XXVIII. Tortuga: Pensa a cosa provi per lei

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La piccola barca era ormeggiata nei pressi del frastagliato approdo di rocce nere tramite una corda spessa quanto sgualcita, legata attorno a un appiglio sporgente su di una grande pietra dalla forma ovale. Susan, a bordo con Stephen, ricordava come quel punto fosse sempre stato il riferimento dove sbarcare ogni volta che visitava la grotta marina con Lavy, proprio per la sua forma favorevole per legarci attorno l'esiguo sartiame di cui disponevano.

Una nebbiolina abbracciava il circondario, celando in parte l'imbarcazione al suo interno e conferendo ai due fattezze spettrali, accovacciati l'uno di fronte all'altra nell'immensità del mare. Le loro silhouette in lontananza erano opache, scurite dalla penombra che i raggi solari gettavano su di loro, piovendo dall'alto attraverso il banco di foschia grigio.

La ragazzina dalla chioma di paglia osservava il compagno, il riverbero cremisi che la luce formava riflettendo il colore rosato dei suoi occhi era tenue come un tramonto.

Susan tradiva un certo tremolio, poiché era la prima volta che osava avventurarsi così lontano senza la sua amica. Non poteva fare affidamento sulla sua innata sicurezza e il suo spirito baldanzoso, ma era proprio quello il punto. Doveva riuscire ad accrescere il suo coraggio, la sua indipendenza. Arrivare all'interno di quel posto iconico per lei e Lavy poteva essere un modo simbolico per cominciare.

Magari da sola sarebbe stato rischioso, ma provarci con l'aiuto di qualcun altro capace di aiutarla qualora fosse successo qualcosa, come Stephen Cook, credeva fosse un buon inizio. Col tempo, avrebbe imparato man mano a cavarsela da sola, così da stupire in positivo la sua compagna nel giorno della loro riunione, mostrandole com'era diventata autonoma.

Non sarebbe più dipesa da lei.

"Allora... è questo il posto di cui mi parlavi?" esordì Stephen. Il suo sguardo analizzava la struttura particolare del posto, soprattutto l'insieme di rocce cilindriche simili a colonne spezzate dal colore nero pece, che si susseguivano lateralmente alla parete della grotta, come fossero spartani gradini di un'antica cattedrale. La peculiarità era proprio che quella sorta di scalinata era naturale, composta di pietre vulcaniche che nel tempo avevano acquisito quella disposizione unica.

L'ingresso mozzava il fiato con la sua verticalità. Tutto era sommerso per intero dall'acqua, tranne le file di rocce che si affiancavano l'un l'altra su entrambi i lati, a creare vere e proprie piattaforme su cui sedersi.

"Esatto, qui io e Lavy venivamo a chiacchierare e ammirare il panorama insieme." confermò Susan, le guance un po' arrossate al ricordo. "Dall'interno si scorge anche l'isola di Iona, in lontananza."

"Mh-mh... e mi spieghi perché hai voluto portarmi qui? Ho dovuto remare per ore e sembra un posto un po' impervio. Anche se devo dire che è proprio questo a renderlo affascinante."

Susan si alzò con fare pratico. "So che non hai nulla che ti leghi a questo luogo, e so anche che potrei sembrarti egoista a trascinarti fin quaggiù, ma c'è qualcosa che vorrei assolutamente fare." guardò altrove, senza incontrare gli occhi del giovane. "Sai, ogni volta che tornavamo qui, io mi facevo portare da Lavy in spalla perché non riuscivo ad arrampicarmi su quelle rocce per arrivare all'ingresso. Mi sembrava di dipendere da lei, e quando se n'è andata, questa sensazione è solo diventata più forte. Vorrei poter imparare a fare più cose da sola. Vorrei poter raggiungere questo posto quando mi va, senza l'aiuto di nessuno." Le guance della ragazzina si gonfiarono in un'espressione inorgoglita un po' infantile, ma con una accenno di consapevolezza negli occhi che fece comprendere a Stephen quanto tempo avesse passato a scervellarsi al riguardo, e che gli strappò un sorriso divertito.

"Solo che hai paura di iniziare da sola perché non ti senti in grado, ho capito." sogghignò, mentre lei guardava altrove, imbarazzata e un po' imbronciata per l'ammissione sottintesa che il suo silenzio implicava. "Se è così, allora non c'è problema. Ti aiuterò io finché non ti sentirai sicura." concluse il pescatore.

"D-davvero? Non sei costretto, comunque..." farfugliò lei.

"Non dire sciocchezze, ci proveresti lo stesso per conto tuo, e non starei tranquillo a sapere che ho lasciato una bambina da sola in una grotta in mezzo al mare." rimbeccò Stephen.

"Mi dispiace di annoiarti coi miei problemi."

"Tranquilla, non ho comunque nulla da fare a quest'ora, di solito. Pesco la mattina presto, io. E poi, tu sei mia amica. Voglio aiutarti." rassicurò il ragazzo, con aria allegra.

Susan si lasciò sfuggire un sorriso grato, sollevata dentro di sé per com'era andata a finire. "Grazie, Stephen." sussurrò.

Così, i due scesero dalla barca, e raggiunsero la base in ribasso delle prime colonne spezzate ai lati della grotta. Susan tremava a ogni passo, ma Stephen pareva essere a proprio agio nel mantenere l'equilibrio e restava sempre accanto a lei. Quando rischiava di perdere attrito per la superficie stretta e umida delle rocce, lui le prendeva la mano e la sosteneva con la sua forza. Di questo passo, salirono sempre più verso l'ingresso.

Susan, non si lasciò trasportare, nemmeno quando, a metà strada, su un passo più stretto della media, commise l'errore di guardare in basso e vide le onde schiumare contro la superficie laterale del suo appoggio con violenza. Strabuzzò le palpebre e iniziò a respirare rumorosamente. Ma la mano di Stephen dietro la sua schiena la sorreggeva e le donava coraggio, una determinazione che campeggiava dentro la sua anima e lei stessa stentava a credere di possedere.

"Forza, Susie. Ci siamo quasi." le sorrise, rassicurante. Il suo sguardo era fermo, ma lasciava intravedere anche una certa spericolatezza che contagiava la ragazza.

"Sì!" esclamò, stringendo le palpebre con risolutezza.

Gli ultimi due gradini li superò senza tenere Stephen per mano.

Arrivò sulla piattaforma pietrosa a sinistra della grotta, e si fermò, colma di adrenalina e pura gioia. La soddisfazione per avercela fatta era indescrivibile.

Appena il compagno di avventura la seguì, lei lo abbracciò d'istinto.

"Grazie... grazie!" quasi singhiozzò.

Stephen capì la foga del momento, e ricambiò, dandole delle pacche amichevoli sulla spalla. "Su, su... è bello vedere che anche tu sai lasciarti andare."

Si sedettero vicini, guardando l'orizzonte con volti sorridenti. Susan se ne stava con le ginocchia contro il petto, avvolte da entrambe le esili braccia, mentre l'altro era a gambe incrociate. Il tiepido suono del mare rifletteva alla perfezione l'atmosfera placida di quel momento, nonché l'animo ora rilassato della ragazzina bionda. L'isola di Iona si stagliava lontana, azzurrina per la distanza, a occidente rispetto alla costa di Fionnphort.

"Allora? Cosa le dirai una volta che l'avrai rivista?" chiese Stephen, guardandola con la coda dell'occhio.

"Eh?" prese tempo Susan. "N-non saprei... a dire il vero, non sono nemmeno sicura che ci rivedremo. Non ne so molto, ma il mare è pericoloso, specie per i pirati."

"Beh, è vero, ma io sto parlando dell'eventualità in cui vi rivedrete. Avrai pur pensato a qualcosa che vuoi comunicarle, no? A cosa farai. Altrimenti non avresti messo su questa piccola avventura, trascinandomi con te." sghignazzò lui, col solito zelo. "Prova a pensare a cosa provi per lei, e magari ti verrà la risposta."

Susan però era ancora indecisa. In effetti, non aveva riflettuto su cosa con esattezza le avrebbe detto. Credeva che le sarebbe venuto naturale, al momento, ma adesso non escludeva a priori la possibilità che rimanesse senza parole. Tra l'altro, chissà come sarebbero cambiate entrambe. Se c'erano cose che il tempo non mutava, tra queste era incluso un legame come il loro?

Susan ci sperava con tutta sé stessa.

"Forse le dirò ciò che sentirò in quel momento. Non ha senso pensarci prima, quando tutto può cambiare facilmente nel tempo." disse, infine.

"Ha senso." Stephen le rivolse un sorrisetto ironico dei suoi, e tornò a fissare il mare.

La ragazza ricambiò e fece lo stesso, per poi riflettere sulle parole dell'amico. "Cosa provo per lei... Ho paura di non saperlo bene, adesso. L'unica cosa di cui sono sicura, è che mi manchi ogni giorno di più, Lavy." Affondò le guance tra le ginocchia, mantenendo solo gli occhi rivolti verso il mare. "E questo panorama non fa altro che ricordarmelo ancora di più."

La sala principale della Steady Dock Inn era sempre caratterizzata da un gran fracasso.

Mugolii, battutacce e risate varie provenienti dagli avventori, spesso e volentieri balordi ubriachi fin da mezzogiorno, orario in cui si svegliavano dalla sbornia precedente, risuonavano in una cacofonica melodia. Tutto era quantomeno allietato dalle note di alcuni musicisti che rallegravano l'ambiente col loro talento dall'esterno, sulla piccola balconata riempita da tavoli in legno, eseguendo allegri motivetti accattivanti.

Dal piano superiore, come sempre, si udivano scricchiolii e gemiti smorzati, il frutto dell'apprezzato servigio offerto dalle donzelle incantevoli che lavoravano presso la locanda.

Immerso in quell'atmosfera rustica, Jack Rackham riusciva comunque a rubare la scena, seduto su un tavolo nei pressi della parete che precedeva la rampa di scale alla sua sinistra. Davanti a lui, un foglio ampio recava su di esso lo schizzo di un simbolo da lui appena ideato.

Attorno all'uomo, Flicker, Kidd e Anne Bonny osservavano il suo lavoro con occhi critici.

"Allora, che ne pensate?" Jack, evidentemente esaltato, ammiccava verso il teschio minaccioso a cui erano sovrapposte due tibie incrociate. "Sarebbe perfetto da issare sulle vele delle nostre navi, no? Ci darebbe una certa identità e arrecherebbe timore ai nemici che ci incontrano per mare." Il quartiermastro dell'equipaggio di Charles Vane si espresse con la solita tonalità zelante e persuasiva.

"Ah-ah, e suppongo che sventolare ai quattro venti che siamo ladri e sgozzatori del cazzo ci farà sopravvivere a lungo, Calico Jack." Il primo ufficiale, Anne, come sempre lo contraddisse coi suoi modi rudi, chiamandolo col suo soprannome.

Tutti a bordo della Roger, e in generale tra i pirati, lo chiamavano in quel modo a causa dell'immancabile foulard di tessuto fine, chiamato appunto calico, che indossava al collo. La sua eleganza nel vestire in contrasto con la vita grezza e scomoda che conduceva in quanto corsaro era ormai come un marchio indelebile per lui, tanto che persino nella sua taglia rilasciata dalla corona inglese era presente l'appellativo: "Calico" Jack Rackham.

Anne ricordava ancora quanto quella sua peculiarità l'avesse sia divertita che interessata, la prima volta che l'aveva incontrato, anni prima. Lei era fuggita dalle piantagioni di quel despota di suo padre, mentre lui aveva perduto ogni cosa, non che avesse altro a parte una madre alcolizzata e una piccola bottega di vestiti. Si erano dati uno scopo a vicenda, quando entrambi l'avevano ormai perso.

"Ma è proprio questo il punto, cara Bonny!" arguì Jack. "Non dobbiamo nasconderci come comuni topi, ma rivendicare la nostra sete di libertà, di indipendenza dai giochi di potere a est. Tutti sapranno chi siamo e cosa vogliamo fin da quando Henry Every sbarcò a Nassau e la proclamò terra libera. E guai a chi vuole negarcela, libertà! Libertà!" iniziò a canticchiare, un po' delirante a causa del quarto bicchiere di whisky che si era concesso. Tuttavia, credeva fermamente negli ideali che aveva espresso, da sempre.

"Siamo dei tagliagole di merda che non hanno voglia di pagare le tasse e rubano ciò che desiderano. Punto e basta. Non cercare di renderla più poetica di quello che è." sbottò Anne, cinica.

In tutta risposta, Jack le accarezzò i capelli, ormai brillo. Lei sospirò e alzò gli occhi al cielo, tornando ad appoggiarsi con le spalle al muro, accanto a Kidd.

"In ogni caso, se il capitano Vane vuole creare un consorzio, e una vera repubblica, un simbolo potrebbe fare al caso nostro." intervenne Flicker con la sua calma.

"Anch'io la penso così." concordò Kidd. "E penso sarebbe bello se ognuno... stilizzasse il suo teschio."

"Che intendi?" chiese Anne, voltandosi, curiosa.

Il contatto coi suoi occhi chiari era sempre tanto intenso da suggestionare chiunque, notò Kidd con una certa apprensione. "Ecco, per esempio Lavy, siccome combatte con due sciabole, al posto delle ossa incrociate sotto al teschio mostrerebbe quelle sulla bandiera."

"Questa, Kidd, è un'ottima idea!" esclamò Jack, indicando nella sua direzione con vigore. "Hai gusto, lasciatelo dire."

"Ma no..." farfugliò Kidd, arricciandosi la treccia tra le dita. In quel momento sembrava davvero una bella ragazza. Ma anche un ragazzo dai tratti gentili, a seconda della prospettiva.

Anne si avvicinò lentamente, ancheggiando appena da far percepire l'inguine contro la sua coscia. "Già, quanti talenti nascosti..." L'odore selvaggio di salsedine della rossa invase le narici di Kidd, che si irrigidì di riflesso, le guance rosse.

Lei percepì il gradimento nei suoi atteggiamenti, e colse la palla al balzo. In un soffio, sussurrò qualcosa al suo orecchio, indicando poi il piano di sopra con un rapido cenno del capo. A quel punto, l'integrità di Kidd vacillò definitivamente.

"I-io non so se... A quest'ora, poi..." balbettò,

Guardò Flicker di sottecchi per valutarne la reazione, ma questo si era messo a lucidare la sua katana come se niente fosse, estraniatosi dal mondo in un lampo.

Fu lo spalancarsi violento del portone dal lato opposto della sala a salvare Kidd da quella sensuale morsa. Colui che ne fece capolino però non riappacificò affatto il suo animo turbolento. Bensì, lo macchiò di una frenesia più amara.

Conosceva quello sgradevole uomo, e dall'occhiata truce che Anne gli aveva rivolto all'improvviso, doveva essere lo stesso per lei, così come per Jack, che si fece d'un tratto serio.

"Ebbene, signori, datemi alcool e puttane a volontà!" gracchiò, sguaiato, il pirata che tutti riconobbero come Boyd Lafonte.

Il brusio attorniante non si fermò, ma di certo il cambiamento che scaturì dal silenzio piombato d'improvviso in quell'angolo di taverna fu sensibile.

Jack e Anne ricordavano entrambi bene la notte in cui avevano visto quella che al tempo era solo una ragazza briosa e troppo ingenua uscire da quella stessa porta con Tomas Galano. L'allora quartiermastro del capitano che ora dominava la scena al centro della stanza, un gran sorriso mellifluo a sfoggiare la sua dentatura annerita.

I capelli d'un biondo sporco tutti tirati verso destra celavano una porzione di fronte, donando all'uomo un'aria ambigua accentuata dalle guance scavate e le sopracciglia sottili. Si riusciva ad avvertire il tanfo di rum che emanava sin dai dieci metri che separavano il gruppo da lui.

"Ma guarda chi si vede... Gli animaletti di Charles, che mi raccontate di bello?" Boyd li notò e si approcciò a loro, ordinando al contempo del rum con un cenno sbrigativo alla perennemente accigliata banconista.

"Boyd." salutò Jack, in un tono che palesava la sua estrema gioia nel vederlo. Anne invece si limitò a sputare per terra.

Nel frattempo, Kidd osservava l'uomo che conosceva solo di fama con aria di dubbio, così come Flicker. Ricordavano la reazione di Lavy alla sola vista di uno dei suoi uomini, pochi giorni prima. Ricordavano soprattutto la sua testa tranciata di netto dal collo in un getto copioso di sangue vivo.

Forse quel giorno avrebbero scoperto cosa c'era stato tra loro due. Fatto stava, che per qualche ragione Flicker sentì i suoi muscoli irrigidirsi d'istinto, oltre alla fatica nel trattenere l'indole violenta sbocciata in lui.

"Ho saputo che avete racimolato un bel gruzzolo spagnolo, allora fate anche altro a parte gettare sguardi torvi a chi non vi piace." Il tono ironico di Boyd era ancora più soverchiante della sua presenza per via della sua voce acuta, ma roca. Come un guaito soffocato, il verso di un coyote famelico.

Il suo sguardo indugiò per un attimo su Anne, come a sottolineare che quella provocazione fosse diretta soprattutto a lei. Accentuò il gesto con un occhiolino, che l'altra ricambiò posando la mano sullo stiletto nella cintura, accompagnando il tutto con un'occhiata eloquente.

Boyd si limitò a sospirare, mentre Jack prendeva la parola.

"E tu fai altro oltre a stuprare, ubriacarti e combattere la sifilide? Non necessariamente in questo'ordine, s'intende. Magari fai tutte queste cose insieme, chissà." rimbeccò quest'ultimo.

"Aggiungerei organizzare omicidi e congiure." continuò Flicker.

"Prego?" Boyd lo squadrò da capo a fondo dall'alto, mentre lo spadaccino schermava i suoi occhi, le iridi glaciali che non mostravano il minimo segnale di timore. "Tu chi cazzo saresti, eh? Per chi lavori, bel guerriero dell'est?" indicò col mento la sua katana.

"Questo dovremmo chiederlo noi a te." soggiunse Kidd, in tono brusco ma col viso sereno. "Ti dice niente il nome Edward Low? Da poco ha dovuto lasciare Nassau con un bel ricordino in faccia, ma forse tu lo sai già. E se non sbaglio, entrambi siete affiliati di Bartholomew Roberts. Così come immagino saprai qualcosa su un certo attentato al capitano Sabers, proprio in questa locanda..."

Quelle incalzanti accuse, sommate alla menzione di quell'appellativo in particolare, incrinarono per un attimo il muro di sicurezza e ghigni di Lafonte, il quale si ombrò per una fugace frazione di tempo. Il suo solito atteggiamento però tornò con eccezionale rapidità.

"Non so di cosa stiate parlando." sorrise a Kidd.

"L'uomo che ha assalito Lavy era tuo. Così ha detto lei." disse Flicker, senza mai staccare gli occhi da lui per un secondo.

"Hai un po' di cose da spiegare, caro Lafonte." sogghignò Jack, arrotolando affabile la pergamena col teschio stilizzato.

"Ehi, non sono mica suo padre! Non posso controllare ogni puttanata dei lordi bifolchi sulla mia nave. Sono un bel po' di persone e non tutte, come dire, affidabili. Comunque sia, non so cosa diamine passasse per la testa di quell'idiota e non voglio nemmeno scoprirlo, però mi prendo la responsabilità per la cazzata che ha fatto, se è questo che vuoi sentire." Boyd allargò le braccia, i suoi modi noncuranti e alla buona riuscivano a rendere ogni cosa che diceva plausibile. Costringevano a fidarsi delle sue parole anche quando non si voleva. Anche quando non si credeva a una sola virgola. "Sono qui solo perché ho sentito la voce sul consorzio di Vane, e voglio che la cosa sia fatta bene. Dopotutto, dobbiamo restare tutti uniti per i nostri interessi comuni, no? Anche quelli del capitano Sabers."

Il modo in cui evidenziò il titolo con velata beffa per poco non condusse Flicker a perdere il controllo. Era sempre calmo, posato, distaccato dai conflitti in favore della lucidità che gli permettevano di leggere le situazioni. Ma quell'uomo era capace di minare quelle sue qualità con facilità disarmante.

Non ebbe il tempo di dire né fare nulla, però. Poiché la porta d'ingresso fu aperta di nuovo. Stavolta la persona che ne fece capolino rimase impietrita un attimo dopo aver varcato la soglia.

Così come Boyd Lafonte, nel momento in cui si voltò e incontrò lo sguardo spiritato di Lavy Thomson trafiggerlo come una lama di ghiaccio.

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