CAPITOLO 12 - QUESTO SI CHIAMA SEQUESTRO DI PERSONA

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Non si voltò neppure una volta per guardarmi, continuando nella sua, e nella mia, folle discesa fin fuori dal portone di casa, per poi proseguire lungo le vie del centro. Era chiaro che non gli fregasse una ben emerita fava se io fossi consenziente o meno a quella sua nuova trovata, limitandosi a trascinarmi nella direzione da lui imposta senza proferire parola.

"Oddio, lo sapevo, è tornato in modalità schizofrenico! Ma perché non può rimanere lucido neppure per una giornata. Si stava comportando tanto bene fino ad ora. Non si era arrampicato sui tetti, non si era gettato ai miei piedi in adorazione, non si era presentato a casa mia per scappare dalla polizia; per una volta che mostrava le parvenze di una persona seminormale!"

I pensieri più disparati si susseguirono come su di una giostra, estraniandomi dalla realtà al punto che, senza rendermene conto, eravamo arrivati davanti al forno dove lui lavorava, facendomi entrare con lui quella volta. Passammo attraverso una tendina fatta da una moltitudine di fili di perline di plastica multicolore che scendevano dall'alto, delimitando l'ambiente esterno e quello interno che si intravedeva al di là di essa. Mi ritrovai in una piccola stanza di dieci metri quadri, arredata con un semplice bancone dirimpetto all'ingresso con la superficie in laminato scuro, al cui lato erano posizionati un paio di carrelli verticali in acciaio, composti da varie teglie che si susseguivano una dietro l'altra, ancora vuote. Dalla porta che dava sul retro si sentivano provenire rumori dei macchinari in funzione, accompagnati dall'odore di cioccolato, crema e marmellata che permeava tutta la stanza. Un ragazzo, probabilmente più grande di noi, fece la sua comparsa passando per la porta che immaginavo fosse l'ingresso alla cucina, visto il grembiule bianco macchiato di cioccolata che indossava.

«Ehi, Luke, che ci fai qui? Oggi non sei di turno, te lo sei scordato» domandò il ragazzo castano, con due occhi color dell'ebano, da dietro il bancone.

«Lo so, Christian, ma mi serve un favore. Mi devi prestare le chiavi del furgone. Te lo riporto tra un'oretta, quindi molto tempo prima che vi serva per le consegne.»

Il ragazzo, ora identificato come Christian, si grattò la nuca con un'espressione di chi si sentiva in serie difficoltà ad accontentare la richiesta del pazzo squinternato con cui mi trovavo io.

"Ti prego, Christian, io e te non ci conosciamo, ma digli di no!"

«Non lo so, Luke... non vorrei che mi mettessi nei casini...» tentennò, Chris.

"Bravo, ragazzo! Bravo! Non assecondare lo squilibrato, che se apro il mio cappotto potresti capire di più sul fatto che metteresti nei casini anche la sottoscritta."

«Dai, Chris, ti garantisco che non farò danni. Un'ora e sono di ritorno.» Il ragazzo moro ci pensò su per qualche secondo, iniziando a grattarsi il mento segnato da un lieve accenno di barba, fino a quando non iniziò a spostare lo sguardo da me a Luke e viceversa, concludendo quel movimento reiterato della testa, neanche fosse una pallina da ping pong, con un sorrisetto da chi la sapeva lunga.

"Oh, no! Oh, no, amico, hai proprio capito male! Non mi sto andando ad imboscare, Dio solo sa dove, con il vostro maledetto furgoncino, insieme al tizio con disturbi della personalità qui al mio fianco. Proprio per niente!"

Stavo per aprire bocca e intervenire, finalmente, dal momento che mi ero fatta sballottare da una parte all'altra della città come un sacco di patate senza proferire parola, quando quel disgraziato di Chris, che da quel preciso momento era diventata la persona che più odiavo al mondo, mi precedette. «D'accordo, amico! Ma un'ora soltanto, e riporta il furgone tutto intero!»

«Grazie, Chris, sei un grande!» lo elogiò, Luke, afferrando prontamente al volo le chiavi che gli erano state lanciate del mio nemico giurato, per poi avvolgere nuovamente le sue dita intorno al mio braccio, iniziando condurmi ancora una volta all'esterno, non prima ovviamente che io potessi sentire Chris urlarci dietro un: «Divertitevi!»

"Come no? Brutto bastardo! Non comprerò mai più una pasta in questo posto, al costo di soffrirne io stessa!"

Mentre elaboravo vari piani di vendetta su come farla pagare a Chris, mandando in banca rotta la sua attività dopo la perdita di una fedele cliente quale ero io, eravamo giunti al furgoncino bianco delle consegne che ormai conoscevo. Luke aprì la portiera senza indugio, spingendomici praticamente dentro. Richiuse lo sportello dal mio lato e si diresse correndo dal suo per montarvi su con un balzo che fece sussultare leggermente il nostro mezzo di trasporto. Io in quel momento mi sentivo come dentro un grosso frullatore: ero stata presa, trasportata da una parte all'altra e sbatacchiata senza ritegno, dal tizio al mio fianco che tutto felice stava mettendo in moto.

«Tu ti rendi conto che questo si chiama sequestro di persona, vero?» gli chiesi, inarcando un sopracciglio sardonica.

«Non essere sciocca, sarebbe un sequestro se ti avessi imbavagliata, legata e caricata di peso qui sopra. Ma non mi pare che le cose siano andate così» controbatté ridendo.

No, non erano esattamente andate così, ma io mi sentivo davvero come un ostaggio.

«Posso sapere almeno dove stiamo andando, visto che mi hai sballottata da una parte all'altra senza darmi un'indicazione o un indizio?» lo rimbeccai indispettita, incrociando le braccia al petto.

«Vedrai...» si limitò a rispondere.

"Ottimo, è tornato a fare l'uomo misterioso dalle mille parole. Tra tutte le sue varie personalità, questa è quella che più di tutte non volevo incontrare."

«Ti prego, dimmi che non c'entra una pala e che là dietro non hai dei sacchi neri per cadaveri!» E me lo augurai davvero con tutto il cuore, giacché mi stavo fidando del tutto alla cieca di lui.

«Certo che tu o hai veramente una pessima opinione di me, oppure vedi troppi film horror. Stai tranquilla, ti piacerà tantissimo dove stiamo per andare, fidati di me.»

Ecco, era proprio quello il punto. Nonostante la nostra chiacchierata fatta poco prima, non mi fidavo completamente di lui. Chi diamine si sarebbe fidato di un soggetto simile?

«Hai mai pensato di farti vedere da qualcuno bravo per questi tuoi cambiamenti di umore/personalità? Ti assicuro che una donna sotto ciclo non ha i tuoi sbalzi ormonali.»

Luke si voltò per un attimo verso di me, fissandomi basito, per poi tornare a concentrarsi sulla strada davanti a sé, la quale continuava a salire verso l'alto in una serie di curve scoscese. Pregai che quella ferraglia su cui ci trovavamo non si ribaltasse; a quanto pare la mia vita era in costante pericolo quando mi trovavo insieme a lui.

«Mi stai dando della donna mestruata?»

«O in sindrome premestruale, dipende quale tipologia di donna sei. Se fai parte dello schieramento di quelle a cui gli girano sotto ciclo o prima.»

Scoppiò a ridere, battendo una mano sul volante per enfatizzare quanto trovasse assurde e divertenti le mie parole, anche se io in realtà ero serissima.

Ero pronta a rifilargli un'altra delle mie frecciatine sarcastiche, ma proprio in quel momento il furgone iniziò a rallentare, fino a fermarsi su una piccola piazzola fatta di ciottoli, che produssero un rumore stridente a contatto con i pneumatici. Dal finestrino non riuscivo ancora a comprendere dove ci trovassimo, a causa del buio e della scarsa illuminazione di quella zona. Così, quando lui scese dal suo lato, io feci altrettanto, dal momento che come si suol dire: "avevo fatto 30, facciamo 31".

Appena misi i piedi a terra iniziai a guardarmi intorno con fare circospetto, attendendomi un'imboscata da qualche suo amico delinquente da un momento all'altro. Invece mi si mozzò il respiro, ma non per il terrore, perché compresi dove mi aveva condotta semplicemente guardando alla mia sinistra.

Eravamo al Faro.

Non ci ero mai stata, nonostante ormai vivessi in quella città da due anni, proprio perché per arrivarci era meglio avere un'auto, vista la strada estremamente accidentata. Osservai come affascinata quella luce in alto che continuava a girare intorno a se stessa, rischiarando il cielo notturno per ricondurre le navi sulla via di casa.

Luke mi affiancò, prendendomi per mano e spronandomi a seguirlo ai piedi di quell'enorme struttura in cemento bianco. Oramai quel contatto era diventato naturale tra di noi, per quanto la cosa sembrasse un po' assurda, dati i nostri continui battibecchi, ma quella trasmissione di calore dal suo corpo al mio era un qualcosa che era entrato a far parte di noi senza neppure che ce ne rendessimo conto.

Proprio alla base di quella costruzione candida, che squarciava l'oscurità della notte, vi era come una piccola passerella in cemento con dei lampioni posti uno di seguito all'altro a illuminarne il percorso, come delle piccole briciole di pane da seguire in una fiaba, e che si affacciava su di una scogliera che dava sul mare.

Ci fermammo proprio sotto i piedi del faro in silenzio, catturati entrambi da quello scorcio notturno di mondo, quelle luci in lontananza che si rispecchiavano sulla superficie d'acqua completamente nera. Non una parola, non un respiro, solo il rumore del vento e delle onde che si infrangevano sugli scogli sotto di noi a riempire quel momento.

Un fruscio come di carta mi riscosse da quel dolce torpore. Mi voltai verso Luke, notando che teneva in mano un foglio di carta bianco, il quale stava piegando in più parti.

«Che fai?» gli domandai, non capendo il senso di mettersi a fare origami proprio in quel preciso momento, anche se con lui la logica aveva sempre meno rilevanza.

Non mi rispose, continuando a lavorare con abili mani a testa bassa. Una volta completata la sua opera me la mostrò. Era un aeroplanino di carta, di quelli che si facevano da bambini, ma a cui io onestamente non ero mai riuscita a far fare più di 10 centimetri di volo in orizzontale continui; diciamo pure che l'aerodinamica non era mai stata il mio forte. Lo allungò verso di me, insieme a una penna biro che aveva tirato fuori dalla tasca posteriore dei suoi jeans, prima di iniziare finalmente a parlare.

«Mio nonno, quando ero piccolo, mi ha insegnato a farli, mentre mia nonna diceva che se ci scrivevo un desiderio sopra, che fosse qualcosa di piccolo e non impossibile, e poi lo lasciavo volare via, si sarebbe realizzato. All'inizio non le credetti, ma un giorno mi decisi a provare. Ci scrissi sopra una scemenza, tipo: "Vorrei mangiare del timballo per pranzo", senza specificare il giorno, e quella settimana successe. Da quel momento iniziai a farlo quando mi sentivo un po' giù. Continuavo a chiedere sempre delle piccolezze come: "Vorrei che oggi ci fosse il sole", o "vorrei comprarmi quel libro di Bukowski che ho visto in libreria". Potevano metterci tempo, o anche anni alcuni ad avverarsi, ma quando succedevano mi sentivo bene, come se potessi ottenere tutto dalla vita. Capii il senso della richiesta di mia nonna di non desiderare nulla di impossibile solo crescendo: se riusciamo a sorprenderci per le piccole cose, queste avranno un sapore nuovo e ci stupiranno molto più di qualcosa che sembrava impossibile, ma che una volta ottenuto sarà solo un battito di ciglia. Oggi si vede che hai bisogno di tornare a sorprenderti per una sciocchezza, quindi prova tu, topino!»

Altro colpo diretto allo stomaco. Quel ragazzo non parlava molto, ma quando lo faceva era uno schiaffo all'animo e alle proprie certezze da cui difficilmente ci si riusciva a riprendere.

Afferrai quello che mi stava porgendo, rigirandomelo tra le dita per poterlo esaminare meglio. Si vedeva che ne doveva aver costruiti molti in passato di aeri di carta; quello sembrava perfetto. I miei per lo più erano assolutamente asimmetrici: o troppo lunghi da un lato, o troppo larghi, insomma, non andavano mai bene, e molto probabilmente era quello il motivo per cui non riuscivo mai a farli volare come avrei voluto.

Chiusi gli occhi, alla ricerca nel mio animo di un piccolo desiderio che si sarebbe potuto avverare prima o poi. Fu come un lampo nella mia mente e lo trascrissi rapida all'interno dell'aeroplanino, richiudendolo infine esattamente come mi era stato consegnato. Portai un braccio dietro alla testa e lo spinsi in avanti, lasciando la presa sulla carta. Osservai per un po', prima che venisse inghiottito dalle tenebre della notte, il mio desiderio solcare l'aria ed il mare dinanzi ai miei occhi.

Rimasi lì, continuando a contemplare il panorama davanti a me per un tempo indefinito, con il mio desiderio aggrappato a quell'aereo che se ne andava via chissà dove, e il faro alle mie spalle che continuava ad indicargli il cammino. In quel momento pensai che mi sarebbe piaciuto essere come quei due oggetti: libera di solcare mari e cieli e allo stesso tempo solida e stabile su me stessa, il centro del mio mondo, capace di illuminarmi da sola la strada che volevo percorrere. Erano pensieri confortanti, e che allo stesso tempo aprivano una voragine di inquietudine dentro di me, perché sapevo di essere ben lontana da trovare la mia identità, molto lontana dal potermi accettare e ignorare per sempre le opinioni altrui.

Un "Click" familiare richiamò la mia attenzione, portandomi a voltare una seconda volta di scatto. Non mi ero accorta che uscendo Luke avesse preso la mia macchina fotografica, che ora stava impugnando con il mirino puntato nella mia direzione. Stavo per sbraitargli contro, perché nessuno era autorizzato a toccarla ad eccezione di me. Ma prima che potessi anche solo fiatare, lui si fece avanti, facendomi passare la cinghia della fotocamera intorno al mio collo, per poi poggiarla sui miei palmi.

«Talvolta per essere noi stessi, dobbiamo prima vedere e accettare anche ciò che non vogliamo vedere, Ollie.» Con quella sua semplice affermazione mi incitò a guardare il contenuto tra le mie mani, e quello che vi trovai, mi tolse le parole insieme al respiro che stavo esalando.

Era una mia foto. O meglio, uno scatto del mio viso illuminato dai lampioni che ci circondavano. Guardavo verso l'orizzonte, con i capelli mossi leggermente dal vento e uno sguardo triste a marcare i lineamenti del mio volto, perso, e allo stesso tempo amareggiato. Lo sguardo di chi aveva accantonato se stesso e rimpiangeva le scelte fatte, lo sguardo di chi avrebbe solo desiderato volare nella direzione che stava osservando: lontano verso mondi inesplorati... lontano verso sogni dorati.

Alzai gli occhi su Luke che mi stava scrutando con un piccolo sorriso... un sorriso che arrestò i miei battiti, sostituendoli con il rumore delle acque che ai miei piedi continuavano a spezzarsi contro gli scogli, accompagnate dall'ululare del vento che si era alzato imperioso esattamente come le mie emozioni, perché in quel preciso istante mi resi conto che lui sapeva... lui aveva capito... o ancora peggio... lui mi stava vedendo!

Lui stava vedendo parti di me che non doveva neppure vagamente scorgere, perché erano un qualcosa che non ero disposta a guardare in faccia nemmeno io. Perché vedere davvero e limitarsi a guardare non erano sinonimi. La differenza che intercorreva tra queste due espressioni era paragonabile allo strapiombo dinanzi a noi, e da cui mi sembrava di essere in procinto di precipitare. Guardare implicava il limitarsi a osservar l'involucro esterno con cui ciascun essere umano si riveste negli anni per difendere la propria parte interiore. Vedere, invece, voleva dire insinuarsi sotto gli strati di finzione e accondiscendenza che si erano indossati, esattamente come i suoi occhi scuri stavano facendo con me, rendendomi nuda al suo cospetto.

E la cosa... non mi piaceva affatto.

Eccoci nuovamente qui. E' riuscita anche questa volta a sorprendervi la nostra scimmietta? Ad Ollie decisamente si ;) Vi avevo preannunciato che avremmo scoperto ancora molto su questo enigmatico ragazzo, e vi avviso che questa folle serata per il nostro topino e la nostra scimmietta non è ancora finita! Ebbene si miei cari, deve succedere ancora altro... chi sa quale sarà il prossimo colpo di scena? ;)

Mi auguro come sempre di avervi divertiti, ma che allo stesso tempo stiate iniziando a comprendere meglio il legame particolare che comincia ad instaurarsi tra questi due ragazzi!

Ora io chiedo l'aiuto di chiunque conosca anche solo mezza parola di tedesco, mi accontento anche se avete un lontano antenato proveniente dalla Germania a questo punto, perché io questa volta sono veramente terrorizzata da quello che sto per scrivere scrivere... 

ZUM NäCHSTEN PYJAMA

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