d'una devastazione simile a quella patita da quelle case esauste. La natura era quel vento che scompigliava audace le foglie degli alberi, che portava l'odore salmastro del mare e che risanava quella sensazione di morte e angoscia tanto forte, intrisa in quel progresso devastato.

Eva si fermò. I cumuli di macerie e di cadaveri lasciarono posto a una distesa di sabbia marroncina formata da piccole dune, oltre la quale si estendeva un mare azzurro. Le onde erano orlate da creste di spumache, sembravano dire a quella ragazza stremata "tuffati!"

Ma la coda dell'occhio sinistro scorse un lungo e obliquo raggio luminoso. Si girò a sinistra. Le quattro mura di una camera da letto resistevano come degli scogli tra cumuli di macerie. Le pupille si dilatarono curiose.

Poco più lontano di lei un raggio di sole entrò dal vetro sfondato della finestra di quella stanza. Il parquet graffiato si colorò di una luce dorata. Una lunga e spessa lama d'acciaio coperta da chiazze di fango nerastro affondava nel pavimento. Pian piano quella melma sudicia stava penetrando gli strati del legno, rendendolo purulento. Nella penombra, sotto un tappeto a fiori in viscosa, il cadavere di un uomo morto emanava nell'ambiente un odore pungente e nauseabondo. Le pareti erano sporche di fuliggine e la carta da parati, un tempo rosa, vi pendeva in grosse strisce marce. All'estremità di un letto in ferro battuto giaceva un lenzuolo cosparso di macchie di vomito giallastro e di sangue nero e secco. Pareva una tela di Jackson Pollock accartocciata. Vicino al letto un comodino era massacrato da schegge di vetro affilate come coltelli e luccicanti come l'argento. Un dito con uno strato sottile di epidermide bianca era incastrato nella serratura della porta. Sul soffitto era appeso un misero lampadario coperto da una fodera di stoffa viola.

Eva rimase impassibile nella sabbia con gli occhi puntati su quelle quattro mura, fino a quando il sole venne inghiottito dalle nuvole. La ragazza guardò in alto disorientata e una folata di vento le pervase la schiena facendola rabbrividire. Nella stanza l'oscurità divorò la luce dorata del parquet. Le ante della finestra si aprivano e si chiudevano sbattendo contro i muri, come un bambino capriccioso che sbatteva i piedi per terra infuriato. Un rombo sommesso dal terreno iniziò a crescere d'intensità.

Eva teneva le braccia alzate e le gambe dritte come due birilli cercando di tenere l'equilibrio e non cadere a terra. Da un lato la vista di quelle macerie la soffocava e da un altro quelle onde tanto invitanti in quel momento erano sinonimo di morte. Gli occhi si sbarrarono e le mancò il respiro. L'unica alternativa che le restava era entrare in quella camera, ma le gambe cedettero prima che potesse iniziare a correre e cadde sulla sabbia. Nella camera da letto il comodino cominciò a dondolare e i frammenti di vetro conficcati in esso emettevano una vibrazione metallica al contatto con il ferro del letto. Il lampadario oscillava e ondeggiava come la lanterna di una nave.
Il fodero cadde a terra con un lieve fruscio e milioni di granellini di polvere si sparsero nella camera.

Tutto finì in quella nuvola di polvere.

Le macerie e i cadaveri assistevano gelosamente all'impassibilità del mare nei confronti di quei venti secondi di terremoto. Oramai nulla osava disturbare la potenza della natura, persino i movimenti improvvisi del terreno preferivano riversare la loro furia distruttrice sugli esseri umani e sui suoi insulsi prodotti. Distruggere un'opera d'arte come la natura era impossibile, sarebbe stato come incatenarla ad un muro condannandola a decadere per sempre.

Le nuvole rigettarono il sole nel cielo celeste. I bordi di quella palla giallastra vennero sfumati dai raggi, che pian piano si allungarono fino a illuminare il lastricato rovinato. Il comodino era disseminato di pulviscolo e il lenzuolo si era appigliato a un frammento di vetro. Un' apparente quiete regnava intorno a quelle quattro mura, l'erba cresceva altissima intorno agli avanzi dei muri delle altre case e davanti alla porta si stendeva una vasta striscia di arena guarnita da ciuffi di erba.

Eva era bocconi nella sabbia e cercava di rialzarsi. Non voleva più stare all'aperto esposta ad ogni pericolo, doveva trovare riparo. Cominciò a darsi spinte scalciando quei granellini color giallo ocra. Una folata di rena spruzzò il fondoschiena della ragazza che si mise in piedi per miracolo. I suoi piedi strisciavano involontariamente su quella superficie, producevano uno stridore prolungato simile a quello di un gessetto su una lavagna di ardesia.

Arrivata davanti alla porta si fermò nel modo più cauto possibile. I suoi grandi occhi verdi incastonati nel viso perlaceo scrutavano quella barriera. La sua schiena era tutta sudata e delle ciocche di capelli neri cadevano sulle braccia rigide come matite.
Tremava dalla testa ai piedi dall' ansia.
Tutto quello sforzo, si era trascinata ansimante sulla sabbia caldissima e restava lì impalata. Sentiva una strana vibrazione, come delle scariche elettriche.

Forse oltre quella porta potrebbe esserci stato qualcosa di diverso, una persona...

Alzò la mano pelle e ossa e puntò con le dita scheletriche la maniglia della porta. La lancetta dei minuti di un orologio si sarebbe mossa più velocemente della sua mano. Toccò la maniglia, cominciò a spingerla verso il basso e tirò verso di sé. Uno spiraglio si apriva piano piano, a poco a poco.

Eva attraverso quella fessura intravedeva solo una parete danneggiata. Corrugò le sopracciglia e intonò con la sua voce rauca:
«C'è qualcuno?»
Silenzio. Fece finta di niente e alzò un pugno cercando di accumulare un po' di forza. Bussò alla porta. L'unica risposta che ottenne fu un crack: il dito incastrato nella serratura si spezzò e rotolò alle sue gambe. La ragazza lo guardò con una smorfia di disgusto e lo rigettò dietro di sé per mezzo di una pedata. Lo sguardo rivolto verso il basso. Fece un respiro profondo ed entrò dentro.
La porta si chiuse alle sue spalle.
Si guardò intorno sconvolta. Lì dentro non c'era anima viva. Il sole la colpiva in pieno volto e le feriva gli occhi.

Un puzzo nauseabondo le si infilò nelle narici e da lì una morsa di ferro le strinse lo stomaco. Si accasciò sul letto nel tentativo di far passare il dolore. Oltre quelle quattro mura non c'era un filo di vento, né uccelli, né grilli, né cicale. Le onde si frangevano rumorosamente a riva in polvere sfavillante.

Un colorito marmoreo le tinteggiava il volto. La bocca spalancata stava cercando l'aria per gridare, però riusciva solo a muovere a malapena la lingua gonfia. Un punteruolo le trafiggeva le tempie da parte a parte. Il cuore le batteva violentemente contro il petto. Le braccia rigide come quelle di un automa supplicavano lo spazio per scappare via, ma le gambe rigide e secche come stecchini non ne volevano sapere di staccarsi dal materasso. Come se non bastasse, il sudore le scorreva tra le cosce e i jeans sfrittellati le si erano incollati alle gambe. Straziata dal dolore, affondò ancora di più la testa su quella superficie morbida.

La mente di Eva era un deserto di pensieri, elucubrazioni disturbanti che scorrevano leggere leggere, come un vortice di granellini di sabbia trascinato dal vento. Quelle utopie componevano una catena di sogni bizzarri, effimeri e interminabili nella loro complessità che Eva lasciava scorrere liberi in un dormiveglia apparentemente transitorio ma angosciante e opprimente. L'oppressa complice dell'oppressione.

Ma cosa aveva fatto di male per meritare tutto quel dolore? Era buona o cattiva?

Il suo cuore iniziò a produrre un rumore soffocato, simile a quello d'un orologio avvolto nel cotone.

Subito la catena di sogni si sgretolò e diede vita all' immagine di una bambina con un abitino a fiori che correva in un campo di grano. Eva strinse forte gli occhi. Una donna comparse tra le spighe e abbracciò la bambina con l'abitino. Un sorriso spuntò sulle labbra di quest'ultima che rise divertita. Si girò, fissò quelle due pozze nere e scoprì una fila di denti disordinati. La signora allora le baciò la fronte e strinse ancora di più la bimba a sé carezzandole la testa. Quella piccola ed esile creaturina ricambiò muta quel gesto di affetto, in preda ad una letizia che permeava il suo minuto organismo. La bambina si staccò dalla presa della donna. Quest'ultima notò che era indiafanata da un pallore intenso e che il sorriso era scomparso dal suo volto.
«Ti senti male?» le chiese.
La piccola fece un sorriso di compatimento.
«Come faccio a stare a male se sono qui con te!»
Aveva appena finito di dirlo, quando un tremito misterioso fece tremare il terreno e la donna cadde sul suolo sporcandosi di terra.

Il battito del cuore di Eva si fermò e i polmoni cessarono di incamerare e restituire aria.

In quell'istante, nella sua mente, la bambina cominciò a sollevarsi e salutò con la mano la donna tra l'abbagliante biancore del vestitino che saliva con lei, che usciva con lei dal quel campo di grano e dal mondo, e con lei si perdeva per sempre oltre le cose visibili agli esseri umani.

La smorfia che deformava il viso di Eva l'abbandonò e riapparsero i suoi lineamenti. Quelle immagini si stinsero come acquerelli in un bicchiere d'acqua. Buio assoluto. Sentiva la testa pesante e il busto vuoto. Le braccia e le gambe morbide giacevano penzoloni per aria. Una piacevolissima frescura le invadeva la schiena e le goccioline di sudore scivolavano via.

Un sorriso ebete le si era stampato sul volto. Non pensava a niente; uno stordimento, un'eccitazione la facevano sentire impalpabile e vaporosa come un moscerino. Una mano la portava verso l'alto, verso l'infinito, verso una meta dove nessuno avrebbe potuto raggiungerla ed Eva teneva gli occhi chiusi godendosi quel piacere breve, ma intenso.

Una luce bianca le occupò la visuale. Dietro la schiena sentiva un solletico strano. Per un po' tenne le mani su quel terreno rasposo, poi lentamente le alzò e se le portò sul viso. Si stropicciò gli occhi. Mille lucciole bianche e gialle comparsero alla sua vista. Più sbatteva le palpebre, più le lucciole si univano in grandi gruppi come se fossero state ammassate tutte insieme da un colpo di scopa. Era sdraiata su una distesa di fili d'erba dal colore lattiginoso intorno ad una dozzina di alberi altissimi dalle foglie bianche. Era pulita, indossava una casacca di cotone leggerissimo e sotto era nuda. Sopra di lei, nel cielo, una macchia bianca evanescente le regalò un calore delizioso.

Percepiva una leggerezza particolare invaderle l'organismo. Un mormorio le si addentrò nelle orecchie. Involontariamente si diresse dove proveniva il rumore, oltre la foresta. Dei granellini di sabbia le carezzavano la pelle nuda e uno stimolo le percose la schiena. Di fronte a lei vi erano le rive sabbiose in pendio di un limpido fiumicello, le cui acque scorrevano trasparenti dalla sorgente trasformandosi in vapore opalescente. Un lieve sorriso le si impresse sulle labbra. Si sdraiò sul prato e mise le braccia in croce sotto la nuca. Affondò i piedi nell'acqua fredda e alzò la testa.

Sembrava bersi con gli occhi, con le labbra carnose, con le narici palpitanti il bianco candido del cielo, il profumo inebriante della natura intorno, il crepitio sommesso di quelle acque floride. Tutto era finito sulla Terra, e ora Eva era immersa in quella quiete solenne piena di pace e di vita, e tutto quello squallore e tutto quell'orrore del mondo di sotto veniva a morire oltre le soffici nuvole della volta celeste.

Una mano le toccò la spalla. Eva si girò. Una donna albina dagli occhi chiari vestita di un abito bianco tutto pizzi e merletti era alla sua destra e le faceva segno di venire con lei. I lineamenti erano i medesimi della signora del sogno. Gli occhi della ragazza brillarono di uno scintillio vivido e subito le prese la mano alzandosi.
«Vieni con me» disse la donna. Strinse la presa della sua mano e iniziarono ad innalzarsi. Sempre più su, oltre quegli alberi altissimi, oltre quel posto che sembrava ricoperto di latte. Un riso di contentezza si stampò sul volto di Eva e la donna rise insieme a lei:
«Vedrai quanto è bello!»

Dopo pochi istanti, quando oltrepassarono il cielo, si fermarono in un paesaggio di nuvole bianche. La donna cominciò a camminare ed Eva la seguì dietro.

L'aria aveva una densità ingenua, come se l'avessero appena inventata, e tutto era permeato di letizia: camminare su quelle nuvole era qualcosa di sensazionale, le tasche del suo cuore erano vuote e una pace infinita regnava nella sua mente. La donna intanto continuava a camminare davanti alla ragazza quasi danzando nelle nuvole e d'improvviso, in un punto dove sembrava finisse il paesaggio, si fermò ad aspettarla. Eva arrivò da lei e appena si sporse per vedere cosa c'era sotto rimase a bocca aperta: un'immensità di nuvole di un bianco purissimo nelle quali danzavano altri angeli.

La donna rivolse uno sguardo ad Eva:
«Sei nel mondo dei puri»

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