Capitolo 9- Una Serata Movimentata

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Afferrai l'ennesimo drink che il barista mi aveva preparato e mi voltai verso colui che ora mi guardava con disapprovazione. «Mi spieghi perché mi hai seguita se poi devi fissarmi tutto il tempo con quell'espressione sul viso?»

«Me l'hai chiesto tu di venire.»

Sì e sinceramente me ne ero già pentita.

Feci vagare il mio sguardo attorno stanca della sua presenza: era una serata movimentata, il locale era pieno e la gente più euforica del solito. Mi beai della loro vista e della loro gioia a cui purtroppo non potevo avere accesso.

In mattinata si era svolta la funzione funeraria di Patrick. Naturalmente non mi ero dimenticata la minaccia della moglie se mi fossi presentata, ma ero riuscita a trovare un compromesso: l'avevo seguita da lontano, in disparte.

La bara era rimasta chiusa durante l'intera cerimonia e mi ero dovuta trattenere dall'imitare gli altri a raggiungerla e a sfiorarla per un ultimo saluto. Il mio sguardo non era riuscito, però, a staccarsi dal bambino che aveva seguito la funzione al fianco di sua madre e che la somiglianza con il padre era così evidente da lasciarmi senza fiato.

Quest'ultimo aveva pianto tra le braccia di sua madre al momento della sepoltura, straziandomi l'anima e facendo tornare a galla i miei sensi di colpa che continuavano a esserci e a soffocarmi dal peso di qualcosa che non riuscivo a comprendere o a cui non ero riuscita a porvi rimedio.

Avevo aspettato che la gente si fosse diramata, per poi avvicinarmi alla lapide in solitudine: avevo rimirato la fotografia scelta e un amaro dolce sorriso era comparso sulle mie labbra per i ricordi che mi aveva fatto riaffiorare. Non ero riuscita a trattenermi e una lacrima era scappata sul mio volto, velocemente l'avevo tolta. Poi dando le spalle a quello che credevo ormai essere il passato, me ne ero andata in silenzio.

Tornai alla realtà sentendo nuovamente lo sguardo di James su di me. Sospirai e spostai l'attenzione sulla pista da ballo dove un tizio non aveva smesso un attimo di fissarmi da quando ero entrata nel locale, mantenni lo sguardo nel suo.

«Hai finito?»

Mi voltai verso James. Non era mica geloso? Sorrisi e mi alzai dallo sgabello su cui ero seduta. «La notte è giovane, rilassati, e trova qualcuna con cui divertirti: il locale ne è pieno.» Appoggiai il bicchiere al bancone e, dopo avergli gettato un'occhiata eloquente, m'incamminai verso la pista per poter diventare una delle tante persone che ballavano senza pensare al domani.

«Dove vai?» mi chiese.

«A ritrovare me stessa.»

Mi guardò confuso e me ne andai raggiungendo la massa di gente che non faceva altro che muoversi a ritmo della musica. Lo sconosciuto mi si avvicinò sorridendomi, come a chiedere il permesso per un tacito invito a ballare. Iniziai da sola sotto il suo sguardo languido, poi mi strinse a sè e danzai per lui. Volevo dimenticare e questo era l'unico modo che conoscevo. Le sue mani furono ovunque senza farmi il minimo effetto, mi toccavano per trattenermi. Si era già eccitato quando non incrociai il mio sguardo con una persona che sembrava del tutto intenzionata a non volermi lasciare in pace. Mi fissò con uno sguardo indecifrabile e ricambiai curiosa di vedere fino a dove si sarebbe spinto e, vedendo che non fosse per niente propenso a distoglierlo, lasciai perdere per prima. Mi concentrai sul mio corpo e presi a muovermi con più audacia addosso all'uomo che mi stava alle spalle, incoraggiandolo ancora di più ad avvinghiarsi a me. Alzai lo sguardo per trovarlo nella stessa identica posizione e con gli occhi ancora attenti sulla sottoscritta, un cipiglio sorse sul mio volto e sentii la rabbia crescere, non capivo che cosa volesse.

Mi infervorai e mi voltai dandogli le spalle, mi ritrovai con il voto dello sconosciuto a poca distanza dal mio, il suo alito su di me mi infastidì, ma lo stesso decisi di continuare lo spettacolo a cui non poteva far a meno di assistere quello strano agente. Afferrai per i jeans il povero malcapitato, avvicinandolo maggiormente a me, poi alzai il volto pronta a commettere delle prodezze quando sentii afferrarmi e tirarmi via con forza. James spintonò con forza lo sconosciuto, per poi trascinarmi con forza verso l'uscita. 

«Che cavolo credi di fare?», sbottai. Strappai il braccio dalle sue grinfie e m'inalberai in mezzo al locale. 

Lui mi guardò, provando a farmi la predica. «Cosa credo di fare io? Ma ti sei vista? Perché visto da fuori non era per niente un bello spettacolo.»

«Dov'è il problema? Perché io non lo vedo e sinceramente detto dall'uomo che è venuto a letto con me dopo neanche tre secondi dall'avermi conosciuta, lo trovo alquanto ridicolo.»

Si tese e sembrò prendersela ma rimase in silenzio e, approfittandone della sua resa, fuggii dalla parte opposta del locale passando in mezzo alla fitta massa di gente che indisturbata continuava la sua serata.

Prima di uscire dal locale, andai a prendere l'ultimo drink, poi sorpassai i bodyguard all'ingresso e m'incamminai verso l'unico posto in cui mi sarei riuscita a calmare. Bevvi il drink tutto d'un sorso e mi accesi una sigaretta, consumandola durante la camminata.

Una volta raggiunta la mia meta, mi tolsi le scarpe e immersi i piedi nell'acqua del fiume, nel punto esatto in cui la gente d'estate era solita recarsi per passare qualche ora in riva al fiume a rinfrescarsi; l'unica differenza era che non essendo stagione era completamente a mia disposizione.

A contatto con l'acqua fredda mi sentii rinascere e chiusi gli occhi immaginando una canzone in sottofondo che accompagnasse il mio lento dondolare. Mi mossi a passo di danza lasciandomi cullare dal vento e dal lento rumore dell'acqua contro la banchina. Vivienne... Il ricordo della voce di Patrick mi risuonò nella testa lasciandomi con un vuoto che non sapevo come colmare. Sospirai e, ruotando su me stessa, mi paralizzai nel vedere chi mi aveva seguita e che si era posizionato alle mie spalle, a distanza. Lo guardai basita, poi decisi di ignorarlo: l'ultima cosa di cui avevo bisogno era sentire un altro dei suoi discorsi. Mi addentrai nell'acqua e cercai di trattenermi dall'insultarlo quando si avvicinò. «L'ho vista oggi», disse.

Alzai lo sguardo sull'agente e corrucciai lo sguardo un attimo destabilizzata dalla sua ammissione e dal suo accennare al funerale. Non dissi nulla per diversi attimi, preferendo tacere sull'argomento ma alla fine, ripensandoci, non ce la feci e l'affrontai. «E io l'ho vista l'altro giorno e oggi: sono un po' troppe coincidenze, non crede?»

«Le posso assicurare che sono solo coincidenze.»

Sospirai a vuoto e mi voltai verso di lui. «Sarà, ma stiamo rasentando l'estremo: non riesco a capire che cosa vogliate da me.»

«Gliel'ho già detto cosa voglio, signorina Cataldi.» La determinazione con cui lo disse m'impedì di distogliere lo sguardo dal suo.

«La smetta di ripeterlo e mi chiami Vivienne tanto da quello che ho capito non riesce a fare a meno di perseguitarmi, agente...» mi resi conto solo ora di non sapere minimamente chi fosse.

Mi porse la mano e la guardai titubante. «Jonathan. Solo per lei, Vivienne.»

Non mi sfuggii il sarcasmo che usò. Mi voltai seccata senza ricambiare la stretta di mano. Una risata sarcastica mi scappò dalle labbra, incuriosendolo, ma questa situazione aveva del ridicolo.

Se credeva che fingersi in amicizia mi avrebbe convinta a passare dalla sua parte, allora si sbagliava di grosso, ma amavo avere l'ultima parola e la sfida era il mio pane quotidiano e in un certo senso questo agente aveva tutti i requisiti per tirare fuori il peggio di me.

Afferrando il bordo del vestito, lo sollevai sfilandomelo dalla testa e poi anche l'intimo, li lanciai a distanza sui sassi e m'incamminai dentro l'acqua, girandomi nella sua direzione. Era rimasto pietrificato, poi si girò di lato per non dovermi guardare, facendomi sorridere vittoriosa. «Si può sapere che sta facendo? Sarà gelata, anzi sono sicuro che lo è.»

«Lei è sempre così?», domandai. «Impari a lasciarsi un po' andare, Jonathan» lo presi in giro. 

«Non si preoccupi, ho i miei modi per lasciarmi andare.» Un sorriso sghembo comparve sul suo volto. «Ma, ora, venga qui e lasci perdere questa follia.»

M'immersi nell'acqua, lasciando che il gelo mi penetrasse nelle ossa come piccoli aghi. «Dovrà venire ad arrestarmi, agente», dissi. L'alcol rischiava di rendermi fin troppo disinibita, poi mi ritornò in mente chi avevo davanti. «Le sto offrendo quello che volevate lei e la sua collega fin dall'inizio: vi serviva solo una scusa.»

Mi gettò solo un'occhiata. Cambiare le carte in gioco all'ultimo momento lo aveva preso in contropiede e preferì ritirarsi nel suo guscio.

Era ritornato nel suo ruolo o meglio si era ricordato chi era e quale fosse il suo obbiettivo e a essere sincera erano le stesse domande che mi stavo ponendo io stessa. Che stavamo facendo? 

Lo guardai prendendo consapevolezza delle idiozie che stavo commettendo senza neanche rendermene conto e gelai le miei emozioni, così come ormai lo era il mio corpo. Mi stavo lasciando circuire senza neanche sapere come ci fosse riuscito, ma sapeva intrigarmi come poche persone.

Mi avvicinai alla riva con tutta l'intenzione di andarmene il più lontano possibile da lui, quando disse: «Nessuno la vuole arrestare, signorina... Vivienne: veda di metterselo bene in testa, sono già stato chiaro su come stanno le cose.»

«Beh, lo sono stata anche io» risposi. Serrò la mascella in risposta. «E ora se ne vada, per favore.»

Mi fissò a lungo, poi mi diede le spalle e gioii pensando che se ne stesse andando, ma sembrò ripensarci. «Io sto cercando di aiutarla e sono l'unico che, per lo meno, ha provato a cogliere i segnali, perciò la scelta ora è sua: o sceglie di combattere le sue battaglie da sola sapendo di cadere nel baratro o mi dà una mano e insieme risolviamo questa cosa» mi zittì, confondendomi con la sua confessione inaspettata. «Quando decide, sa dove trovarmi» aggiunse. Poi mi voltò le spalle e se ne andò.

Lo fissai per diversi minuti finché non lo vidi scomparire nell'oscurità. Mi avviai così verso la riva per vestirmi e andarmene, sapendo di non aver raggiunto il mio risultato. Uscii dall'acqua, m'infilai subito l'intimo e ringraziai di aver in corpo ancora l'alcol che era riuscito a mantenere alta la mia temperatura corporea. Sentii uno scricchiolio e alzai lo sguardo facendolo vagare nello spazio circostante ma, non riuscendo a vedere nessuno, lo riabbassai. Afferrai il vestito e la borsa pronta ad andarmene ma prima che potessi infilarmelo, vidi una figura che mi fronteggiava a distanza. Indietreggiai istintivamente, vedendola avanzare, e mi ritrovai nuovamente con i piedi nell'acqua. Mi guardai attorno ma era deserto e così rimpiansi di essere venuta qui; soprattutto perché non avevo niente con cui difendermi. Decisa ad andarmene, avanzai per raccogliere le scarpe e, sperando che non avesse nulla a che fare con la sottoscritta, m'incamminai verso la strada quando senza che neanche facessi in tempo ad accorgermene, mi fu addosso e mi paralizzai dalla paura nel trovarmelo a pochi centimetri dal mio viso, non potei riconoscerlo perché il suo volto era nascosto da un passamontagna. Mi tappò la bocca con una mano per non farmi gridare, stringendo talmente forte da farmi male, poi rimase fermo a fissarmi, come se fosse indeciso sul da farsi o stesse aspettando una mia reazione che tardava ad arrivare, così quando vidi alzare il suo braccio temetti il peggio. Non riuscivo a muovermi, mi aveva bloccata e la paura non aiutava. Mi colpii alla testa e il colpo fu abbastanza forte da tramortirmi, ma non sufficiente per farmi perdere i sensi. Dopo essere crollata, mi sentii trascinare sui sassi inerme, percepii di nuovo l'acqua fredda ghiacciarmi la pelle e sperai che fosse finita ma mi stavo solo illudendo e lo capii troppo tardi quando m'immerse la faccia sott'acqua, facendomi mancare il respiro. La mia mente mi pregò di ribellarmi, ma il colpo alla nuca aveva sortito l'effetto sperato e alla fine l'unico a trovare la forza di farlo fu il mio corpo alla ricerca disperata di un po' d'aria per i polmoni. Forse il tutto durò solo pochi secondi ma a me parvero attimi eterni. I suoni si fecero ovattati e sentii le forze mancarmi. Stavo per lasciarmi andare quando tutto finì e, sentendo ritornare l'ossigeno ai polmoni, crollai esausta, oppure svenii lasciandomi avvolgere da quel buio che odiavo con tutta l'anima.

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